venerdì 8 ottobre 2021

La chiave di Shiki

Nel mio andarmene
nel tuo restare
due autunni
(Shiki 1867-1902)


La ragione evidente, la primissima, per cui ho scelto per il sommario di 7 del Corriere della Sera questo haiku di Shiki, è perché è bello e con un chiaro riferimento alla stagione. E perché, nel suo micro mistero narrativo, risulta immediato anche per chi non conosce molto degli haiku. Vuole essere una lucina sui giorni che viviamo. Oggi sono d’autunno, nel suo oro ecco le nostre vite.

Se scavo un po’, e mi confido, vi dirò che l’ho scelto perché è stato il primo haiku che ho letto. Il primo di una serie infinita che mi ha agganciato. Quel congegno nella struttura come uno schizzo sul taccuino, la sua sospensione emotiva. Che meraviglia! Chi saranno questi due amanti, mi chiedevo, cosa sarà mai successo? Un addio come un giorno d’autunno, pensavo leggendolo e rileggendolo, senza sapere che maneggiavo la chiave che mi avrebbe aperto un mondo.
È così, è da questo haiku che sono “entrata” nei tre versi. Ho iniziato a conoscere le regole che li sorreggono, individuando il ritmo nella trascrizione fonetica pur non sapendo una parola di giapponese, cercando i riferimenti alla stagione più nascosti, scoprendo l’equilibrio grafico del segno. Sono “entrata” anche nelle vite dei suoi autori, monaci zen, poeti raminghi così lontani dalla mia vita e dalla mia cultura eppure così vicini e amichevoli. 
E, con la chiave del mio primo haiku, le porte si aprivano una dopo l’altra. E ancora sorprese. Shiki, il samurai malato, non raccontava di un amore finito ma dello struggimento nel salutare qualcosa per sempre e, in quel “noi” mai pronunciato, racconta di sé continuando a toccarci. 
Questa pratica di lettura e rilettura, diventata costante nella mia vita, così lontana dallo zen ma in qualche modo strampalato apparentata, continua a insegnarmi sempre la stessa cosa: dietro ognuno di noi c’è sempre una storia, un dolore, un amore, una casa lasciata.







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