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sabato 25 aprile 2020

Buon 25 aprile


In un giorno della vita 
ho camminato con Giorgio 
a capo scoperto nel cielo. 
Giorgio era un compagno 
Giorgio era il Partito, 
maturo come un frutto, 
Giorgio era la sua voce 
inceppata e sicura, 
i denti neri il tabacco nero 
la sigaretta arrotolata 
un desiderio di svegliare 
il mondo coi suoi pensieri. 
Ho udito Giorgio 
ho visto Giorgio 
alto come le case 
nell’orizzonte del cielo. 
Come un grande studente 
usciva in fretta alle porte 
a insegnare la strada 
ai giovani compagni. 
Compagna anche la morte, 
diceva, il sangue è rosso. 
A maggio lo portammo al cimitero. 
Se potevamo camminare 
e coprirlo di fiori e di bandiere 
era perchè da morto c’indicava 
la grande strada della primavera. 
Lui che c’indicava 
la grande strada della primavera.
("In memoria di Giorgio Curiel" di Alfonso Gatto)


Alfonso Gatto nell'amorosa dedica a Giorgio Curiel, eroe della Resistenza, capo del Fronte della gioventù per l'indipendenza nazionale per la libertà, Medaglia d'Oro.
In memoria di Alfonso Gatto, sulla tomba a Salerno, è inciso il commiato funebre dell'amico Eugenio Montale: "Ad Alfonso Gatto per cui vita e poesie furono un'unica testimonianza d'amore". 

Insieme a tutti coloro che sentono questa data come un dono prezioso, celebro il 25 aprile. Custodirne la memoria significa imparare a scorgere la primavera. 




sabato 6 ottobre 2018

My favourite things


Ho del riso
dei libri
persino del tabacco
(Santōka1883-1940)

Il saggio e sobrio Santōka ci indica queste tre cosette necessarie per vivere, le sue tre cose preferite.
Mi asterrò dai consigli di cucina, per il vostro bene, e il tabacco, per quanto mi riguarda, lo sostituirei con il cioccolato. Ma sui libri, almeno quelli che popolano la mia libreria, ho idee molto più chiare.
Non amo i libri che non mi parlano. E detesto i libri che mi tranquillizzano. Essere trasportata in mondi fantastici dove spazio e tempo sono opzionali, in mondi esotici con vecchi saggi dalla barba bianca che ti risolvono i problemi, non lo reggo. Diffido degli autori piacioni, dei fenomeni letterari, delle copie vendute, degli esordi imperdibili. Dei libri belli solo perché scritti-da-una-donna. Le amiche geniali, i mondi spiegati ai miei figli, le saghe e i commissari mi allappano. I giornalisti-scrittori, i politici-scrittori, mi appallano.
Scovare letteratura nel mucchio, trovare quello che cerco tra gli scaffali in libreria non è facile, è come riuscire a fotografare il rinoceronte bianco. È la mia sfida.

(Caccia grossa)

martedì 4 settembre 2018

My favourite things


Ho del riso
dei libri
persino del tabacco
(Santōka1883-1940)

Il saggio e sobrio Santōka ci indica queste tre cosette necessarie per vivere, le sue tre cose preferite.
Mi asterrò dai consigli di cucina, per il vostro bene, e il tabacco, per quanto mi riguarda, lo sostituirei con il cioccolato fondente. Ma sui libri, almeno quelli che popolano la mia libreria, ho le idee più chiare.
Non amo i libri che... non mi parlano. E detesto i libri che mi tranquillizzano. Essere trasportata in mondi fantastici dove spazio e tempo sono opzionali, in mondi esotici con vecchi saggi dalla barba bianca che ti risolvono i problemi, non lo reggo. Diffido degli autori piacioni, dei fenomeni letterari, delle copie vendute, degli esordi imperdibili.
Le amiche geniali, i mondi spiegati ai miei figli, le saghe e i commissari mi allappano. I giornalisti-scrittori, i politici-scrittori, mi appallano.
Scovare letteratura nel mucchio, trovare quello che cerco in un grande festival letterario come quello di Mantova non è facile, è come riuscire ad acchiappare il coleottero più raro del pianeta. Un retino e la valigia è pronta.

(Caccia grossa)

mercoledì 28 dicembre 2016

2016. Tra quelli che se ne sono andati. Marco Pannella

2016. Ancora una notizia, tra le altre, di quest'anno che sta per finire. Ricordo Marco Pannella e lo faccio attraverso questo breve post datato 19 maggio. E soprattutto con questo haiku...
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Tramonto.
Il gatto torna a casa
tra le piante di tabacco
(Murakami Kijo 1865-1938) 


Marco Pannella è mancato poche ore fa. Se ne è andato. Elegante, così imprevedibile e forastico, dalla zampata improvvisamente aggressiva e sguardo penetrante, sì, aveva qualcosa del gatto. 

