lunedì 1 marzo 2021

Cara Rossella

 


Mi seggo tutto solo sul ciglio della strada,
guardo il misero mio angusto mondo
e carezzo con man che trema l'erba.
(da una poesia di Camillo Sbarbaro)


Cara Rossella,
oggi la nostra radio senza di te è più triste, più buia. Se ne vanno via anni spensierati, anni belli, che tra noi sono stati di avvicinamento continuo. Ci siamo studiate per tanto tempo noi due, così diverse e così libere entrambe, opposte in tutto eppure complementari. Quanto mi sarebbe piaciuto portare avanti un "nostro" progetto radiofonico, saremmo state super... Ci siamo "trovate" durante uno di quei viaggi in pullman, di quelli infiniti, con Steve che canta l'uomo ragno e gli scherzi e le risate; chilometri macinati da una classe di studenti attempati: la nostra radio in trasferta. 
Confidenza, questo è quello che ha caratterizzato l'amicizia tra noi. Rispetto. E solidarietà tra colleghe. E franchezza. Tu così composta, razionale, capace, a miei occhi, di dominare ogni situazione, ridevi del mio temperamento assai poco zen, dell'impeto mio di buttare per aria tutto, delle mie facce alle riunioni... Ti ho "trovata" al mio fianco durante lo spavento che mi presi quella volta. E mica mi mollavi, mi torna in mente ora che scrivo. Protettiva, rigorosa prima di tutto con te stessa. Ricordo il compiacimento per un acquisto frivolo, l'amore per tuo marito, il sorriso sotto un nuovo taglio di capelli. 
Passo davanti alla porta chiusa della tua redazione. 
Ci lasci affranti, Rossella, qui, in questa giornata lavorativa a cui dobbiamo dare un senso, calati in un periodo sospeso dove anche portare un fiore diventa un'impresa, ci guardiamo l'un l'altro senza voler capire.

                                                            (pensando a Rossella)
  
 


          

mercoledì 24 febbraio 2021

Lawrence Ferlinghetti


Taglia taglia tutti tuoi solitari 
alienati
freak inebetiti e pensatori
troppo liberi
poeti dagli occhi aperti con
menti troppo selvatiche
in autoesilio nella loro stessa
terra
O America, crogiolo di pazzi!
(Lawrence Ferlinghetti, trad. Damiano Abeni)  

Se ne va per la sua strada Lawrence Ferlinghetti, portando con sé il sogno di una generazione; sotto la sua visiera gli occhi acuti, accesi, occhi che hanno guardato l'America per noi.
Rimane il ricordo di un incontro, sembrava un vecchio giocatore di basket, la cartolina promozionale con una sua poesia che distribuiva ai lettori, e la sua firma sopra dopo la mia vittoria su folla e timidezza. Mi ha seguito nei traslochi sempre attaccata al frigo. Non gli dispiacerebbe.
















     

martedì 23 febbraio 2021

Nel ricordo di Luca Attanasio

Interro alcuni semi
nella mattina piena di sole
prima del viaggio.
(Santōka 1882-1940)

Stringe il cuore leggere la storia del giovane ambasciatore in Congo, Luca Attanasio, vittima con l’autista e la guardia del corpo di un’imboscata in una zona così lontana da noi, così sperduta e complessa.
Veniamo colpiti dal suo sguardo, un giovane uomo dagli occhi che brillano, e dalle foto coi ragazzi allegri della comunità locale, che ridono, un bimbo con il lecca lecca, il gesto del like, un altro che sorride in camera. Che i semi piantati dal suo lavoro laggiù germoglino tutti, che la terra che amava gli sia madre.
Per noi resta qualche tg ancora, lo sgomento, e pensare a un posto di cui non sappiamo nulla. Ecco. Che almeno si approfitti di questa tragedia per aprire gli obbiettivi delle telecamere sul resto del mondo, mettendo a fuoco altri paesi, altre genti. Abbiamo bisogno di questo, di capire, conoscere. Non di analizzare i respiri di Draghi, quello che direbbe, o il cambio rotta di Salvini con la scelta di opposizione della Meloni. Sono cose che conosciamo. Che si inquadri altro.


                                                                    (Sintonia col mondo)





mercoledì 27 gennaio 2021

Il Giorno della Memoria

 

Fratelli umani a cui è lungo un anno,

un secolo un venerando traguardo,

affaticati per il vostro pane,

stanchi, iracondi, illusi, malati, persi;

udite, e vi sia consolazione e scherno:

venti miliardi d’anni prima d’ora,

splendido, librato nello spazio e nel tempo,

era un globo di fiamma, solitario, eterno,

nostro padre comune e nostro carnefice,

ed esplose, ed ogni mutamento prese inizio.

