martedì 20 marzo 2018

Mani gelate


In quest'oscuro
colle mani
gelate
distinguo
il mio viso.

Mi vedo
abbandonato nell'infinito.
(Giuseppe Ungaretti)


La guida alpina che rischia il carcere per aver salvato alcuni migranti ha visto se stesso negli occhi di chi ha soccorso. 
Mi vedo
abbandonato nell'infinito.
Ha visto quello che vide Ungaretti in una vecchia guerra, qualcosa che si rinnova ogni giorno come il sacramento sull'altare per chi ha fede.


(esseri umani)


  

lunedì 19 marzo 2018

Sta piovendo


Sta piovendo -
un gatto infangato
sonnecchia sul sutra
(Natsume Sōseki 1867-1916)

Piove a dirotto anche nello haiku di oggi.
Con tre versi appaiono mondi: la stagione, qui attraverso il kigo della pioggia, il calore di un momento buffo che volutamente stride con la solennità del sutra. Il ribaltamento di senso, dato dal kireji finale.
Natsume Sōseki è stato lo scrittore che, con "Guanciale d'erba" edito da Neri Pozza, tempo fa mi ha aperto la porta sulla letteratura giapponese. Uscito nel 1906, anticipando di una dozzina di anni "La passeggiata" di Robert Walser, anche il passeggiatore di Sōseki ci guida lungo un cammino di conoscenza e introspezione popolato da incontri casuali e formativi. Ragionamento sul senso dell'arte, è anche una metafora della conoscenza in un'atmosfera di sospensione atemporale puramente











venerdì 16 marzo 2018

1968-1978



A che pagina della storia, a che limite della sofferenza-
mi chiedo bruscamente, mi chiedo
di quel suo "ancora un poco
e di nuovo mi vedrete" detto mite, detto terribilmente

e lui forse è là, fermo nel nocciolo dei tempi,
là nel suo esercito di poveri
acquartierato nel protervo campo
in variabili uniformi: uno e incalcolabile
come il numero delle cellule. Delle cellule e delle rondini.
(Da "Al fuoco della controversia" di Mario Luzi)


 
Il sessantotto appare oggi come una nebulosa in movimento, molto colorata e soprattutto senza una data precisa che la celebri sul calendario. Al contrario, tutto quel periodo ebbe un epilogo certo: finì oggi. 
Per ricordare il giorno del rapimento Moro, scelgo una poesia di Mario Luzi pubblicata nel 1978, il cui tono sospeso e ieratico, vagamente funebre, mi sembra quello più appropriato. Leggo alcune delle lettere di Moro all'amata moglie Noretta prima di morire, piene di sobrietà, preoccupazione, pudore. Nei giornali, nella mia stessa trasmissione si tenta ancora una volta un'analisi. In tv sfilano a loop le testimonianze dei terroristi - le loro strategie sotto forma di intervista a rielaborare il lutto di una nazione intera -, le ricostruzioni, le tessere mancanti, i vecchi filmati con i vecchi cronisti. L'affanno di Paolo Frajese, la compostezza dei mezzi busti incrinata dagli eventi. Le facce oscure dello stesso partito, Cossiga col K,  Andreotti. E poi Zaccagnini, e La Pira invocato nelle ultime preghiere di Moro. 
Se potessi allargare queste inquadrature apparirebbero le strade deserte, le prime auto blindo, le scorte, le armi sotto i letti, i tossici di eroina che si fanno stringendosi il braccio con l'elastico. Apparirebbero i miei, più giovani di me oggi, mio padre forte, un gigante con il golf beige, che si accalora a pranzo e mio nonno che se la prende, mia madre col suo bel sorriso, il caffè che si raffredda nelle tazzine col bordo dorato. 
Sotto il tavolo ci sono io che gioco tra le loro gambe e mi sento protetta.   

e lui forse è là, fermo nel nocciolo dei tempi,
là nel suo esercito di poveri
acquartierato nel protervo campo
in variabili uniformi


(anni '70)



giovedì 15 marzo 2018

La banalità del sacro


Gli permette di aiutarla in modo che non si senta inutile.
Cercano entrambi sostegno sul carrello che riempiono
con petto di tacchino arrostito, sugo, torte in scatola
che lei una volta preparava per entrambi nella sua cucina.

Lui cerca di districare una baguette da un cestino.
La mano destra trema dei tremori del Parkinson
ma tenuta ferma dalla sinistra riesce a districarla
con frenetico strusciamento che lascia cadere polvere di farina e fiocchi di crosta.

Spingono il carrello reticolato alla cassa meno trafficata
e io sospingo il mio e mi metto in coda dietro di loro.
Qualcosa in tutti noi sembra splendere nel momento
in cui le barre sui codici a barre scorrono finalmente senza bip.
(Alla cassa di Tony Harrison, trd Giovanni Greco)


I due eroi in fila alla cassa ed ecco la quotidianità che diventa mito. E la verità, la sacralità dei gesti. Esseri umani.  
Tony Harrison, il poeta proletario figlio di un fornaio - l'immagine del pane, quella polvere di farina e i fiocchi di crosta - e cresciuto studiando Virgilio e i miti classici, ci indica quello che abbiamo sotto gli occhi e non vediamo.
E lo scorrere liscio, senza inceppamenti, di un banale codice a barre diventa anche il nostro sollievo. 

(umanità)
  


mercoledì 14 marzo 2018

Giornata del Paesaggio


Fresco di un passaggio recente
al dubbio di un disguido
risponde il villaggio verticale:
con discorsi di siepi
vaneggianti tra setole e velluti
scricchiolii di porte
appena schiuse rimpalli
d'echi gibigianne cucù.