Con lui se ne va un pezzo di Italia, quella laica, quella che non si sottrae, anche fisicamente, alla responsabilità di vigilare sui diritti delle minoranze, alcune battaglie sono ancora qui davanti ai nostri occhi e sono tutte ancora da combattere.
I suoi maglioni a girocollo tra i politici con la cravatta, la cicca tra le labbra, l'aria da capo indiano che non teme nulla, il vocabolario forbito, la voce di velluto, i colpi di scena dispettosi anche per i suoi elettori. Il mangia preti, l'antimilitarista, l'antiproibizionista, il gandhiano. Aveva qualcosa di candido e di astuto, di ragazzino e di vecchio, di pudico e spudorato. 

Bello che ci sia stata una visione tale della laicità, bello averne approfittato come cittadina, essere stata tutelata da quelle battaglie vinte. Bello che non si sia arricchito, che non si sia mai detta una parola sulla sua sobrietà ed onestà. E che pur nell'Italia magnacciona sia comunque riuscito a restituire l'antico valore simbolico, mistico e altamente politico al concetto di "digiuno"
Ciao.


(RIP)

mercoledì 21 dicembre 2016

5 libri di poesia - Natale 2016

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santōka 1882-1940)

Questa è la lista natalizia dei libri che metterei sotto l'albero di coloro che mi leggono, l'ho stilata facilmente, è bastato pescare dalla mia libreria. Badate, però, è una lista incompleta, fatta al volo, e sempre, inesorabilmente, in perenne costruzione.
E' questa, e ve la illustro con gioia, ed è tutta poetica.
Sono cinque testi che amo, vecchi, nuovi, non importa, tra i grandi autori mi permetto di aggiungerne uno più "piccolo", nella "mia" lista. E impilando i libri per la foto scopro una caratteristica comune ai cinque testi: il tempo.


- Mark Strand "L'inizio di una sedia", Donzelli (trad. Damiano Abeni)
E' il tempo di una giornata. Ovvero della possibilità di osservarla attraverso le sue ore, una dopo l'altra.
Serenità o disperazione? Per me Strand è come se avesse un passo leggero, lo immagino, tra le persone o le cose, felpato. Ma è il suo sguardo distante a colpirmi.

Era l’inizio di una sedia;
era il divano grigio; era i muri,
il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui
i ruderi di luna le crollavano sulla chioma.
Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava
(...)


Antologia palatina. Tutte le poesie d'amore, a cura di Guido Davico Bonino, Einaudi
E' il tempo eterno.
Possibile che questo qui, morto nel 300 a.c. e passa, provi tutto questo...amore? Come quello nostro, qui, che proviamo noi oggi? Possibile che il suo sentire sia il mio, il suo sospiro sia il mio, il suo desiderio identico al mio?
E prendono vita, leggendoli, autori antichi e persi nel tempo e ogni epigramma restituisce al suo autore capelli, odore, sapore, occhi.

Ora sei bello, che hai per chi t'ama l'età. Ma se pure
sposi, Diodoro, non ti lascio mai


- Peter Handke "Canto alla durata", Einaudi
E' il tempo sospeso. Una meditazione  filosofica in forma di poemetto:

(...)
e mi venne così di descrivere
la sensazione della durata
come il momento in cui ci si mette in ascolto
il momento in cui ci si raccoglie in se stessi
in cui ci si sente avvolgere
da cosa? da un sole in più,
da un vento fresco,
da un delicato accordo senza suono
in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondono insieme.
“ci vogliono giorni, passano anni”
Goethe mio eroe
e maestro del dire essenziale,
anche questa volta hai colto nel segno:
la durata ha a che fare con gli anni

con i decenni, con il tempo della nostra vita
(...)


- Guido Gozzano, Tutte le poesie, Einaudi
E' il tempo passato, irrimediabilmente passato anche quando lo si vive.
Il tempo di farfalle. E di acciottolìo, di ricordi, di manine, di confetterie. Il grande temperamento costretto nel fisico fragile, la morte a soli trentadue anni

Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore
trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace

e l'ossa e gli organi grami al modo che un lampo nel fosco
disegna il profilo d'un bosco, coi minimi intrichi dei rami
(...)

E poi il viaggio in India all'inizio del novecento, già malato, e ancora la sceneggiatura di un film.
Un eterno ragazzo che mi ha insegnato ad amare la vita e la morbidezza voluttuosa delle parole.


- Francesco Targhetta "Perciò veniamo bene nelle fotografie" ISBN
E' il tempo "precario", quello trascorso nei call center e al bar per l'aperitivo.
Il tempo della giovinezza come per i tanti eroi minimi che vediamo in giro aggrappati al telefonino, con il tatuaggio e lo sguardo triste o quelli che partono, se ne vanno via, sogni e specializzazioni in tasca

