sabato 22 dicembre 2018

Lucette natalizie


Dentro la fiamma
si sposta un'altra fiamma
- siamo in dicembre
(Momoko Kuroda 1938)



Stella bellissima, poggiata alla finestra così la vedo da giù quando rientro, ghirlanda di led in stile Bollywood e voi, lucine appese in giro per casa ovunque, attaccate con lo scotch sullo scaffale e che vi accendete e spegnete, e gli occhi fanno una strana ginnastica, micro-trasformatori made in china, minuscoli coreografi di allegri movimenti luminosi sulle pareti quando scatta il timer, tutti voi che allietate queste giornate di feste e malinconie casalinghe, vi amo.



(ON/off)

venerdì 21 dicembre 2018

Andrea Pinketts



Dent la paròla vèrta mí me pèrdi,
deventi i ròbb del mund, l’aria che passa,
quèla parola che sta dedré de l’aria
e se fa ciara aj ögg che stan nel temp,
e se mí parli sù no chi l’è ‘l parlà,
l’è ‘l vent che parla cul mè d’un sentiment,
ché nient se fa del nient e nel pensà
la vûs che mí me ciama me vègn dent.

Dentro la parola aperta io mi perdo,
divento le cose del mondo, l’aria che passa,
quella parola che sta dietro l’aria
e si fa chiara agli occhi che stanno nel tempo,
e se io parlo non so chi è il parlare,
è il vento che si dice col mio sentimento,
poiché niente si fa dal niente e nel pensare
la voce che mi chiama mi viene dentro. 
(da "Isman" di Franco Loi)



Andrea Pinketts lo conoscevo al massimo per qualche ospitata televisiva, lo immaginavo in quell'arcobaleno, ogni giorno più sfumato, che è il racconto degli anni ottanta. Sembrava il personaggio di una Milano un po' rotta e un po' glam, quella con la voce roca di alcol e vizio, quella delle televisioni, Francesco Salvi a canalecinque e Tommaso Labranca. Giacche sgargianti, cravattino e sguardo triste. 


(dedré de l’aria




giovedì 20 dicembre 2018

Presepi e manovra


Tra l'ombra degli alberi
si sposta la mia ombra
luna d'inverno
(Shiki 1867-1902)


Nelle vetrine dei negozi, nelle piazze, sulle librerie casalinghe, sulle foto postate, guardo i presepi. In pasticceria capanne di zucchero e cioccolato, i dettagli filologici, preziosi, di quelli in terracotta, gli zampognari e l'omino con la fisarmonica che sembrano veri musicisti. Un mucchietto di pecore, al discount, te lo porti via con novantanove centesimi, gesubambini saldati alle mangiatoie, le braccine aperte, madonne dalla testa reclinata e sangiuseppe dall'aria perplessa. Mucchette e asinelli, accovacciati, ovunque, espirano un calore da immaginare, come imparato alle elementari. Laghetti di stagnola e piccole luci che si accendono e si spengono, zolle di muschio per nascondere la vecchia sedia, pezzi di cartone sotto bordure di angeli e porporina.
Forse è per tutto questo guardarmi in giro che Tria, Moavero Milanesi e Conte mi paiono tre re magi con il sorriso dipinto che offrono doni farlocchi

(Presepe vivente)

mercoledì 19 dicembre 2018

Gesti di poco conto


Restando fedele
a ciò che mi è caro e che è la cosa più importante,
impedendo in tal maniera che si cancelli con gli anni,
sentirò poi forse
del tutto inatteso
il brivido della durata
e ogni volta per gesti di poco conto
nel chiudere con cautela la porta,
nello sbucciare con cura una mela,
nel varcare con attenzione la soglia,
nel chinarmi a raccogliere un filo.
(Da "Canto alla durata" di Peter Handke, trd. Hans Kitzmüller)

La foto di un ministro, un Ministro degli Interni, con un malavitoso allo stadio. Sono ritratti insieme, la stretta di mano tra i due, virile, e i sorrisi, la tenuta da tempo libero, il piumino, i pantaloni sportivi, la sciarpa della squadra del cuore... In tasca, presumo di entrambi, uno smartphone per twittare.
Nessuna smentita, nessuna distanza, nessuna scusa per quella stretta di mano, per quella incredibile affabilità. Solo una foto.
gesti di poco conto 
La sfrontatezza di considerarli proprio questo, "gesti di poco conto", e di sentirsi sempre nel giusto, rappresenta quello che sta accadendo e che va dal mio vicino, che abbandona il frigo rotto sotto casa, fino a quei due allo stadio.Si potrebbe definire"sovranismo individuale". 


