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mercoledì 25 maggio 2016

Pantelleria

Ho dei libri
del riso
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)



"Ecco l'isola dai tanti nomi: Yrnm, Cossyra, Qawsra, Bent el-Rhia, Pantelleria" scrive Giosuè Calaciura nel suo libro dedicato a Pantelleria, questa isola minuscola con già dentro il suo nome un elemento panico. 

Pantelleria è l'ultima isola, un distillato di universo, un big bang in formato tascabile.
In questo libro la scrittura coincide precisamente con ciò di cui si racconta. Parole dense, solide, scelte e collocate come piccole pietre su un muretto a secco, una per una. Artificio o natura? Parole per guidarci in un posto nato dalla terra esplosa, mosso da terremoti e che sa più di lava che di mare.
Terra. Pietre. Su cui cresce poco e con grande fatica. L'astuzia dei suoi "jardini", i torrioni di pietra che, come scrigni di ombra e di acqua abilmente convogliata al loro interno, custodiscono una sola pianta di aranci o di limoni. Il nero vetroso della pietra lavica, il suo calore che sa di forno, dice Calaciura.
Da una pietra si può nascere, sulla pietra si può vivere? E se la pietra può essere pane e madre, la morte è come la vita? Pantelleria prende la voce dell'autore e si rivolge ai ricchi turisti che ristrutturano i dammusi e ai migranti che raggiungono la sua costa sui barconi. 
L'elemento ctonio, pauroso eppure così familiare, continua il suo soliloquio eterno, come farebbe una creatura di Ovidio o di Omero, un essere mitico che viene dall'Oriente o dall'Africa. Ci riguarda, ci parla. Ci incanta.

Questa è una guida che non porta da nessuna parte, non suggerisce ristorantini o calette blu da postare su istagram, ci invita a stare fermi, in ascolto. Non parla troppo e, secondo me, assomiglia molto al suo autore.
Calaciura capovolge la bella copertina del suo libro per raccontare, con la lingua adatta, quello che c'è sotto l'isola amata, sotto la superficie del mare. 
E riesce a mostrarci i luoghi oscuri e ribollenti che sorreggono tutta l'umanità prima che affondino di nuovo.


(isole in redazione)