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lunedì 25 aprile 2022

25 aprile

Spuntano i germogli
al tronco d'un grande albero
poggio l'orecchio
(Hosai 1885-1927)


Quando ascolto le testimonianze dei partigiani quei vecchi corpi diventano legno vigoroso, si coprono di foglie verdi, le braccia rami fronzuti sotto cui ripararmi.

                                                                           (Partigiano)



lunedì 3 gennaio 2022

Archiv- io

Spuntano i germogli
al tronco d'un grande albero
poggio l'orecchio
(Hosai 1885-1927)

Questa mattina sceglievo in archivio qualche frase da mandare in onda per l’omaggio a Gianni Celati che avevamo previsto in apertura di puntata. Rovistare nelle vecchie interviste è tra i compiti del mio lavoro ma la nota struggente di quello che trovo, che risuona diversamente dopo che chi ha  pronunciato quelle parole non è più, finisce per accompagnarmi nella giornata intera. È una strana sensazione, che riconosco ogni volta in cui sono intenta in questa operazione di ricerca, attiene alla cosiddetta professionalità ma ha molto della sfera intima, legata com’è, l’azione del riascolto, a una strana, sorprendente forma di autoanalisi. Ci si immerge in un’altra esistenza - che non è più - ma anche in un antico io (ero lì a Torino, il mio ricordo di Celati seduto con qualcuno, dietro le quinte, in attesa di essere intervistato, la sua distante gentilezza… ). E finisce che mi riascolto in parole altrui, perché quel momento che fino a poco prima era perso nella mia memoria, adesso porta la data d’archivio, scritta con i pixel della schermata. Scelgo le frasi più adatte da mandare in onda di lì a poco, un montaggio di cinque minuti che racconti qualcosa…

Celati ponderava le parole. E rispondeva con calma, pensandoci bene. Con mitezza e precisione. Ghirri aveva un’estetica “soffice”, dice a un certo punto Celati, e usa questo bell’aggettivo, “soffice”. Quanta precisione in una parola sola per definire la luce di una grande fotografo! E quanta intelligenza e cultura ci vuole per trovarla tra le mille possibili.


                                                                        (germogli nel caos)
                           

sabato 25 dicembre 2021

Favola di Natale


Montagne remote
specchiate negli occhi
delle libellule
(Issa)


Qualche estate fa in un libro lessi di un gioco che facevano tra loro i personaggi della storia: tre domande per tre risposte e i due avrebbero scoperto quale fosse il loro animale totem. Replicai il gioco subito, neanche a dirlo. Mi sarei di sicuro rivelata in una farfalla, o in una libellula, comunque sarebbe stata una creatura lieve, lieve e colorata… Se poi dovesse venire evidenziata la mia eleganza, pensavo, vada per il gatto, oppure la tigre per quella nota esotica, vaga lussuria eternamente fashion… Alla fine, l’altro “io” mi sarebbe andato bene pure come cane - non sono una giocherellona adorabile? - o come tenero cerbiatto, volpe fulva e astuta, oppure aristocratica leonessa. Anche usignolo canterino, perché no, oppure un bel pinguino dall’alto senso di responsabilità. O cicala estiva, che almeno quel suo momento se lo gode tutto eccome…
Sono un rinoceronte, il gioco disse questo. 

E così, da quel lontano agosto, imparo a portare corno e mole con una certa disinvoltura. Perché ho capito se carico faccio il deserto e se mi gratto la schiena sradico un albero. Provare a tenere a bada zampe e muso, cercare di passare dalla porta senza restare incastrato negli infissi che sfondo è, giorno dopo giorno, la favola che vivo.




martedì 27 luglio 2021

Il clima ideale


Sotto un albero gigante
io e il cane 
inzuppati 
(Santōka 1882-1940)


Amo le estati tutte uguali. E amo le estati raggiungibili, quelle semplici, le estati a Cervia, Riccione, Pinarella… Con le bici e la piadina, gli alberghi allineati come soprammobili di dubbio gusto sullo scaffale del lungomare, c’è quello a forma di casetta nel bosco, il salvadanaio, la torta… Le discoteche, lo struscio, il gelato, e la parlata morbida e gentile. Il sogno. No ansia, no stress, no aggressività. Un paesino nell'interno si chiama Premilcuore, ci si va? 
Povera Emilia Romagna bersagliata da pallettoni di grandine, povere estati di fuoco e ghiaccio.