Ancora, di quest’una catastrofe rovescia

l’eco tenue risuona dagli ultimi confini.

Da quell’unico spasimo tutto è nato:

lo stesso abisso che ci avvolge e ci sfida,

lo stesso tempo che ci partorisce e travolge,

ogni cosa che ognuno ha pensato,

gli occhi di ogni donna che abbiamo amato,

e mille e mille soli, e questa

mano che scrive.

(Primo Levi, “Nel principio”, 1970) 



Incastonate nell’asfalto di un marciapiede del mio quartiere due pietre d’inciampo. Mi fa piacere che ci siano, vivo meglio sapendo della loro presenza.

Gli occhi di donna che abbiamo amato.


                                                            (Edoardo e Adele Elvira)




giovedì 21 gennaio 2021

 

When day comes, we ask ourselves where can find light in this never-ending shade.
The loss we carry, a sea we must wade. 
We’ve braved the belly of the beast. 
We’ve learned that quiet isn’t always peace, 
and the norms and notions of what “just” is isn’t always justice. 
And yet, the dawn is ours before we knew it. 
Somehow we do it. 
Somehow we’ve weathered and witnessed a nation that isn’t broken, 
but simply unfinished. 
We, the successors of a country and a time where a skinny Black girl descended from slaves and raised by a single mother can dream of becoming president, only to find herself reciting for one.


Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guadare.
Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre giustizia.
Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta, ma, semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro.
(dalla poesia di Amanda Gorman, recitata durante il giuramento di Joe Biden)



Un giuramento sospirato, nelle vibranti note di un grande musical finalmente allestito, dopo immagini violente da film di cassetta, tutte muscoli e sparatorie dagli effetti speciali.

Saggezza e mitezza brillano tra le bandiere che garriscono al vento, e le canzoni, i doni, gli occhi umidi. È bello poter assaporare di nuovo il sapore della speranza, la sua dolcezza rende immemori, almeno il tempo di una ballata o di una poesia, lontani da quello che è successo poco prima. È un tempo salvifico, vivificante. Un godimento. E Trump, il bambino caratteriale che vuole giocare per forza e che quasi la bucava la palla, adesso, almeno in queste ore, chi se lo ricorda più? 


                                                                                     
                                                               (L’alba è nostra)



giovedì 14 gennaio 2021

Il tempo delle frullecchie


E tu quando vivesti? – Io vissi all’era degli Andali ludiati e perfidiosi:

gli artèdoni liriavano in finiera metàrcopi e sindrèfani rodiosi...

- Io invece vissi ai tempi laccheroni degli ùzzeri bagiosi e guazzacagni; s’andava lornogorno a brencoloni

tra làlleri, gaglioppe e trucidagni; d’inverno si zurcavano le precchie cazzando lorigucci e naderlini, 

maggio si correvan le frullecchie sfoncando con urlacci i mogherini.

(“Dialogo celeste” di Fosco Maraini in Gnosi delle Fanfole)



Ecco cosa risponderei in un ipotetico dialogo celeste. 

Vissi il tempo laccherone della pandemia, quella che attaccava i polmoni e li riduceva a ùzzeri bagiosi, che deprimeva gli animi degli adolescenti e dei vecchi e di quelli della mia età, e pure l’economia, mentre dall’America in giù, fino a casa, Andali ludiati si sovreccitavano e complicavano le vite dei cittadini.

E i debiti da pagare? mi chiedeva quello, e le risorse, sì, i soldi, come li avete spesi? Fruttarono? Furono impiegati al meglio? E a maggio, cosa è successo a maggio?

Abbiamo continuato con le frullecchie.


                                                                           (Mai ‘na gioia)



giovedì 7 gennaio 2021

Trump ovvero un vicino di casa


Pieno di vita, adesso, ben saldo e visibile,
A quarant’anni, nell’anno ottantesimo terzo degli Stati,
A uno che vivrà di qui a un secolo, o di qui a secoli molti,
Per te non ancor nato, cercando di giungere a te.