.  senti, come una pioggia,
dall'auto e il finestrino abbassato,
il sapore del pino e della gaggia
mescolarsi al tarassaco di marzo,
al bicarbonato, al denso smog
screpolato sui muri
e su case con parabole in terrazzo,
        e poco vale leggere
pubblicità per averne indicazioni
sulla propria dispersione, perché
siamo dappertutto, ma più che altrove
nei bar per gli immigrati, in cabine
telefoniche reduci di guerra,
negli aerei di compagnie low cost
che falliscono nel pieno di un volo,
e ci sovrastano, a qualunque ora,
facendo angoli di quaranta gradi
   con i nostri tragitti provinciali -
ma essere fiacchi è un lavoro per altri,
che a farlo ci troveremmo spacciati,
come gli uccelli contro le barriere
                   lungo le tangenziali.
Perciò percorri queste praterie
di outlet e benzinai self service:
per andarti a conquistare, al di là
di quaranta chilometri
             di frazione secessioniste,
uno spazio per caso svuotato
da una prof ruzzolata dal bus.
-






mercoledì 14 dicembre 2016

Sogno americano

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santōka 1882-1940)

La fatica di lavorare in esterna - trasmettere Fahrenheit da dentro una fiera del libro con tutti i disagi, i contrattempi, i nervosismi, il brusio costante di sottofondo che rintrona - è sempre ricompensata, e lo è stato anche recentemente. 
Dalla Fiera Più Libri di Roma, quella delle piccole case editrici per capirci, ho portato via due autori e ho finalmente "rattoppato" un mio buco, una mia carenza letteraria (quante lacune, quante mancanze, che ho! E, spiattellate lì davanti sopra tutti quegli stand, sembrano ricordarmelo in coro: leggimi, devi farlo, che ti sei persa). 
Ho recuperato la coppia dei Dubus!
Due scrittori, padre e figlio, da me ignorati fino ad ora, sono finalmente passati dallo stand espositivo dentro la mia sacca e ora sul bracciolo del divano, quello dove appoggio il libro in lettura mezzo aperto. 
Vado in ordine cronologico, prima il padre, Andre Dubus, nato nel 1936, e che racconta l'America di Truman e Eisenhower, dei protagonisti impeccabili fuori e rotti dentro, l'America dei "vicini di casa", e arriverò a quella del figlio Andre Dubus III (1959), quella contemporanea, obamiana. Mi sto aggirando tra case tutte uguali, vado dietro banconi di bar lungo la strada principale, il mio viso è livido di neon.
Finalmente ci torno, in America, dopo quel viaggio indimenticabile nella sua provincia durato ben due mesi e compiuto un'era fa. Anni novanta, puro Clinton e mondo in mano.
Ora che impazza Trump, francamente, il mio sogno americano è molto sbiadito. 
Preferisco leggere i Dubus.

(Viaggio da ferma)







giovedì 17 novembre 2016

Zero K

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santōka 1882-1940)

Mentre Bob Dylan rifiuta di ritirare il Nobel da poco assegnatogli (clicca QUI), io sono ancora dentro il romanzo di uno degli autori che avrei tanto voluto venisse premiato in Svezia.
"Zero K" sta sulla mia scrivania e desidero che ci stia ancora, a portata di mano, di sguardo; sullo scaffale vicino agli altri lo sistemerò tra poco, ho tutto il tempo.
O credo di averne. 
E com'è fatto il tempo che sto vivendo? Di quanti frame, tasselli, immagini si compone, e quante esperienze nutrono le mie sinapsi e ancora per quanto, loro, lavoreranno?
E "quel" momento, quell'addio da tutto, come avverrà? In quale gelo sarò calata e come misurarlo con quali parametri, cosa sentirò e cosa ricorderò ancora di me, di quello che sono o credo di essere, cosa sarà di questa mia rappresentazione di adesso, di ora, ora che sto scrivendo? Mi sfilerà davanti agli occhi chiusi - o saranno aperti? - come un'istallazione, come un video a loop, come? 
E tutte le belle cose che mi compongono, e quelle brutte, i miei ricordi e le mie esperienze, quello che sono, dove andrà, che viaggio faranno?
DeLillo è un gigante vecchio di ottanta anni che pensa per me, Susanna, che sono qui, ora, sul divano con l'ipad davanti che si segnala con le pubblicità che non voglio aprire neanche per sbaglio, gli avvisi delle mail che sto ricevendo, la colazione con il kiwi che amo mangiare appena sveglia e la faccia che adesso è un po' gonfia di sonno ma poi passa. Sono io. Questa.
È DeLillo che ci sta pensando, ed è la mia unica consolazione nel gelo che mi continua ad arrivare dal suo libro che tengo vicino ancora per un po'.


(Zero "io")

  

giovedì 15 settembre 2016

Caro Pennac

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)