                                                                           (Protezione)

martedì 1 giugno 2021

In bilico su giugno



Cinquanta volte giugno,
e sarei io l’anello?
L’anello è lui, questo tempo elicoidale
che torna su se stesso
sempre uguale e uguale mai,
mio giugno, anello solstiziale
di sangue, di nozze, di addio,
eterna vigilia di quella vacanza
che infine giungerà pura
nudissima luce definitiva,
mio sabato dell’anno, rompendo
finalmente l’anello sisifale.
(Valerio Magrelli, da “Il sangue amaro”

Valerio Magrelli in un mese della sua vita, in bilico, come capita a noi che guardiamo avanti e indietro cercando equilibrio nel tempo elicoidale che segna solo la poesia. È il rovello di questi giorni di caute uscite dal nido, equilibrio da cercare dentro la polpa acre delle nespole sull’albero condominiale. 

                                                                          (quasi estate)


lunedì 23 novembre 2020

Paul Celan

Filamenti di sole
sopra lo squallore grigionero.
Un pensiero ad altezza 
d’albero s’appropria il tono
che è della luce ancora
vi sono melodie da cantare
al di là degli uomini.
(In “Svolta del respiro” di Paul Celan, trd. Giuseppe Bevilacqua)

Ieri ci siamo rifocillati d’aria e luce. Abbiamo preso la macchina puntandola verso una campagna vicina, pochi chilometri - non abbiamo bisogno di distanze ma di vicinanze - e iniziato la passeggiata. Il Tevere fluiva nel suo letto naturale ancora ignaro del traffico e dei ponti di marmo, e gli aironi puntellavano l’acqua con zampe spillo. Un viale di querce, poi di canne, la terra morbida sotto le suole e le pecore che si spostavano come nuvole sul cielo verde, spazzate via da cani ruvidi che ci avvisano di qualcosa abbaiando. La svolta del respiro per noi.


                                                                   (Paul Celan 1920-2020)



martedì 24 dicembre 2019

Sorpresa di Natale


Natale -
là c'è la stalla
con un cavallo dentro
(Saito Sanki 1900-1962)


Se pensavate che non esistessero haiku natalizi, ecco una sorpresa. L'atmosfera del Natale occidentale nel rigore enigmatico e tutto orientale di uno haiku.
Allora sotto il mio albero strano posso mettere un pacchetto con un'altra sorpresa dentro: l'assoluzione di Marco Cappato. Gli auguri sul biglietto vanno a lui, che scelta civile e dolorosa si è voluto assumere in nome di una società civile, e a tutti coloro che, come DJ Fabo, amavano e amano così tanto la vita. 


(Il mio albero di Natale)







domenica 15 settembre 2019

Il mio libro


Spuntano i germogli
al tronco d'un grande albero
poggio l'orecchio
(Hosai 1885-1927)

Questo è l'haiku a cui mi riferisco nel pezzo uscito ieri su "Il Fatto". Lo dedico agli ascoltatori, a chi fa la radio e a chi la sente e a chi sa quello che ha significato per me questo viaggio nelle vite degli altri. Yuppi!
Ed ecco il testo per chi l'avesse perso:

Ho sempre amato la radio. Da bambina puntavo la sveglia alle 5.45 per ascoltare il bollettino del mare dalla mia radietta a forma di scatola che tenevo sotto il cuscino. Immaginavo un capitano vero, con tanto di barba, cappello e timone che, ritto sulla tolda della nave, leggeva agli ascoltatori le sue misteriose informazioni: Libeccio, Forza 8, Stretto di Sicilia, 10 nodi, Mar Libico. In quel limbo tra sogno e realtà bastava solo aspettare sotto le coperte: mamma e papà si sarebbero svegliati, avrei fatto colazione e infilato la cartella, pronta per affrontare una nuova giornata. Magari il famoso libeccio avrebbe soffiato proprio quel giorno, chissà
Dalla voce professionale del bollettino di Radio Rai sono passati decenni e adesso in quella scatola ci lavoro. E così ho finito per amare anche la radio che non va in onda. La lotta al montaggio per un minuto irrinunciabile, il turno di registrazione che salta, le riunioni di redazione, la soddisfazione di una sfumata” giusta o di un taglio” impercettibile, lattesa di un ospite che non arriva e intanto la diretta procede inesorabile verso il precipizio… Amo fare la radio, costruire una scaletta, organizzare gli speciali dai festival o da posti meno fotogenici come una mensa per i poveri, un carcere, un quartiere difficile. 
Un giorno di qualche anno fa chiamò un ascoltatore per partecipare alla diretta. Nulla di nuovo, la radio non è forse per chi lascolta? Cosa c’è di straordinario in una telefonata per rispondere a un quiz? Eppure quel giorno, un giorno come tanti di qualche anno fa, quando lascoltatore fu collegato per andare in onda, dentro di me scattò qualcosa.
Da dove chiama, Michele?” gli fu chiesto. Da un alpeggio, faccio il pastore, rispose. Cera poco tempo, il segnale orario incombeva, il conduttore raccolse la risposta e lo salutò. Da un alpeggio. Un pastore. Un pastore che sente la radio, mi ripetevo, da un alpeggio. Uno che ci telefona e dice: la risposta per me è Autodafé di Canetti, mentre in sottofondo si sentono belati e campanacci. Avrei voluto piantare tutto e andare lì in Piemonte, tra quelle montagne che dun tratto mi sono apparse davanti agli occhi ascoltando il signor Michele. Volevo conoscere la sua storia, capire chi fosse, come fosse arrivato lassù in quellalpeggio e da dove. Ecco, è stato allora che ho scoperto per la prima volta cos’è un ascoltatore, intendo la persona ascoltatore in carne e ossa. Uno che poggia la radio sempre sullo stesso sasso perché solo lì trova la sintonia giusta, come potevo non andare a conoscerlo? E così ho copiato il suo numero di telefono e lho messo da parte, senza sapere ancora cosa farne.
Fino a quel momento per me gli ascoltatori erano una comunità astratta. Grazie a Michele ha cominciato a girarmi in testa unidea diversa: potevo andare io da loro, provare a restituire un corpo allorecchio, farli immaginare, farli sentire, renderli visibili. Conoscerli nelle loro case, tra i loro affetti, raccogliere le loro esperienze di vita, magari proprio davanti agli apparecchi dai quali ci ascoltano ogni giorno. Dopo Michele di Mondovì ho incontrato Stefano, un ex sacerdote ora portiere di uno stabile romano, e Ivo, anche lui romano, un vecchio rugbista amante della rassegna mattutina dei giornali, e Adriano a Castelfranco Veneto, e Armando che insegna scacchi in una scuola media di Castellamare di Stabia, per me un vero samurai, e Valeria, di nuovo a Roma, e poi Angela e Angelo di Andria, e Paola a Brescia, Lisa e Francesco a Levico Terme, e Vinni ad Alghero. Ho provato a forzare la loro ritrosia, a farli parlare. Forse, chissà, ho imparato la loro larte: drizzare le antenne, mettersi in ascolto. E’ stato un lungo viaggio, per certi versi ho compiuto un giro completo: è come se fossi tornata ad ascoltare la mia radietta a forma di scatola.
Continuo a pensare che la radio contribuisca non solo a raccontare il mondo ma anche ad ascoltarlo, nel suo rumore e nei suoi silenzi. In un'antica poesia giapponesequalcuno poggia lorecchio sul tronco di un albero per sentire il germoglio, è unazione così bella. Attiene al rispetto, allattesa, comporta tolleranza, riflessione. E’ una disciplina, e come tale richiede tempi lunghi, meno contratti. Così, anche se intorno tutti strepitano, resiste una comunità invisibile e ricchissima, unarcadia di persone capaci di ascoltare chi sta dicendo qualcosa.
("Ascoltatori. Le vite di chi ama la radio" edizioni add)

venerdì 9 agosto 2019

La casa di un attimo


Il sogno segreto
dei corvi di Orvieto
è mettere a morte
i corvi di Orte.


