giovedì 28 marzo 2019

Pallicchio


Giorno di primavera
si perde lo sguardo
in un giardino largo tre piedi
(Shiki 1869-1902)



Non ho cani non ho gatti, per pigrizia e per timore. Scendere in strada, magari dopo aver infilato il piumino sopra il pigiama e le scarpe sulle pantofole, non fa per me. Aggirarmi a tutte le ore coi sacchetti legati alla tracolla della borsa nascondendo nella tasca quello riempito, caldo come un pezzo di pizza e, sicuro, dimenticarmelo lì, no. 
O soffrire come un cane se quella cosa delle sette vite del gatto è leggenda, spendere capitali in crocchette e bocconcini risparmiando su quella gonna fichissima, organizzare dove lasciarla, la bestiola, dal 5 al 10 agosto, pochi giorni, ma sono già tutti partiti. Sono troppo egoista, troppo poco animalista, poco gattara e poco canara.
E' così Pallicchio mi ha fregato. 
Ad agosto di due anni fa Coin vendeva lui e alcuni suoi simili rimasti, kokedama ignorati dalla maggioranza dei compratori, scontatissimi sopravvissuti all'euforia dei saldi. Niente male queste piantine nipponicamente alloggiate su una palla di muschio. Fino a quel momento non sapevo cosa fossero i kokedama: Santōka non ne aveva mai visti, mai apparso un kokedama dentro un haiku, mai, ma quel suo esotico pallicchiamento spiccava su tutto. E gli oggetti da design da grande magazzino, i vasi colorati che sembrano di vetro ma sono in metacrilato (quante cose si imparano facendo shopping), le tazzine col manico sul piattino, la serie di specchi pazzarelli, quello coi baffi, quello per lei col cappellino sulle ventitré, sbiadivano al confronto di Pallicchio. 
Mio!
Pallicchio mi aspettava immobile, in equilibrio sul suo piccolo mondo di fango e muschio, e appariva per quello che era: un'allegoria scontata, ma non scontata, di tutto il cosmo. Veniva venduto provvisto anche di un micro imbuto in omaggio.
Da allora lo innaffio ogni giorno, chiede solo questo Pally, due cucchiai di acqua che si  sgargarozza attraverso il foro in alto, da sigillare col bastoncino. "Il legnetto segna l'umidità all'interno del muschio. Basta osservarlo..." sussurrava la commessa assumendo un'aria sapienziale inedita fino a quel momento.
Tutti diventano un po' sapienti, un po' haijin stando insieme a Pallicchio. Pallicchio. Allegoria da scrivania di questo mondo vano su cui la vita resiste nonostante la poca cura che gli dedichiamo, Pallicchio piccolo come un haiku, leggero come il vento tra le fronde, tondo come l'infinito. Pensavo questo fino a stamattina quando per fotografarlo ho fatto fuori col gomito un oggetto di ceramica a cui ero molto affezionata. 
Inizia a rompere anche lui.


 Pian (e) ta





giovedì 21 marzo 2019

La poesia salverà il mondo


ll mondo sottomarino,
Foreste al fondo del mare, i rami, le foglie,
Ulivi, ampi licheni, strani fiori e sementi,
folte macchie, radure, prati rosa,
Variegati colori, pallido grigio verde,
porpora, bianco e oro, la luce vi scherza
fendendo le acque
Esseri muti nuotan laggiù tra le rocce,
il corallo, il glutine, l’erba, i giunchi,
e l’alimento dei nuotatori
Esseri torpidi brucan fluttuando laggiù,
o arrancano lenti sul fondo,
Il capodoglio affiora a emetter lo sbuffo
d’aria e vapore, o scherza con la
sua coda,
Lo squalo dall’occhio di piombo,
il tricheco, la testuggine, il peloso
leopardo marino, la razza,
E passioni, guerre, inseguimenti, tribù,
affondare lo sguardo in quei fondi
marini, respirando quell’aria così
densa che tanti respirano,
Il cambiamento, volgendo lo sguardo qui
o all’aria sottile respirata da esseri che
al pari di noi su questa sfera
camminano,
Il cambiamento più oltre, dal nostro
mondo passando a quello di esseri
che in altre sfere camminano.
("La poesia salverà il mondo" di Walt Whitman)


Walt Whitman, il poeta amato da David Hockney, dal pittore più quotato, novanta milioni di dollari un suo dipinto all'asta mesi fa. Se fossi ricca, ma tanto tanto ricca, me lo comprerei proprio un quadro di HockneyUno di quelli con la piscina, i riflessi sull'acqua turchese che saettano sul rosa delle figure. La luce definitiva, post atomica, il trampolino che disegna un'ombra sul bordo della vasca, le tessere delle mattonelle ocra una dopo l'altra. Il tuffo già fatto, il sesso consumato, il drink già bevuto, il vetro della finestra della villa fuxia è stato ben lucidato da qualcuno che ora non c'è più. 