Gentile Daniel Pennac,

mentre veniva intervistato a Fahrenheit, il programma che curo in onda su Radio3, la ascoltavo e la osservavo. Sembrava così a suo agio, con la sua aria lieve e divertita e acuti occhi da gatto dietro lenti simpatiche. Sembrava uno dei suoi personaggi, sembravamo tutti a Belleville. Il pubblico, i lettori, adorano questa gioia di vivere piccola che lei riesce a trasmettere anche solo ascoltando il suo interlocutore, mostrando interesse per quello che dice.
Le scrivo così in due righe - troppe persone, troppo caos ai festival letterari e la diretta mi pone obblighi di devozione totale ai tempi della scaletta - quel poco che non sono riuscita a chiederle a voce.
Potrebbe aggiornare il suo decalogo, quello per diventare un buon lettore? Almeno i primi tre punti, potrebbe ripensarli?
Nel saggio "Come un romanzo", ormai una ventina di anni fa, quindi in un'altra era geologica, indirizzava il suo lettore ad amare i libri, sintetizzo, assolvendolo da sforzi inutili (clicca QUI).
Ma non mi sembra più il tempo, gentile Pennac.
La lezione l'abbiamo capita in fretta, siamo diventati tutti capaci, troppo capaci, di autoassoluzioni (anche in altri campi, francamente).
Il suo decalogo, prima di tutto, prevedeva un lettore. Ora dove sta quel tipo di lettore? Si rivolgeva a un lettore potenziale ma possibile, e non un lettore realmente impossibile come quelli che vedo in giro. Nella società che lei conosce e abita, come tutti noi, quella dell'autoassoluzione spinta, dove si surfa sulla letteratura, dove nelle scuola italiane fanno leggere i "Malavoglia" e ancora non hanno capito che quasi nessuno da Verga poi è passato a un altro libro (forse questo destino era scritto già nel titolo?), quella dove la letteratura si fa su e con FB, dove sui comodini non vedo libri ma smartphone, la narrazione è saccheggiata dai giornalisti, lo storytelling nessuno sa bene cosa sia e molti insegnanti - va bene, guadagnano poco eccetera - ma, inesorabili, tirano sempre fuori "Il piccolo Principe" come loro libro di formazione, ecco, temo di capire, che in mezzo a tutto questo, il suo antico interlocutore, che alla fine leggeva, non c'è più. Si è estinto.
E continua a perpetrarsi, ovviamente non per sua responsabilità gentile Pennac, il fraintendimento che, se Kafka mi annoia, per esempio, il problema è di Kafka che è troppo grigio, non mio. E, a proposito del pallosissimo processo di Kafka, vincono l'evasione e l'autoassoluzione. Se Sebald è sedativo, avrebbe dovuto lui essere più...seduttivo (e poi tutte quelle sue fotine sbiadite!) e non devo essere certo io a capire il suo universo. Io, io, io. Che le foto le faccio pure meglio!
Se Roth, Munro, Ernaux dicono sempre la stessa cosa, non è certo colpa mia che non li leggo, ma loro che si ripetono. E poi: se un libro è lungo non lo guardo proprio, se parla di morte, perché intristirmi che al telegiornale dicono sempre queste cose e sono pure aggiornati e a me poi non me ne frega molto. Perché farsi le domande dei grandi se io, io, so già tutto?

Insomma, gentile Pennac, trovo che si sia spostata, e di peso, la questione. Un po' troppo. L'assolversi, essere sempre così indulgenti con se stessi, non capire che sono "io" il problema e non Dostoevskij, avrebbe bisogno di un aggiornamento dei suoi.

Con un po' di sano senso di colpa credo che, oggi, saremmo lettori migliori.

Susanna

(Mantova come Belleville)


giovedì 9 giugno 2016

Piuma e farfalla

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)



Note sparse sulla vecchiaia.
Ho letto un libro bellissimo il cui autore è un bellissimo vecchio.
Hans Magnus Enzesberger, scrivo qui il suo nome altisonante per la prima volta e capisco ancora più chiaramente quanto sarebbe andato lontano il piccolo Magnus, nato a Varsavia nel lontano 1929. 

Lo vidi personalmente per la prima volta nel 2006, mi piace ricostruire le date precisamente, con un cappellino di cotone celeste che gli proteggeva la testa dal caldo, in una piazza assolata di un formicolante festival letterario, e poi nel 2012 dietro le quinte di un altro incontro radiofonico, questa volta a Torino. Sempre gentilissimo e affabile. Una piuma sorridente.

In "Tumulto" racconta circa venti anni di vita attraverso l'esperienza del comunismo sovietico e cubano, gli anni sessanta e settanta del novecento che, questo intellettuale poeta e traduttore tedesco, che la vita ha portato a vivere un po' ovunque, ricostruisce su vecchi appunti casualmente ritrovati oggi. Un'insolita intervista autobiografica, giocata tra psicoanalisi e divertimento, tra un lui vecchio e un lui giovane, in dialogo. Quel lontano Enzesberger, quello giovane e tumultuoso, quello di una vecchia foto in un quaderno, e l'altro, quello novantenne.
Pudiche notazioni private, un sobrio divorzio o la passione amorosa per una donna russa trattati con il medesimo distacco e un filo di ironia. Il soggiorno a L'Havana, la guerra fredda, Kruscev osservato a pranzo, i libri amati, i poeti detestati e gli intellettuali assiduamente frequentati. Conto le lingue che conosce, gli amici e le donne amate. Brevi accenni a qualche delusione, meglio lasciarle laggiù. 