Quando tu leggerai questi canti, io che visibile fui sarò diventato invisibile,
Ora sei tu, ben saldo e visibile, che i miei poemi vivi e mi cerchi,
Immaginando quanto felice saresti se io potessi trovarmi con te, diventare il tuo camerata;
Ma fa come se fossi con te. (Non essere troppo sicuro che adesso non sono con te.)
(Walt Whitman “Foglie d’erba” trd Enzo Giachino, Einaudi)


Dov’era Whitman ieri, quando a Washington infuriava la sommossa nel nome di una giustizia tutta opinabile? Dov’era il poeta che voleva stare accanto agli uomini provando ad assomigliare a ciascuno di essi? 
Nulla di sorprendente il tragico assalto al Capitol Hill a Washington, lavoro di mesi, di tweet e invettive suprematiste, c’era da aspettarselo. E non bisogna avere lo sguardo profetico del più venerato poeta americano per capire che era già nelle cose, un epilogo prevedibile, vicinissimo, quando si parla alla pancia e non al cervello.






martedì 5 gennaio 2021

Franco Loi


Dent la paròla vèrta mí me pèrdi,
deventi i ròbb del mund, l’aria che passa,
quèla parola che sta dedré de l’aria
e se fa ciara aj ögg che stan nel temp,
e se mí parli sù no chi l’è ‘l parlà,
l’è ‘l vent che parla cul mè d’un sentiment,
ché nient se fa del nient e nel pensà
la vûs che mí me ciama me vègn dent.

Dentro la parola aperta io mi perdo,
divento le cose del mondo, l’aria che passa,
quella parola che sta dietro l’aria
e si fa chiara agli occhi che stanno nel tempo,
e se io parlo non so chi è il parlare,
è il vento che si dice col mio sentimento,
poiché niente si fa dal niente e nel pensare
la voce che mi chiama mi viene dentro.
(Franco Loi da "Isman" Einaudi 2002)


Una casa luminosa e borghese nella Milano di periferia, sobria e piena di libri. Franco Loi mi aspettava per registrare alcune sue poesie. La luce attraversava le persiane, la luz, diceva il poeta, in quel suo impasto di lingua e dialetto e slang dell'hinterland milanese. Nato a Genova viveva nella città che ha abbracciato attraverso le parole dei suoi versi, quel linguaggio ibrido di suo conio e con quel sorriso da monaco allegro. Ieratico ma non troppo, dialettale ma non esattamente, malinconico ma con quel raggio di felicità francescana che attraversa le sue parole aperte alla vita.

                                                           (le cose, l’aria che passa)

giovedì 31 dicembre 2020

Auguri dal DailyHaiku

Perfino così tardi avviene:

l’amore che arriva, la luce che viene.

Ti svegli e le candele si sono accese forse da sé,

le stelle accorrono, i sogni entrano a fiotti nel cuscino,

sprigionano caldi bouquet d’aria.

Perfino così tardi gli ossi del corpo splendono

e la polvere del domani s’incendia in respiro.

(Mark Strand, trd di Damiano Abeni)


Ed eccoci qui, siamo arrivati alla fine di questo 2020. 
Ancora qualcosa da comprare all’alimentari all’angolo, le lucine alle finestre e il telefonino in mano.
Guardando in alto ci leggiamo nei versi di Mark Strand, i sogni entrano a fiotti sul cuscino, la polvere del domani, gli ossi del corpo che splendono... Mi incanta la sua voce ferma. L’attenzione verso la finitezza di quello che ci circonda e che viviamo, parole che muovono, la grazia paterna di un’esperienza compiuta e che ci viene indicata. 
Guardiamo giù. Eccoci lì, ritratti nella foto. Palleggiatori insensati eppure meravigliosi. Le nostre grane in bilico sulla testa, alle spalle la strada fatta fin qui, il cielo, giocolieri per caso caduti  all’incrocio della vita che è stata data da vivere.
Due sguardi. In mezzo ci sono io, nei tre spazi del mio DailyHaiku, quella che scrive il biglietto di auguri per ognuno di voi:
“Felice 2021, di tutto cuore Susanna”.







martedì 29 dicembre 2020

Novità da Pompei

Gli Dei sono atei, sono e basta.
Loro non devono sentire alcuna
necessità di credere in se stessi.
Visto che l’immortalità non abbisogna
di passato e neanche di futuro;
di umano c’è solo il persistente
momentaneo presente.
(Valentino Zeichen da “Aforismi d’autunno” Fazi)

Una nuova scoperta a Pompei, i resti di un bar, il Thermopolium, dove qualcuno poteva concedersi una breve sosta tra un commercio, un affare, un appuntamento amoroso. Il tempo di rifocillarsi con qualcosa di caldo. 
Si tratta però di uno spuntino struggente proprio perché così possibile. Così nostro. Siamo noi quelli laggiù, quelle ombre lontane nei secoli, siamo noi che ci fermiamo davanti quel banco, attratti dall’insegna colorata e ghiotta, che dobbiamo sbrigarci perché qualcuno ci aspetta. Ottima qualità prezzo. Si tratta di una scoperta casuale durante una passeggiata? Il consiglio di un amico? Se lo stomaco reclama, meglio assecondarlo con qualcosa di buono, questo col gallo dipinto è il posto giusto. Struggente. E nei fumi dell’odore racchiuso negli orci ritrovati, di mosto di vino e fave, liberatosi nell’aria dopo secoli, la traccia di quello che siamo. 