Mi capita ogni volta quando, dal treno, vedo Orvieto. E' un attimo, anzi, con l'alta velocità, anche meno. Un battito di ciglia. Orvieto. E ho una bella casa di campagna, di quelle con l'orto e la distesa di girasoli, le tende che si gonfiano per il vento d'estate alle finestre. Le mura della mia casa-di-un-attimo sono belle spesse, è una casa vecchia, quindi molto fresca, forse era dei miei nonni, sul retro ha un orto e la quercia. La sera ci si mangia sotto l'albero, basta apparecchiare la tavola. Qualche olivo intorno. Sì, sì. E l'olio o il vino, da regalare a qualcuno che passa da me. 
Nella casa-di-un-attimo, lo vedo ogni volta anche dal treno, sopra una mensola, c'è un vaso di fiori freschi, rose campagnole in grappoletti. Il vaso è di vetro blu. Nell'armadio vestiti leggeri, o belli caldi per quando il caminetto-di-un-attimo sarà acceso. 
Dura un attimo la mia casa-di-un-attimo, il tempo di scorgerla da un treno in corsa, il tempo di una poesia di Scialoja.   
Un attimo di pura felicità.

(dal treno)

venerdì 14 giugno 2019

Zanzotto e il clima


Nei luoghi chiusi dei monti
mi hanno raggiunto
mi hanno chiamato
toccandomi ai piedi.

Sulle orme incerte delle fontane
ho seguito da vicino
e senza distrarmi
le tenebre tenere del polo
ho veduto da vicino
le spoglie luminose
gli ornamenti perfettissimi
dei paesi dell'Austria.

Hanno fatto l'aria tutta fresca
di ciliegi e di meli nudi
hanno lasciato soltanto
che un piccolo albero crescesse
sua soglia della sua tristezza
hanno lasciato fuggire in un riverbero
un tiepido coniglio di pelo.

Per le estreme vie della terra caduta
assistito da giorni tardi e scarsi
discendo nel sole di brividi
che spira da tramontana.
("Dietro il paesaggio" di Andrea Zanzotto)


Presentandosi davanti ai principali consessi internazionali, Greta Thunberg ha fatto del suo sdegno un gesto poetico. Indicandoci con la sua grazia caparbia il nostro pianeta malato di riscaldamento, è riuscita a trasportarci in quei luoghi che riescono a vedere solo i grandi poeti, in un paesaggio di ombre incerte delle fontane, di tenebre tenere del polo e tra le spoglie luminose. Ogni volta che leggo Zanzotto lo immagino affacciato alla finestra del mondo, il suo studio, la scrivania con le carte e le librerie, alle spalle. Lo sguardo avanti, assorto, per chi verrà.

mercoledì 24 aprile 2019

Presenze


C'è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.

C'è come un rosso nell'albero, ma è
l'arancione della base della lampada
comprata in luoghi che non voglio ricordare
perché anch'essi pesano.

Come nulla posso sapere della tua fame
precise nel volere
sono le stilizzate fontane
può ben situarsi un rovescio d'un destino
di uomini separati per obliquo rumore.
(da "Documenti" di Amelia Rosselli)



Mi piace la luce del frigo, l'anta liscia di un armadio, quando attacco la lavastoviglie mi piace il suo gorgoglio. I mobili e gli elettrodomestici per me sono amici, non proprio amici amici, rassicuranti presenze? Amelia Rosselli che sentiva le voci nei cassetti o dietro un divano, temeva gli oggetti. Io, poetessa banale, vorrei almeno qui, per una volta, oggi, ringraziarli.


(luce quotidiana)



mercoledì 3 aprile 2019

Clima


Nei luoghi chiusi dei monti
mi hanno raggiunto
mi hanno chiamato
toccandomi ai piedi.

Sulle orme incerte delle fontane
ho seguito da vicino
e senza distrarmi
le tenebre tenere del polo
ho veduto da vicino
le spoglie luminose
gli ornamenti perfettissimi
dei paesi dell'Austria.