Arrivo all'ultima pagina mentre nell'aria ancora galleggiano le foto di Muhammad Alì. Così aitante, così bello, ape e farfalla in quegli stessi anni giovanili vissuti dallo scrittore. Scorro altre foto pubblicate questa settimana, alcune, più rare, del suo viso di pugile vecchio. Gli zigomi scavati, la testa quasi di teschio, lo sguardo appannato dalla malattia. Le mani tremanti, ferme solo nello scatto fotografico, e che vedo finalmente serrate nel pugno come una volta.
Enzesberger e Alì. 
Sovrappongo due esistenze lontanissime. Penso alla trappola del declino fisico, a tutta la forza che ci vuole per allentarne un po' la morsa e penso che per andare avanti forse bisogna proprio essere, come dice una poesia di Enzesberger, "più leggeri dell'aria".
Come una piuma, un'ape o una farfalla.











   

    

mercoledì 25 maggio 2016

Pantelleria

Ho dei libri
del riso
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)



"Ecco l'isola dai tanti nomi: Yrnm, Cossyra, Qawsra, Bent el-Rhia, Pantelleria" scrive Giosuè Calaciura nel suo libro dedicato a Pantelleria, questa isola minuscola con già dentro il suo nome un elemento panico. 

Pantelleria è l'ultima isola, un distillato di universo, un big bang in formato tascabile.
In questo libro la scrittura coincide precisamente con ciò di cui si racconta. Parole dense, solide, scelte e collocate come piccole pietre su un muretto a secco, una per una. Artificio o natura? Parole per guidarci in un posto nato dalla terra esplosa, mosso da terremoti e che sa più di lava che di mare.
Terra. Pietre. Su cui cresce poco e con grande fatica. L'astuzia dei suoi "jardini", i torrioni di pietra che, come scrigni di ombra e di acqua abilmente convogliata al loro interno, custodiscono una sola pianta di aranci o di limoni. Il nero vetroso della pietra lavica, il suo calore che sa di forno, dice Calaciura.
Da una pietra si può nascere, sulla pietra si può vivere? E se la pietra può essere pane e madre, la morte è come la vita? Pantelleria prende la voce dell'autore e si rivolge ai ricchi turisti che ristrutturano i dammusi e ai migranti che raggiungono la sua costa sui barconi. 
L'elemento ctonio, pauroso eppure così familiare, continua il suo soliloquio eterno, come farebbe una creatura di Ovidio o di Omero, un essere mitico che viene dall'Oriente o dall'Africa. Ci riguarda, ci parla. Ci incanta.

Questa è una guida che non porta da nessuna parte, non suggerisce ristorantini o calette blu da postare su istagram, ci invita a stare fermi, in ascolto. Non parla troppo e, secondo me, assomiglia molto al suo autore.
Calaciura capovolge la bella copertina del suo libro per raccontare, con la lingua adatta, quello che c'è sotto l'isola amata, sotto la superficie del mare. 
E riesce a mostrarci i luoghi oscuri e ribollenti che sorreggono tutta l'umanità prima che affondino di nuovo.


(isole in redazione)
   

giovedì 19 maggio 2016

Pannella RIP

Tramonto.
Il gatto torna a casa
tra le piante di tabacco
(Murakami Kijo 1865-1938) 



Marco Pannella è mancato poche ore fa. Se ne è andato. Elegante, così imprevedibile e forastico, dalla zampata improvvisamente aggressiva e sguardo penetrante, sì, aveva qualcosa del gatto. 

Con lui se ne va un pezzo di Italia, quella laica, quella che non si sottrae, anche fisicamente, alla responsabilità di vigilare sui diritti delle minoranze, alcune battaglie sono ancora qui davanti ai nostri occhi e sono tutte ancora da combattere.
I suoi maglioni a girocollo tra i politici con la cravatta, la cicca tra le labbra, l'aria da capo indiano che non teme nulla, il vocabolario forbito, la voce di velluto, i colpi di scena dispettosi anche per i suoi elettori. Il mangia preti, l'antimilitarista, l'antiproibizionista, il gandhiano. Aveva qualcosa di candido e di astuto, di ragazzino e di vecchio, di pudico e spudorato. 

Bello che ci sia stata una visione tale della laicità, bello averne approfittato come cittadina, essere stata tutelata da quelle battaglie vinte. Bello che non si sia arricchito, che non si sia mai detta una parola sulla sua sobrietà ed onestà. E che pur nell'Italia magnacciona sia comunque riuscito a restituire l'antico valore simbolico, mistico e altamente politico al concetto di "digiuno"
Ciao.


(RIP)



  

lunedì 16 maggio 2016

Lista completa

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santōka 1882-1940)


Scrivo dal treno mentre al Lingotto di Torino si stanno spegnendo le luci sul Salone di quest'anno. Ultimo giorno. Operai come termiti si aggireranno, minuscoli e frenetici, tra stand da smontare, scaffali da impilare, casse da riempire e ogni pezzetto sarà rimosso.
Il mio trolley è pesantissimo, sembra carico di uranio, altro che monaco zen in viaggio con quelle due cose da portare, me lo sono trascinato stancamente e ora giace, incastrato e gonfio, tra i due sedili del vagone.
Devo completare la lista di cose da tenere a mente di questo Salone. Aggiungo alla precedente: 
- la postazione piena di schermi ed io che li impallavo sempre
- il profumo di lavanda che Michelangelo Pistoletto mi ha spruzzato sul polso
- il caminetto "imperiale" del Circolo della Stampa
- Augias che basta che parla ed è Augias
- l'affetto degli ascoltatori
- Repetti & Cesari dove la "e" commerciale sta per molto di più
- i poeti...
- Antonietta Pastore che mi parla di Akutagawa
- la ridarella a fine serata con Marino 
- Ascoltare Galimberti\Lipperini con Cirri
- una mousse troppo minuscola 
- i "briciopolli" che cercano un posto in scaletta