Folte macchie, radure, prati rosa,
Variegati colori, pallido grigio verde,
porpora, bianco e oro, la luce vi scherza
fendendo le acque
Esseri muti nuotan laggiù tra le rocce 

Ma non posso permettermelo quindi, per stare bene, leggo poesie che è lo stesso e costa meno. Mi fanno entrare nel cuore delle cose, fanno il lavoro sporco per me sfrondando, sintetizzando, asciugando il pensiero e me lo mostrano bello, nitido, senza sbavature. A colori. Le poesie sono il quadro, il viaggio. Sono cinema e teatro. Sono il buco da cui entrare e guardare di là. Sono la mia anestesia al dolore del mondo.

(mondo poetico)


mercoledì 20 marzo 2019

Bed-in di John e Yoko


Registra il suono di amici che ridono insieme
Conservalo per un giorno di pioggia
("Suono V" di Yoko Ono) 

Le nozze d'oro di John e Yoko e cinquanta anni dal bed-in di John e Yoko, performance pacifista e poetica della storia d'amore che ha fatto la storia del rock. Cinquanta, caspita, cinquanta da quel sogno. Cinquanta, come i miei. E conservo per i giorni di pioggia le registrazioni di vecchie canzoni che continuano a ridere dentro di me.  

Nota
Che Yoko mi stesse simpatica, a dispetto della maggioranza che la vede come una strega spacca Beatles, e spacca palle, non ne ho mai fatto mistero anzi, la seguo da anni, in tutte le sue forme e stravaganze (mi piace anche come poetessa, pensa un po' 
< clicca QUI>) . 


(Stand by me)



lunedì 18 marzo 2019

Mario Marenco


Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande
(Santōka 1882-1940)


Marenco mi è riapparso a sorpresa tempo fa, nella sede dove lavoro, dentro l'ascensore di Via Asiago. Stessi capelli dritti e rossi, mi disse che era capitato nei suoi vecchi studi per un'intervista, io gli ho fatto un inchino per gioco. Abbiamo condiviso qualche piano sorridendoci, gli ho taciuto che un giorno di anni e anni prima mi sollevò di peso portandomi in giro per tutti i corridoi del secondo piano di viale Mazzini. Sorridevo e lo osservavo. Un po' di Sgarambona e un po' di Riccardino, un po' di Buttiglione e di Aristogitone - e un po' dell'architetto - convivevano ancora dentro quella sua testa spettinata e geniale, fuoriuscivano attraverso la voce, come a prendere aria, e poi se ne tornavano dentro, passando dagli occhi, sempre mitemente allucinati.


(Alto gradimento)




giovedì 14 marzo 2019

Salutismo ovvero l'arte del saluto




Ciao faccia bella,
gioia più grande.
Il tuo destino è l’amore. Sempre.
Nient’altro. Nient’altro nient’altro.
(in "Paesaggio con fratello rotto" di Mariangela Gualtieri)


Nella mia amata città, Roma ingrugnata e incarognita, nel traffico o tra vicini di pianerottolo, un sorriso è un gesto inaspettato, il saluto, addirittura, puro terrorismo. Ho visto gente tremare di paura, il ciao ciao con la mano viene visto come un gesto sovversivo o da freaks, compiuto da diseredati, emarginati, da persone da tenere alla larga.
Nel mio ambiente, poi, salutarsi, a volte significa scendere di un livello, rimanere nello scalino più basso, a Roma si dice "fare i vaghi", e ci si riesce bene, ve lo assicuro (provato sulla mia pelle). 
Ma io faccio parte dei "salutisti", non posso farci nulla. Non fraintendetemi, vi prego, non mi nutro di bacche e semi e se sento nell'aria il profumino di un panino con polpetta scatto sempre sull'attenti in modalità Poldo. Non parlo di "quel" salutismo, quel vegan-bio-fit-gym che ti fa stare in forma ma ti rende aggressivo come un serial killer, o un fissato ossessivo quando va bene, ma di quell'altro salutismo, quello che si fa con la mano o dicendo "buongiorno". Abbassare la guardia lo trovo così rilassante.

Ciao faccia bella.

Amo il salutismo, dovrebbe essere più praticato.