Hanno fatto l'aria tutta fresca
di ciliegi e di meli nudi
hanno lasciato soltanto
che un piccolo albero crescesse
sua soglia della sua tristezza
hanno lasciato fuggire in un riverbero
un tiepido coniglio di pelo.

Per le estreme vie della terra caduta
assistito da giorni tardi e scarsi
discendo nel sole di brividi
che spira da tramontana.
("Dietro il paesaggio" di Andrea Zanzotto)


Presentandosi davanti ai principali consessi internazionali, Greta Thunberg ha fatto del suo sdegno un gesto poetico. Indicandoci con la sua grazia caparbia il nostro pianeta malato di riscaldamento, è riuscita a trasportarci in quei luoghi che riescono a vedere solo i grandi poeti, in un paesaggio di ombre incerte delle fontane, di tenebre tenere del polo e tra le spoglie luminose.

(Nello stesso viaggio)

giovedì 28 febbraio 2019

Bei pensieri


Nascono i bei pensieri sopra i ponti
e sempre ci si ferma sopra i ponti
per contenere quell’atomo di grazia
sospeso in equilibrio
tra gravità di sponde e cieca corsa d’acqua.
Ti darò appuntamento sopra un ponte,
in questa mezza terra di nessuno.
 ("Ponti" di Patrizia Cavalli)


La Roma dell'architettura fascista, quella che attraverso ogni giorno. Quei grugni, identici l'uno all'altro sotto l'elmo, e sbalzati nei rilievi di marmo che ornano l’entrata al ponte. Davanti a me l'obelisco con la scritta DVX dove qualcuno si fa la foto ricordo: da star male ogni volta. 
Dopo la doppietta di colazione e GR, come ogni mattina attraverso il ponte per raggiungere la redazione.  "Crescita zero e stop alle riforme, la Commissione UE richiama l'Italia", diceva la radio.
Vedo il fiume sotto di me scorrere lento, in questa mezza terra di nessuno. Un gabbiano ha puntato il solito cassonetto ancora da svuotare, un albero caduto ancora in mezzo alla strada, un autobus cigola dietro di me come il vecchio carrozzone che siamo diventati.


(manovra economica)






venerdì 22 febbraio 2019

Sms a Radio3


Spuntano i germogli
al tronco d'un grande albero
poggio l'orecchio
(Hosai 1885-1927)


Loredana Lipperini scriveva ieri sera su FB "la platea dell'odio si allarga" per alcuni messaggi antisemiti arrivati come schizzi di fango anche sui nostri pomeriggi in onda. Capivo la sua frustrazione, lo sgomento che leggevo negli spazi bianchi tra le sue parole del post era anche il mio.
Ma continuo a pensare che Radio3 contribuisca non solo a raccontare il mondo ma anche ad ascoltarlo, nel suo rumore e nei suoi silenzi. E che l'ascoltatore di Radio3, come accade in questo haiku, poggi il suo orecchio per "sentire" germogliare qualcosa. A quanto ci si assomigli, di qua e di là del microfono, a quanta responsabilità abbiamo noi che la facciamo, a dove sia possibile un confronto sulle cose se non in quell’universo della radio dove lavoro, e in quale posto il rapporto con il pubblico è concreto e costruttivo come sulle nostre frequenze.
Non so, a me messaggi di quel tipo, - sono pochi rispetto alla mole degli altri - lo ammetto, mi turbano ma non mi sorprendono. Li considero "fisiologici" poichè noi, di Radio3 intendo, noi tutti, chi la fa e chi la ascolta, abitiamo questo mondo qui, dove tutti dicono e ripetono tutto, senza freni o consapevolezza, con aggressiva ottusità. Il mondo dei porti chiusi, di maestri razzisti, dove si vota con un clik e si dicono cose a caso, e orgogliosamente, col cipiglio dell'incompetenza. Quindi, alla fine, e purtroppo, non sono sorpresa più di tanto. E Radio3, con i suoi ascoltatori, mi sembra ancora il migliore dei mondi possibili.