Anche queste altre cosette:

- i "ciaociao" con persone che ritrovo ogni anno 
- i "ciao come sto" e mai come stai tu
- i non-saluti di persone troppo prese da sé
- i passo dopo, i come stai, i che mi dici, i passi da noi, i non puoi mancare, i ci vediamo 
- i biscotti di Rosanna e le marmellate di Gilda
- un robot che si muoveva autonomamente e un ragazzo in sedia a rotelle che lo guardava 
- questa foto fattami da Roberto. Solo un asoltatore di Radio3 può capire tutto così bene

(Grazie!)

sabato 14 maggio 2016

Lista

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)

Ho sempre con me l'haiku di Santoka e me ne vado in giro per il Salone del Libro di Torino raccogliendo cose che rimarrebbero qui.
Il riso l'ho sostituito con il cioccolato, i libri non mancano e, visto che non ne uso,
al posto del tabacco una lista di appunti, piccoli dettagli, leggeri come fumo, che altrimenti perderei:

- la postazione piena di schermi ed io che li impallavo sempre
- il profumo di lavanda che Michelangelo Pistoletto mi ha spruzzato sul polso
- il caminetto "imperiale" del Circolo della Stampa
- Augias che basta che parla ed è Augias
- l'affetto degli ascoltatori
- Repetti & Cesari dove la "e" commerciale sta per molto di più
- i poeti...
- Antonietta Pastore che mi parla di Akutagawa
- la ridarella a fine serata con Marino 
- Ascoltare Galimberti\Lipperini con Cirri
- una mousse troppo minuscola 
- i "ciao come sto" che cerco di evitare
- i "briciopolli" che cercano un posto in scaletta


(Radio2 in ascolto di Radio3)






giovedì 12 maggio 2016

Lingotto

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)


Quelli come Santoka, a cui bastano poche cose nella vita, sono quasi tutti qui al Salone del Libro. Posso dire di conoscerli uno per uno e che mi piacciono tutti? So che si aggireranno in cerca dello stand di questa o quella casa editrice, affolleranno gli incontri con l'autore, sbricioleranno un pezzo di panino sulla maglietta, lo zainetto da cui esce la bottiglietta d'acqua e che non si chiude, giacca a vento annodata ai fianchi. Sono persone interessate, civili, quelle che non ti fregano in fila. Una popolazione possibile di un'Italia possibile che sembra essere racchiusa tutta qui, che si è data appuntamento in questi giorni al Lingotto di Torino. 
Sì, posso proprio dire che conosco ognuno di loro. 

È ancora presto e il Salone deve ancora ufficialmente iniziare, ma non per me. 

Sono già dentro il Lingotto, l'ex fabbrica sede di questo grande incontro tra tutti noi, dove ancora le antiche fatiche se ci pensi un attimo riesci a immaginarle, ecco la linea, senti il clangore, la pista per le automobili da provare, basta alzare lo sguardo e vedi le sue eleganti volute di architettura industrial vanvitelliana, gli uffici, le entrate, le uscite, i dialetti mischiati e urlati come per lo sciopero, stasera si va a ballare che mi piaci, qualcuno mi sostituisce che mi fa male, mi manca la sicilia, la calabria, mi manca casa, oggi è il suo compleanno e sono qui.
Ascolta.

Fra poco si apre, si comincia, attaccherà il solito brulichio sonoro. Ho dei libri, caro Santoka, e amo i luoghi che mi parlano come quello dove sono adesso. Porto con me questo piccolo saggio di Handke per un incontro dove sono invitata. Ho in borsa anche "L'architettura della città" di Aldo Rossi , "Al giardino ancora non l'ho detto" di Pia Pera, "Il posto" di Ernaux.  Sono luoghi da "sentire" e non da visitare. 
Un po' come questo dove sono, dove siamo noi.