(saluto al sole)

mercoledì 13 marzo 2019

13 marzo 2019




Al profumo dei pruni
d'improvviso, appare il sole
sul sentiero montano
(Bashō 1644-1694)


Ci sono dei giorni, né belli né brutti, che uno vorrebbe fermare. Sono perfetti, trasparenti come fatti di acqua limpida, i semafori sono verdi, qualcuno che non conosci ti sorride, non succede nulla di particolare alla fine, solo scorrono lisci, ora dopo ora. Nel calendario di ognuno sono rari e silenziosi questi giorni, se capitano non ce ne accorgiamo neppure.



(incontri)



martedì 12 marzo 2019

il mondo dei buoni


Dove va,
non avrà scampo
tra cielo e terra
quell'azzurra
e nera transumanza -
la storia umana
non la leggi bene, scienza,
non vede la tua lente
dentro quella consustanza
il sogno, l'agonia, la riluttanza
e quel tempo, a quella postura.
Eppure, eppure...
(In "Lasciami, non trattenermi" di Mario Luzi)

Tra le persone perite nell'incidente aereo molte erano impegnate in attività umanitarie. Ignorate dai più, troppo spesso venivano ostacolate o, peggio ancora, irrise. Ho trovato questi versi di Mario Luzi per ricordare ogni vittima, per cercare nelle parole di un poeta un appiglio, una ragione. Oggi muore un'umanità umana, ed è come se quest'accadimento tragico fosse l'allegoria sbilenca dei tempi che viviamo.
I versi di Luzi rimandano al famoso haiku di Issa:

è di rugiada
è un mondo di rugiada
eppure eppure

Luzi ne svela la forza, come se avesse voluto fermarsi per spiegarcela meglio, liberarla dalla costrizione della brevità, e da questo mondo fragile, tanto da essere di rugiada - riesce a salire quell' eppure eppure di resistenza a cui aggrapparci.


(Bosco di bambù)

venerdì 8 marzo 2019

8 marzo


Cascata di neve
si immerge e si solleva
corpo di donna
(Momoko Kuroda 1938)

È possibile condividere una festa? Dedico la parte che mi spetta della ricorrenza di oggi ai diritti di tutti, per chi soffre discriminazioni, per chi non è rappresentato o tutelato, per chi viene guardato con diffidenza. Auguri a tutti.

(Augurio?)

giovedì 7 marzo 2019

"Leggittima" difesa


Hanno sparato a mezzanotte, ho udito
il ragazzo cadere sulla neve
e la neve colpirlo senza un nome.

Guardare i morti alla città rimane
e illividire sotto il cielo. All’alba,
con la neve cadente dai frontoni
dai fili neri, sempre più rovina
accasciata di schianto sulla madre
che carponi s’abbevera a quegli occhi
ghiacci del figlio, a quei capelli sciolti
nei fiumi azzurri della primavera
("Hanno sparato a mezzanotte" di Alfonso Gatto)


La mia legittima difesa sarà "leggittima" con due g, nel senso di leggere, di lettura, di libri. Leggittima. La mia difesa dai cattivi continuerà attraverso, ad esempio,  un romanzo tenuto in mano, faccio il vuoto intorno, giuro, temuta come un super eroe o una zombie repellente. In una qualsiasi sala d'aspetto, in banca o in fila alla posta, a me non si avvicina nessuno. E la mia libreria che si intravede dalla finestra, allora? Funziona da anni da antifurto, ottimamente, chi mai scassinerebbe una casa coi libri dentro? Che mai può esserci di  buono da rubare nelle case di noi lettori, poveri freaks sopravvissuti che preferiamo la complessità alla pancia, un libro a un tweet. Che preferiamo morire in nome di tutto questo?


(Armi improprie)



martedì 5 marzo 2019

PPP



L'intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
(In "Poesia in forma di rosa" di Pier Paolo Pasolini, Garzanti)

E oggi nasceva Pasolini. Le sue poesie civili ricorrono tutti i giorni, senza bisogno di nessi o notizie. Mi paiono ami infilzati, la cui punta ritorta fa suppurare ferite antiche che non sanano mai.