(Abraham Yehoshua in ascolto)

lunedì 24 dicembre 2018

Regali di Natale


a G.
Per Natale ti faccio i seguenti regali due punti
caramelle svizzere per quando hai la tosse forte da far paura
che non mangerai mai
filtri per quando fumi che butterai dalla finestra
un bicchiere piccolo per bere di meno figuriamoci
dei gettoni per telefonarmi una sera da un bar
una bugia di terracotta per quando avremo buio
una piccola spada perché sei il mio amore pericoloso
e poi anche un pezzetto di me quale vuoi?
("Regali di Natale" di Vivian Lamarque)

Ecco il nostro tavolo, l'ultimo libero sotto il fungo incandescente. Nonostante il freddo gli avventori non mancano, uno spritz con le patatine, in piazza, a dicembre, è come esprimere un desiderio. 
Sedute ci sono tre ragazze, il cagnone nero di una di loro sfiora col muso gli stivali della padrona e ogni tanto muove la coda come a voler spazzolare un po' il mondo, come a togliergli un pelucchio. Una zingarella si aggira tra i tavoli, chiede qualcosa da mangiare così, come a caso, a chi le capita a tiro, con la solita aria tra il supplice e lo strafottente. La ragazza, quella del cane, sento che le dice "scegli quello che vuoi". E si alza dalla sedia - il cane intanto ha sollevato un orecchio - il tagliere in una mano, e nell'altra la sigaretta, glielo offre. Poi attende che lei si scelga qualcosa, senza fretta, quello che più le piace. Immaginate la scena: non le ha dato del cibo, ha fatto di meglio, glielo ha offerto, e con un gesto franco, orizzontale, da me a te, come disegnando nell'aria una linea dritta. La mendicante prende qualcosa e sparisce, il cane sbadiglia, la ragazza si sceglie un panino fra quelli rimasti, alza il bicchiere verso le amiche e sorride. Fine della mia carola di Natale.
Morale? A me piace la bontà, vorrei tornasse di moda. 


(Albero di Natale)

venerdì 23 novembre 2018

Parole come petali


Di quale valle
di quale albero
danzano i petali?
(Momoko Kuroda 1938)



La complessità, l'analisi, le differenze contano meno di zero. Pancia e viscere vincono su cervello e ragionamento. La competenza, annullata. Sarebbe utile prendere questo haiku e farne esercizio zen, di quale valle di quale albero, da dove provengono tutte queste parole? Meglio della palestra.


(resistenza)















mercoledì 14 novembre 2018

Sotto il baobab


Sotto un albero gigante
io e il cane 
inzuppati 
(Santōka 1882-1940)



Il termine Baobab viene dal francese baobab ed è rintracciabile intorno al 1590 nel latino medievale "bahobab", a sua volta di origine africana. L'etimo è incerto, per l'American Heritage Dictionary deriverebbe dall'arabo بو حباب būħibāb "padre di molti semi", da ابو ʾabū "padre" e حب ħabb, "seme". In alto a destra della paginetta wikipedia la fotografia dell'albero in questione, il tronco possente sul blu deciso di un cielo africano, i rami fronzuti a circa venti metri da terra e l'omino piccolo piccolo accanto, a farne risaltare l'altezza, e il terreno arso tutt'intorno.
Nella Roma più brulla, quella della stazione, quella di passaggio, quella dove nessuno si ferma, quest'albero-padre fioriva - in qualche modo ce la faceva - con le cure di chi aveva a cuore i suoi molti semi. Fioriva. Non era il più bello del mondo, era complicato, sì era un albero complicato, ma almeno era qualcosa.

Leggo la notizia "Secondo una prima stima, sarebbero circa 150 le persone trovate questa mattina dalla polizia all'interno del presidio. Circa 120 quelli che sono stati portati in via Patini presso gli ufficio immigrazione della questura di Roma. Gli altri 30 sarebbero invece richiedenti asilo o persone con regolari documenti di riconoscimento che sono state allontanate.Tra loro c'è anche una famiglia italiana"

(per strada)







   

martedì 14 agosto 2018

Può capitare




Sei in piedi alla finestra.
C’è una nube di vetro a forma di cuore.
I sospiri del vento sono caverne in ciò che dici.
Sei il fantasma sull’albero di fuori.

