venerdì 28 agosto 2015

Orienti da scoprire

Ho del riso 
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)
  



In questo agosto agli sgoccioli vi propongo l'haiku santokiano che di solito dedico ai libri di cui mi interessa parlarvi.
  
E vi propongo anche un meraviglioso viaggio da fermi, quello di "Cina e altri Orienti", scritto da Giorgio Manganelli e ora uscito per Adelphi con la cura di Salvatore Silvano Nigro.
Mai avrei pensato di innamorarmi di questo libro infilato all'ultimo momento in borsa, scritto da un intellettuale che ha vissuto come "a lato" del suo tempo, in un modo originalmente sghembo e che, finora, avevo trascurato. Ovvio. Sapevo. Sapevo che da molti è consideratissimo e che ha scritto tanto. Ma è andata così. Preciso, va così. Ci devi sbattere, contro un autore, ci devi sbattere da solo e in "quel" momento. Per me va così. 
Forse il cono di luce era tutto su Parise o Calvino, forse era il meno avanguardista del gruppo '63, il meno beffardo tra gli snob. Non so. O semplicemente piace troppo a chi non sopporto. 
Insomma, fino a questo libro, Manganelli non l'avevo ancora mai letto. 
Una volta lo vidi in tv, credo negli anni ottanta, alle prese con un pesce cinese dall'apparenza disgustosa ma di cui tesseva lodi sperticate. Era, fino a questo libro, solo un coriandolo, un pixel nel mio personale blob mentale, un panciuto e occhialuto signore di mezza età che parlava, dottamente divertito, e molto prima di tutti gli altri, di cibo cinese. 

"Cina e altri Orienti", che offre al lettore un diario di viaggio d'autore in posti esotici, Giorgio Manganelli l'aveva scritto pochi anni prima di quel pezzo televisivo che mi colpì. 
Quella mirabile spiegazione sui templi cinesi dove Manganelli chiede al lettore, per comprenderli bene, di immaginare di stare dentro una chiesa dove è possibile trovare la statua di Primo Carnera lì a sinistra, Cadorna a destra, Pico della Mirandola che vigila su Romolo e Remo, un Buddha sorridente vicino a Mandrake e poi lo zar Nicola, e il famoso protettore delle scimmie, Ugo Foscolo. 
E la Malesia, da lui amatissima e definita con la nitidezza dell'inchiostro di china, che leggiamo attraverso alcuni dei suoi suoi culti, dentro i suoi palazzi, fino nei suoi infimi commerci. Pagine innamorate del suo lento e seduttivo vivere. 
Le notazioni sulla pervasività dell'Islam, sull'epopea della famiglia Bhutto, i rumori della giungla tropicale come "vibrafono di chele", "minutaglia di suoni", "un bassocontinuo di microscopiche zampe". Il sesso, le case, gli alberghi, la lotta con l'aria condizionata.


(in viaggio)

Non ho molto altro da aggiungere, né è mia intenzione farlo, so bene quanto siano devoti ed esaustivi molti critici letterari nei suoi confronti. Prendetelo come un "post- it" per un prossimo viaggio da fermi.
Mi piace di più ricordare qui, e con voi, la sensazione di benessere provata nel leggere i suoi Orienti a distanza di quasi quaranta anni da questi nostri Orienti contemporanei, di una Cina che aveva da pochissimo tempo riposto le tute blu e appeso le bici al chiodo e che ora, insieme all'India, è ago della bilancia di tutta una nuova economia.
Le volute di un'intelligenza così acuta e lungimirante quella di Manganelli, un'ironia malinconica che sopravvive a dispetto della biografia.

E durante quest'estate, ora agli sgoccioli, l'ho spesso letto ad alta voce, condividendo con chi mi era accanto, l'unicità di questo suo sguardo che ho incrociato, a sorpresa, solo ora.
Dopo più di vent'anni da quella vecchia puntata di Mixer.

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