(Mamma Roma)




   

lunedì 4 marzo 2019

4 marzo


Così come una farfalla ti sei alzata per scappare 
Ma ricorda che a quel muro ti avrei potuta inchiodare 
Se non fossi uscito fuori per provare anch'io a volare 
E la notte cominciava a gelare la mia pelle 
Una notte madre che cercava di contare le sue stelle 
Io li sotto ero uno sputo e ho detto "Olé" sono perduto
La notte sta morendo 
Ed è cretino cercare di fermare le lacrime ridendo 
Ma per uno come me l'ho già detto 
Che voleva prenderti per mano e volare sopra un tetto
Lontano si ferma un treno 
Ma che bella mattina, il cielo è sereno 
Buonanotte, anima mia 
Adesso spengo la luce, e così sia
(Da "Cara" di Lucio Dalla) 

Quando ancora compravo i dischi (no, non cascateci, non parto con la solfa del vinile e dello scricchiolìo dei solchi, dei bei tempi andati o della crisi del disco o spotify, no, intendo quando ancora seguivo la musica "direttamente", quando le canzoni erano come "mie" e la musica mi arrivava così, per generazione, dritta e direttamente nelle orecchie, poi arrivava nel cuore, infine nel cervello formandomi il gusto, e forse il carattere, e gli anni in cui mi sarebbe sfuggita, e con lei i suoi nuovi cantanti, - perché proprio non li sento i nuovi, non me ne accorgo di loro -, questi anni qua erano ancora di là da venire e non li consideravo, beata la me di allora!) mi sono divertita coi testi di Dalla a scovarci dentro in quasi tutti, un riferimento al cielo. 
Stelle, nuvole, luna, aria, vento, sole erano immagini tra una parola e l'altra che nella mia testa coloravano di blu ogni sua canzone, donandole uno struggimento infinito come quello che si prova prima di addormentarsi 


(Settima luna)








venerdì 1 marzo 2019

Bullismo & c.


All'ombra dei fiori,
sono insonne;
il futuro mi spaventa
(Issa 1763-1827)


Dedico questo tenero haiku di Issa a tutti i ragazzini che non riescono a dormire perché hanno paura, vittime di una violenza silenziosa e crudele come quella fra coetanei o di una discriminazione qualsiasi come quella nei confronti dei bassi, grassi, neri, gialli e marroncini, disabili, omosessuali, rom, migranti e non so quale altra demente classificazione.
E dedico questa storia di tanti anni fa che ho chiuso, per quanto mi bruciava, anche dentro il mio libro "Haiku e sakè".