                                                                   (presente passato futuro)




mercoledì 23 dicembre 2020

Buon Natale 2020


Natale, credo, scada il bollino blu
del motorino, il canone URAR TV,
poi l’ICI e in più il secondo
acconto IRPEF – o era INRI ?
La password, il codice utente, PIN e PUK
sono le nostre dolcissime metastasi.
Ciò è bene, perché io amo i contributi,
l’anestesia, l’anagrafe telematica,
ma sento che qualcosa è andato perso
e insieme che il dolore mi è rimasto
mentre mi prende acuta nostalgia
per una forma di vita estinta: la mia.
(Valerio Magrelli)


Sì, mi vorticano in testa un mucchio di cose da non dimenticare, e per ricordarle tutte le appunto sul mio post-it in aggiornamento costante da quasi un anno: abbracci, baci, carezze, l'abc da diffondere a casaccio, da dissipare appena possibile, come capiterà. Non vorrei stare nei panni di chi incontrerò per primo... poveraccio! Nell'attesa, continuo a guardare il mondo con gli occhiali appannati. 
Buon Natale a tutti!


                                                                         (luci di Natale)



giovedì 17 dicembre 2020

Su quella riva ad aspettare

I pontili deserti scavalcano le ondate,
anche il lupo di mare si fa cupo.
Che fai? Aggiungo olio alla lucerna,
tengo desta la stanza in cui mi trovo
all’oscuro di te e dei tuoi cari.

La brigata dispersa si raccoglie,
si conta dopo queste mareggiate.
Tu dove sei? Ti spero in qualche porto...
L’uomo del faro esce con la barca,
scruta, perlustra, va verso l’aperto.
Il tempo e il mare hanno di queste pause.
(“Sulla riva” di Mario Luzi)

Si può ipotizzare che il tempo della poesia è il tempo dove le cose accadono veramente. Che realmente l’atmosfera si rischiara dopo la mareggiata. Con versi come quelli di Luzi può succedere, e noi lettori guardiamo il mare con gli occhi dei pescatori di Mazara appena liberati. 
È finalmente calmo, paterno, quello che abbiamo di fronte è un mare dai porti accoglienti come abbracci.

                                                                                (a casa)








lunedì 14 dicembre 2020

Louise Glück

Il bello
è non avere
una mente. Sentimenti:
oh, quelli ce l’ho; mi 
governano. Ho
un signore in cielo
chiamato sole, e mi apro
per lui, mostrandogli 
il fuoco del mio cuore, fuoco
come la sua presenza.                                             
Cosa potrebbe essere una simile gloria
se non un cuore? Oh miei fratelli e sorelle,
eravate come me una volta, molto tempo fa,
prima che foste umani? Vi
concedeste di
aprirvi una volta, per non
aprirvi mai più? Perché in verità
ora sto parlando
come fate voi. Parlo 
perché sono disfatto.
(“Il papavero rosso” di Louise Glück)


Finalmente possiamo entrare in un giardino nuovo! 
Il Saggiatore pubblica due raccolte di Louise Glück, Iris Selvatico e Averno, chiavi d’accesso al mondo della poetessa americana consegnateci con la cura e traduzione di Massimo Bacigalupo. In Iris selvatico sono le erbe stesse a parlare - l’estate del papavero e della zizzania segue la primavera del trifoglio e dell’ipomea. I pochi umani che popolano queste pagine sono intenti nei loro lavori semplici, vorrei dire semplificati, in silenzio ascoltano il vocìo d’erbe. Il gelo arriva con Averno, luogo mitico e oscuro, ma Glück riflette la poca luce rimasta propagandola con il suo stile meditativo. E al lettore indica la stella del crepuscolo, Venere, guardarla diventa un privilegio nuovo.

Questa sera, per la prima volta in molti anni,
mi è apparsa di nuovo
una visione dello splendore della terra:

nel cielo del crepuscolo
la prima stella sembrava
crescere in luminosità
mentre la terra si oscurava

finché in ultimo non poté essere più scura.
E la luce, che era la luce della morte,
sembrava restituire alla terra

il suo potere di consolare. Non c’erano 
altre stelle. Solo quella
di cui sapevo il nome

poiché nella mia altra vita le avevo fatto
torto: Venere,
stella del crepuscolo,

a te dedico
la mia visione, poiché su questa superficie vuota

hai gettato luce sufficiente
a rendere il mio pensiero
nuovamente visibile.
(“La stella della sera” da “Averno”)