La strada è muta.
Il clima, come il domani, come la tua vita,
è in parte qui, in parte per aria.
Non puoi farci niente.

La vita tranquilla non dà preavvisi.
Consuma i climi dello sconforto
e compare, a piedi, non riconosciuta, senza offrire nulla,
e tu sei lì.
("La vita tranquilla" di Mark Strand)


Può capitare e mi è capitato proprio questa mattina. In motorino, verso la redazione, lungo la solita strada e mi è successo: tutti i semafori segnavano il verde. Come un saluto, come un viale alberato, come una doppia fila di ballerini al passaggio della diva.
Sono sfilata beatamente come se tutto fosse possibile. Ero lì.
La strada è muta.
Il clima, come il domani, come la tua vita,
è in parte qui, in parte per aria.


(rosso verde giallo)


mercoledì 27 giugno 2018

Ailanto, verde musa



Ailanti, verdi muse,
voi germi di un’estate
che trabocca dai parchi,
versati nel costato
delle muraglie, ailanti,
lance bronzee
su strade spoglie,
arbusti intrusi
delle boscaglie
sempre in agguato
tra le siepi ordinate
celati, flessuosi
nei bei giardini,
coi rami agili
ailanti clandestini


In un pomeriggio come quello di ieri, lontana da radio e dirette, ho conosciuto l'Aylanto. 
E' successo mentre mi trovavo nei dintorni di Piazza Vittorio, nella gelateria dai soffitti alti e i tanti tavolini di ferro battuto, quella con il lungo bancone, multicolore come gli avventori, dentro quel "palazzo del freddo" che si chiama Fassi e da 130 anni rende più fresca l'estate ai romani.
Ho scritto sul telefonino "chi conosce quest'albero?", ho aggiunto la foto e in tanti mi avete risposto: è un aylanto.
Ora so che questo mio albero amato, fronzuto, e che quindi frònzola davanti alla mia finestra, viene dalla Cina e che il suo nome vuol dire letteralmente albero del Paradiso perché pare lo arrivi a sfiorare tanto cresce in fretta, e in altezza, in pochi anni. E' molto resistente, ha bisogno di poco e sta bene ovunque e, orrore orrore, infesta e minaccia le nostre piante, la nostra flora autoctona, qualcuno scriveva allarmato. Chi postava foto, chi versi, chi micro lezioni di botanica resistente.
Mentre compulsavo il telefonino e rispondevo, la ragazza al bancone serviva il gelato a due bambini cinesi che con i genitori parlavano appunto cinese e con lei un perfetto italiano. Il loro gusto preferito era il mango, con molta panna però, e ricambiavano con un grazie sussiegoso non appena il cono arrivava tra le loro manine, aggiungendo un piccolo cenno della testa in modo grato. Altre due ragazzine, cinesi anche loro, più grandicelle, che somigliavano alle mie nipoti avvolte com'erano da quella tipica stupidera adolescenziale che le faceva ridere per qualsiasi cosa, anche per uno sgocciolìo al pistacchio sulla maglietta, parlavano tra loro un perfetto romanesco, proprio come Martina e Veronica, uguale uguale, e mi facevano riflettere su tutte quelle baggianate sul non volersi integrare dei cinesi arrivati qui, sulla loro esigenza di fare massa compatta e inespugnabile eccetera eccetera. Balle, se solo le osservavi mentre leccavano il loro gelato, balle. Per capire bene l'italiano, e soprattutto gli italiani, un cinese ha forse bisogno di una generazione in più, pensavo, e la chiacchiera di queste due potenziali nipoti cinesine confermava la mia tesi. Per loro cioccolato fondente e frutti di bosco senza panna, che dopo devono andare a una festa.
L'Aylanto, l'albero infestante che preoccupa molti amanti del verde per la sua capacità invasiva, mi dite. L'Aylanto, che arriva da lontano  e ci fa ombra con le foglie morbide come pezzi di seta verde, ormai fa parte del nostro nuovo panorama urbano, rispondo. Mi è familiare e se lo intravedo, o ne ascolto il fruscìo setoso, mi sento a casa. 

(flora e fauna)