Il mio canto ha deposto ogni artificio.
Non sfoggia splendide vesti
né ornamenti fastosi:
non farebbero che separarci
l'uno dall'altro, e il loro clamore
coprirebbe quello che sussurri.
La mia vanità di poeta
alla tua vista muore di vergogna.
O sommo poeta,
mi sono seduto ai tuoi piedi.
Voglio rendere semplice e schietta
tutta la mia vita,
come un flauto di canna
che tu possa riempire di musica.
Ieri il mondo intero ha ricordato i settanta anni dalla morte di Gandhi.
Il Mahatma, letteralmente "grande anima", il "venerabile", il "maestro", l'uomo che ispirò Martin Luther King e Nelson Mandela. Bapu per milioni di indiani, "papà" in gujarati.
Ma torniamo alle cose minuscole, torniamo a noi. Ieri sera Scalfari annuiva benevolo tra la barba bianca a Floris che gli si rivolgeva appellandolo "scrittore, giornalista, filosofo e poeta" e raggiungendo un sobrio "direttore" come quinto appellativo prima della domanda (alla domanda avevo già cambiato canale).
Poeta. No, poeta no.
« Impara come se dovessi vivere per sempre. »
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