(Il mio luogo tranquillo)








venerdì 22 aprile 2016

Giornata Mondiale del Libro

Ho del riso
dei libri 
e persino del tabacco.
(Santoka 1882-1940)



- Che vuol dire lavorare a Radio3? 
- Farsi venire un'idea. 
- Tipo?
- Un'idea che si capisca subito, che diverta gli ascoltatori e anche i conduttori. E che non sia già stata fatta, né troppo costosa...
- Tipo?
- Oggi un attore-Don Chisciotte leggerà alcune frasi tratte dal capolavoro di Cervantes che sembrano su misura, perfettamente riferite, ma proprio in sintonia... con il programma che il cavaliere errante interrompe in diretta.
- In diretta?
- Sì. Dall'alba di Primo Movimento - il "Don Chisciotte" inizia proprio all'alba - alla notte di Battiti, Don Chisciotte, in carne e ossa, entrerà negli studi di Via Asiago.
- E "i mulini a vento"? 
- Ci saranno anche loro e a Prima Pagina!
- E Sancio? 
- Lo scambierà per il conduttore di Pagina3.
- E Dulcinea? E i ragli di Ronzinante? E i balsami miracolosi?
- A Radio3 Scienza
- E le ostesse e i nemici tutti???
- Ci saranno, ci saranno. E' la radio. La radio che piace fare a me, quella dove la letteratura è in dialogo con la quotidianità!
- Anche dopo quattrocento anni?
- Già.


(La mia scrivania)








   

venerdì 5 febbraio 2016

L'uomo del futuro

Ho del riso
dei libri 
e persino del tabacco.
(Santoka 1882-1940)


Sono poche le cose che ci fanno andare avanti, sembra dire Santoka, e il libro di oggi può essere  una di quelle. 
"L'uomo del futuro" è la storia di un educatore, Affinati stesso, che ricostruisce alcuni momenti della vita di don Lorenzo Milani e lo fa con il solo mezzo che conosce: la letteratura. E non sono gli aspetti biografici del prete di Barbiana ad essere centrali nel racconto, ma l'osservazione di una tensione, di quel moto dell'animo, di quell'energia meravigliosa proprie della costruzione di un essere umano. Che sia Lorenzo Milani prete o giovane privilegiato, Affinati professore o studente, un ragazzo povero degli anni sessanta o il giovane Mohamed adesso arrivato dal Marocco in una delle nostre classi. 
Affinati è capace di mostrarci questo movimento invisibile ponendosi al centro di una forza - così umana - che si svela in tutto il suo impeto. Si interroga, si "usa", come usa il materiale letterario e biografico che ha accumulato nel tempo e che ora, leggendo, abbiamo anche noi davanti agli occhi: autori scoperti e amati, e le scelte di vita, le esperienze, gli incontri.
"L'uomo del futuro" è un libro sulla paternità, un tema caro ad Affinati e da lui sempre indagato per strade alternative. Una scrittura alta, aristocratica, piena di tenerezza.
Diventiamo padri dei nostri padri quando li superiamo per scelte, per cultura, per la nostra posizione nel mondo. Padri di figli mai generati eppure amati, cresciuti. 
Alunni che diventano i padri protettivi del loro insegnante, proprio loro, così scoperti e così esposti, che proteggono il professore Eraldo quando un giorno capita nell'officina dove lavorano che non vogliono che il loro maestro senta le parolacce, sono imbarazzati, vogliono preservarlo dalle brutture del mondo.
Vi sembra eccentrico definire la scrittura di Affinati "paterna"?
Di un un suo libro precedente mi sono portata dentro, ed è con me, l'immagine di un padre poverissimo che da ragazzino dormiva mettendo i pantaloni sotto il materasso per essere in ordine la mattina dopo a lavoro. Un'immagine che mi galleggia in testa da anni, nella sua carica di dignità e insieme di amore filiale. 
"L'uomo del futuro" continua il racconto che fu de "La città dei ragazzi" cercando ora le radici di una missione, le ragioni di una scelta come quella di insegnare agli adolescenti difficili. L'educatore si cerca, si perde e si ritrova e il colloquio con don Milani è fermamente letterario, di ricostruzione devotamente bibliografica. Mai un cedimento, mai una scorciatoia nell'andamento di questo libro.
Quale sarà l'immagine che conserverò di questa lettura non lo so. 
Per ora, ad accompagnarmi, è una sensazione di movimento. Una sensazione fisica e intellettuale, di energia pura, che non mi molla.






mercoledì 30 dicembre 2015

Ho dei libri 2015!

Ho del riso
dei libri 
e persino del tabacco.
(Santoka 1882-1940)



Il mio libro dell'anno non è uno solo ma l'opera omnia della scrittrice francese Annie Ernaux.
L'ho scoperta con "Il posto" e ritrovata con "L'onta".
Se la sua scrittura, in quanto a sobrietà e nitidezza, aveva un elemento zen in quella sottrazione stilistica che mi ha immediatamente folgorata, ne "Gli anni", uscito nel 2015 per L'Orma, questo suo sguardo semplicemente fisso sulle cose, questo suo inesorabile cercare "un posto" nel mondo, diventano qualcosa di nuovo. Eppure rimane sempre la stessa cosa, la stessa voce.