***

Era un pomeriggio di luglio. Ero al mare, a Ostia, per una di quelle domeniche di quasi vacanza su e giù da Roma in cerca di un po' sole. Il costume sotto la gonna jeans, la borsa carica di asciugamani e giornalini, la postazione nella cinquecento di mamma quella solita: davanti. Così contavo gli alberi della Via del Mare, intravedevo le rovine di Ostia Antica per prima e spiavo meglio quelli che ci superavano.
Ma quel giorno d'estate fu diverso dagli altri e si inserì, nel mio calendario personale, di fatto, tra quelli "indimenticabili". Ma ancora non lo sapevo.
Avevo circa tredici anni anni, ricordo bene il mio costume, era quello optical bianco, rosso e blu. I triangoli del pezzo di sopra si riempivano poco da farmelo sempre spostare e aggiustare, sul corpo ancora senza forme. Ero a metà. Tra quel mondo lì, che ancora vedevo vicino (infanzia, bambole, giochi per terra) e questo qui, quello dove mi trovavo già. Nessun punto vita da evidenziare con una bella cintura, nessuna mossa maliziosa, la seduzione un pianeta sconosciuto che non mi interessava. Piuttosto facevo eccentriche prove generali di bellezza, un po' fai da te, a dire il vero, come attaccare un piccolo ciclista autoadesivo dorato alla lente dei miei ray-ban gialli (ancora ricordo la sensazione di fierezza allo specchio, mai sentita meglio), dormire con il naso schiacciato sul cuscino per cercare di ottenere la bocca che scoprisse un po' gli incisivi, tale e quale a quella, per me bellissima, della mia migliore amica, oppure la fissa della visiera, un triangolo di plastica rigida verde, che mettevo a mo' di cerchietto per evitare che i capelli mi andassero sugli occhi - e quindi sugli occhiali fichissimi - e che finiva per stare ritta, con la punta verso il cielo. Non me ne curavo che stesse all'insù perché, l'avrei capito anni dopo, stavo ancora con un piede lì, ero ancora regina di un interregno pre-tutto.
E così come ero, costume storto, occhiali col ciclista e visiera dritta, mi sentivo una vera miss universo 1980.
Mi apprestavo a passare il mio pomeriggio, con mia madre che stava con le sue amiche sotto l'ombrellone e che si spupazzava la mia sorellina intenta nei castelli di sabbia. Non avevo amici-del-mare ma stavo bene anche sola. La sacca la riempivo di quaderni e pennarelli, dei libri delle vacanze e di bacche che raccoglievo dai cespugli bordo piscina per farne un giorno dei profumi buonissimi. E aspettavo l'ora per il bagno dopo mangiato. Posso dirlo? Mi sa che ero felice.
Vidi un'altalena all'ombra, ci salii e iniziai a dondolare, in quel pomeriggio che non dimenticherò più. Ero sola. Forse cantavo qualche cosa. Figli delle stelle? Possibile. Mi rinfrescavo al vento, sentire l'attrito della visiera era bellissimo. Un po' windsurf. Sul sedile ancora ci entravo. Fra un po' mi farò il bagno, pensavo. 
Alcuni ragazzini si appostarono silenziosi alle mie spalle. Quanti erano? E perché non ridevano tra loro, perché non parlavano? Capii in quell'istante che quella sarebbe stata una giornata che non avrei più dimenticato. Alcuni li conoscevo, li vedevo giocare partite di pallone sulla spiaggia, sgambettavano lucidi, magri, spavaldi, dicevano parolacce, mi sembravano piccoli dei inavvicinabili. Uno di loro era il figlio del gelataio di Ostia, questo lo sapevo, era identico a suo padre. Un bel ragazzino sempre con la sabbia appiccicata alle spalle nere di abbronzatura.
Continuavo a dondolare sulla mia altalena mentre il gruppetto, a un segnale che non vidi ma che immaginai, decise di prendere di mira miss universo 1980. Letteralmente di mira. 
Staccavano le bacche dai cespugli e me le lanciavano sulla schiena. Le staccavano via via, una dopo l'altra, e mi gridavano "ah mostrooo!", "mostro, mostro!", "mostrooo!".
Continuavo a dondolare, mani serrate sulle due catene che reggevano il suo sedile, canticchiando sempre più piano, sempre più piano, sempre più dentro. Non scappavo. 
Non a caso ero miss universo 1980.
Rimasi lì, sempre dondolando, mentre bacche e parole si infrangevano una dopo l'altra sulle mie spalle, sulle gambe, sulle dita, mi si impigliavano tra i capelli. Facevano male.
E poi? Non ne volli sapere di girarmi verso di loro o di scendere dall'altalena. Un misto di coraggio e disperazione. Continuai con il mio su e giù e i ragazzetti si stancarono. Tutto qui. Tutto tacque.
Silenzio e di nuovo le cicale. 
Quanto durò? Non me lo ricordo più. Il mio interregno, di cui ero la regina assoluta, finì quel giorno. 
Presi da terra la mia sacca, me la misi a tracolla facendo sempre molta attenzione alla visiera, mi incamminai verso l'ombrellone di mia madre.
"Susanna, cosa c'è?"
"Niente, mami, tutto ok."
"Che dici, torniamo a casa? Si è fatto tardi..."
"Ok."
Molti anni dopo, ma molti anni, in un pomeriggio di luglio indimenticabile, di quelli che il calendario personale incornicerebbe di rosso, sono tornata a Ostia. 
"Ti va un gelato?"
"Entriamo, so che questa gelateria è la migliore di Ostia"
E dietro al bancone ho visto il ragazzetto di allora, imbolsito e oggi sussiegoso, che mi chiede: 
"Signora, che gusto?"
"Bacche!" 
Ma invece ho detto "Crema e cioccolato, grazie!".
Ho preso il mio cono e sono uscita dal bar.

(Costruzione di sé)



giovedì 28 febbraio 2019

Bei pensieri


Nascono i bei pensieri sopra i ponti
e sempre ci si ferma sopra i ponti
per contenere quell’atomo di grazia
sospeso in equilibrio
tra gravità di sponde e cieca corsa d’acqua.
Ti darò appuntamento sopra un ponte,
in questa mezza terra di nessuno.
 ("Ponti" di Patrizia Cavalli)


La Roma dell'architettura fascista, quella che attraverso ogni giorno. Quei grugni, identici l'uno all'altro sotto l'elmo, e sbalzati nei rilievi di marmo che ornano l’entrata al ponte. Davanti a me l'obelisco con la scritta DVX dove qualcuno si fa la foto ricordo: da star male ogni volta. 
Dopo la doppietta di colazione e GR, come ogni mattina attraverso il ponte per raggiungere la redazione.  "Crescita zero e stop alle riforme, la Commissione UE richiama l'Italia", diceva la radio.
Vedo il fiume sotto di me scorrere lento, in questa mezza terra di nessuno. Un gabbiano ha puntato il solito cassonetto ancora da svuotare, un albero caduto ancora in mezzo alla strada, un autobus cigola dietro di me come il vecchio carrozzone che siamo diventati.


(manovra economica)