(sovranismi)



martedì 18 dicembre 2018

Keith Richards



L’erosione
cancellerà le Alpi, prima scavando valli,
poi ripidi burroni, vuoti insanabili
che preludono al crollo. Lo scricchiolio
sarà il segnale di fuga: questo il verdetto.
Rimarranno le pozze, i montaruzzi casuali,
le pause di riposo, i sassi rotolanti,
le caverne e le piane paludose.
Nel mondo Nuovo rimarranno, cadute
principali e alberi sintattici, sperse
certezze e affermazioni,
le parentesi, gli incisi e le interiezioni:
le palafitte del domani.
(da Concessione all’inverno di Fabio Pusterla


Oggi Keith Richard dei Rolling Stones compie settantacinque anni.
Festeggio le sue gambe secche dentro i pantacollant di pelle, il cinturone borchiato sulle anche e la bandana tra i capelli a cespuglio, bianchi e lunghi, anche la calvizie viene risparmiata ai rockers. Festeggio il rimmel che cola ai lati dei suoi occhi da uccello. Le rughe come falesie, cretti, ripidi burroni, le dita nodose sulla chitarra mentre la lingua di Mick ancora sbatacchia verso i fan in delirio.

Rimarranno i sassi rotolanti

Due settantacinquenni che non conoscono panchine e giardinetti, ma solo palco e cure detox, vincono il Tempo battendolo a ritmo.

(Start me up)



lunedì 17 dicembre 2018

Resistenze



A volte, sull’orlo della notte, si rimane sospesi
E non si muore. Si rimane dentro un solo respiro,
a lungo, nel giorno mai compiuto,
si vede la porta spalancata da un grido. La mano feriva
con una precisione vicina alla dolcezza. Così
si trascorre ignoti dal primo sangue
fino a qui, fino agli attimi che tornano a capire
e cercano il significato dei corpi e restano
imperfetti e interrogati.
(Da "Finale d'assedio" di Milo De Angelis)

Ora lo cerco, lo chiamo al telefono e sento come sta. E mi ricordo che mio padre non c'è più, nulla è rimasto, la sua voce, le sue giacche, il vecchio cellulare non esistono. Resiste un impulso nella scatola nera del mio cervello, negli anni più flebile è vero, ma resiste. Sono piccole fitte, le sinapsi che si elettrizzano nel ricordo di un'abitudine. E' l'esigenza ottusa di sentirci come facevamo. 


(vite)



sabato 15 dicembre 2018

Antonio Megalizzi


Luce ovunque, fino ai denti
della belva, fino alle unghie
dell'assassino e al pugnale lucente
che scrive l'ultima parola,
fuoco, poi con i tuoi occhi di nessuno
vedere senza mai una fine,

vedere chi eri.
(In "Luce ovunque" di Cees Nooteboom, trd Fulvio Ferrari) 


Scorrendo le notizie su Antonio Megalizzi, trovo la sua intervista a Tajani di circa un anno fa. Nel breve video appaiono seduti intorno a un tavolo in uno di quegli spazi di passaggio tra gli uffici, qualcuno si muove indaffarato alle loro spalle, rumore in sottofondo, sembra tutto immerso in un'atmosfera efficiente, concreta, di gente che lavora per tenere insieme un'idea di convivenza comune. Nonostante la nube sovranista, nonostante gli attacchi alla democrazia.
Vedere chi eri.
Un giovane dall'aria simpatica e seria che si era preparato per l'incontro con il presidente studiandosi bene i dati, la domanda precisa sul perché, chiedeva, i ragazzi non credono a all'Europa, una domanda di quelle con il punto interrogativo, da giornalista vero, perché ai ragazzi non gli interessa nulla dell'Europa, perché? Una domanda anche esistenziale, a lui sta a cuore quel mondo, tutto quel pulsare intorno quel tavolo è una cosa che capisce e che vorrebbe far conoscere, proteggere...
Vedere chi eri.
Poi avrebbe festeggiato l'ottima riuscita dell'intervista magari con una birra e un panino con i colleghi, avrà avvisato i genitori a casa, ascoltatemi in radio, l'intervista è venuta bene, è stato faticoso ma è stata una grande soddisfazione.


(Il destino)