"Gli anni" di Annie Ernaux è un poetico, lancinante tentativo di mettere ordine nel caos per poter ricordare, per sottrarre alle tenaglie dell'oblio le cose vissute e passate. Le cose finite e morte.
Con meticolosità ed efferatezza rare Ernaux tenta di raccogliere istanti per offrirli al lettore uno per uno, come fossero fogli sparsi di un calendario che ora appositamente ricostruisce.
L'espediente narrativo è l'alternanza della descrizione di una vecchia foto, che sembra che le capiti quasi per caso tra le mani, come estratta da un mucchio disordinato, all'elencazione degli episodi storici e micro storici che "vivevano" intorno a quella stessa foto.
Un elenco freddo, lungo, preciso. Fatti, date, persone e avvenimenti sono lo sfondo di Annie Ernaux bambina, adolescente, vecchia. Una donna che guarda l'obiettivo e che si guarda. E si guarda mentre si mette in posa per chi la guarderà.
E che riesce anche ad allargare il campo ampliando la visuale per noi.
Vedete lettori? C'è un piccolo mondo, con le sue aspirazioni e con le sue frustrazioni, poi la società, poi c'è la Storia. Vedete? Un infinito gioco di specchi.
Sono anni, e capodanni, che passano uno dopo l'altro ed Ernaux dice e fa sempre la stessa cosa in ogni suo libro. Sempre la stessa cosa.
Ernaux, nella sua scrittura-istallazione, offre una visione e un sentire universali. Quello che descrive mi appartiene anche se non le sono vicina per esperienze o per generazione, tutta quella vita che respira e palpita intorno a quelle foto, è anche mia. 
La sua inesorabile ricerca, anno dopo anno, può essere anche la mia.

(Anno 2015)

venerdì 28 agosto 2015

Orienti da scoprire

Ho del riso 
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)
  



In questo agosto agli sgoccioli vi propongo l'haiku santokiano che di solito dedico ai libri di cui mi interessa parlarvi.
  
E vi propongo anche un meraviglioso viaggio da fermi, quello di "Cina e altri Orienti", scritto da Giorgio Manganelli e ora uscito per Adelphi con la cura di Salvatore Silvano Nigro.
Mai avrei pensato di innamorarmi di questo libro infilato all'ultimo momento in borsa, scritto da un intellettuale che ha vissuto come "a lato" del suo tempo, in un modo originalmente sghembo e che, finora, avevo trascurato. Ovvio. Sapevo. Sapevo che da molti è consideratissimo e che ha scritto tanto. Ma è andata così. Preciso, va così. Ci devi sbattere, contro un autore, ci devi sbattere da solo e in "quel" momento. Per me va così. 
Forse il cono di luce era tutto su Parise o Calvino, forse era il meno avanguardista del gruppo '63, il meno beffardo tra gli snob. Non so. O semplicemente piace troppo a chi non sopporto. 
Insomma, fino a questo libro, Manganelli non l'avevo ancora mai letto. 
Una volta lo vidi in tv, credo negli anni ottanta, alle prese con un pesce cinese dall'apparenza disgustosa ma di cui tesseva lodi sperticate. Era, fino a questo libro, solo un coriandolo, un pixel nel mio personale blob mentale, un panciuto e occhialuto signore di mezza età che parlava, dottamente divertito, e molto prima di tutti gli altri, di cibo cinese. 

"Cina e altri Orienti", che offre al lettore un diario di viaggio d'autore in posti esotici, Giorgio Manganelli l'aveva scritto pochi anni prima di quel pezzo televisivo che mi colpì. 
Quella mirabile spiegazione sui templi cinesi dove Manganelli chiede al lettore, per comprenderli bene, di immaginare di stare dentro una chiesa dove è possibile trovare la statua di Primo Carnera lì a sinistra, Cadorna a destra, Pico della Mirandola che vigila su Romolo e Remo, un Buddha sorridente vicino a Mandrake e poi lo zar Nicola, e il famoso protettore delle scimmie, Ugo Foscolo. 
E la Malesia, da lui amatissima e definita con la nitidezza dell'inchiostro di china, che leggiamo attraverso alcuni dei suoi suoi culti, dentro i suoi palazzi, fino nei suoi infimi commerci. Pagine innamorate del suo lento e seduttivo vivere. 
Le notazioni sulla pervasività dell'Islam, sull'epopea della famiglia Bhutto, i rumori della giungla tropicale come "vibrafono di chele", "minutaglia di suoni", "un bassocontinuo di microscopiche zampe". Il sesso, le case, gli alberghi, la lotta con l'aria condizionata.


(in viaggio)

Non ho molto altro da aggiungere, né è mia intenzione farlo, so bene quanto siano devoti ed esaustivi molti critici letterari nei suoi confronti. Prendetelo come un "post- it" per un prossimo viaggio da fermi.
Mi piace di più ricordare qui, e con voi, la sensazione di benessere provata nel leggere i suoi Orienti a distanza di quasi quaranta anni da questi nostri Orienti contemporanei, di una Cina che aveva da pochissimo tempo riposto le tute blu e appeso le bici al chiodo e che ora, insieme all'India, è ago della bilancia di tutta una nuova economia.
Le volute di un'intelligenza così acuta e lungimirante quella di Manganelli, un'ironia malinconica che sopravvive a dispetto della biografia.

E durante quest'estate, ora agli sgoccioli, l'ho spesso letto ad alta voce, condividendo con chi mi era accanto, l'unicità di questo suo sguardo che ho incrociato, a sorpresa, solo ora.
Dopo più di vent'anni da quella vecchia puntata di Mixer.