Sul costone di fronte
un taglio di luce tra le rupi fa
di quattro sassi un'acropoli.
E' a un'ora di marcia
al sole dell'altra provincia
la forma desiderata.
(Villaggio verticale di Vittorio Sereni)


Pier Vincenzo Mengaldo in una introduzione a un testo di Sereni, scrive che l'amico poeta, un giorno, decise di accompagnare lui e sua moglie in giro per i luoghi che gli appartenevano. Luino, il lago Maggiore, le campagne nei dintorni. Sereni guidava in silenzio, ricorda Mengaldo, mentre la toponomastica del poeta sfilava fuori i finestrini. Infine, il laconico terzetto arriva al cimitero di Luino. Il poeta mostra la tomba di famiglia e, con un indimenticabile "gesto breve" dice Mengaldo, indica quello che un giorno diverrà il suo posto. Un cenno per Mengaldo che sa di intimità.
Oggi è la giornata del paesaggio, avrei dovuto scrivere dell'importanza della sua tutela, del mio albero capitozzato, dell'incuria e della raccolta differenziata. 
Scrivo invece di amicizia, scrivo di silenzi. E scrivo di un grande poeta come Vittorio Sereni dentro il suo paesaggio che diventa la sua stessa poesia.


(paesaggio familiare)












martedì 13 marzo 2018

Milano-Roma



Oh carin, beattin, mattin, smorbin,
arcadin, poettin, ciccin, contin,
puresin col tossin che in Parnassin
pien d'estrin fa frin frin col ghittarin.

Oh carino, burlino, bigottino,
contino, omino, poetino, arcadino,
capino vanino che in Parnassino
fa estrosino un trillino al chitarrino.
(Carlo Porta nella traduzione di Patrizia Valduga)


Con i versi di Carlo Porta, appena tradotti dalla grande Patrizia Valduga, concludo degnamente la mia trasferta milanese nel Parnassino di Tempo di Libri, consacrato al culto delle nove muse + una (quella del fatturato).
Nel trolley ho infilato alcuni classici di poesia, un Apollinaire, Vita di un uomo di Ungaretti, Poesie scritte con il lapis di Marino Moretti, vecchi testi freschi di vintage, utile carburante per il blog. E anche un tomo sul ghiaccio che si sta sciogliendo per il riscaldamento globale che non so se leggerò mai. Ho messo la passeggiata di un libro di Siti (Piazza Gae Aulenti, il bosco verticale e Sephora) e la Ghisolfa testoriana, qualche sprazzo della tristezza milanese di Milo De Angelis negli scorci brumosi illuminati dai fanali delle macchine che arrivano. La confessione di un amore finito consegnatami da un uomo disperato che non conoscevo. Ci ho anche messo dentro alcuni incontri belli con poeti amici, su tutti Mariangela Gualtieri e Patrizia Cavalli, insieme, per un yin e yang in equilibrio perfetto. La Gualtieri intimista, femminile e introversa e come trafitta da un raggio di luce, Cavalli con il suo sguardo poetico estroverso e dritto ma come screziato da una venatura, alla fine del verso, ogni volta così amara e così tipicamente romana.
A proposito di Roma.
Torno volentieri tra le care e vecchie buche. Non sono abituata all'asfalto liscio, impermeabile, che non si sbriciola. La mia camminata si notava troppo rispetto a quella meneghina doc, io che camminavo guardinga, pronta a schivare una buca che non c'era mai. I miei piedi che arrivavano al selciato prima di quanto preventivato in automatico, come in un settaggio "attenta a non cadere" tutto romano. 
Alle buche, ormai, sono abituata. Ed è solo a Roma che mi rilasso, nell'ansia di inciampare.

(buca milanese)

  
  


martedì 6 marzo 2018

Cara vita


Cara vita che mi sei andata perduta  
con te avrei fatto faville se solo tu  
non fosti andata perduta
(Amelia Rosselli)

In un suo saggio sulla poesia Walter Siti si sofferma su questi versi della Rosselli analizzandoli minuziosamente, forse affascinato dalla loro zona oscura, da quella specie di buco nero che cantano.
Del suo contestato Bruciare tutto, libro da me amatissimo, mi rimangono dentro le varie citazioni poetiche che puntellano la narrazione e l'immagine del prete disperato, ed eroico, che cammina nella Milano che un giorno fu da bere. La piazza Gae Aulenti, i grattacieli con i giardini verticali abitati da calciatori, i locali di tendenza, i gruppetti di extracomunitari di fronte la profumeria Sephora che osservano - o forse no, in effetti sembrano impermeabili a tutto - i passanti come quel prete. Come Siti. O come me.

Quello che mi pesa di questi ultimi due giorni, dopo le elezioni e dopo la sbornia generale di dati e proiezioni (ho assistito tiepidamente, troppo ho parlato alle cene tra amici, intendo quelle prima del voto, con chi brandiva il suo odio per il PD pur con i vari bonus in borsa o con chi preferiva non guardare alle derive fasciste che ci aspettavano), ciò che mi pesa, dicevo, sono quelli che fanno i delusi di sinistra ovvero quelli che hanno contribuito scientemente a disperdere il voto e che ne hanno fatto anche una questione personale. Di antipatia, di pelle. Tutto tranne Renzi, tutto tranne questo, dicevano. Ora che lo abbiamo, questo "tutto", sentire anche i loro lamenti, francamente, non ce la faccio.
Mi eclisso. Preferisco leggere che parlare. Meglio un libro di poesia, di letteratura, di filosofia, un bel saggio di economia o di politica. O tutti questi argomenti insieme.
"Pagare o non pagare" è un libro minuscolo che li contiene tutti, mostrando quello che siamo e dove siamo, in poche pagine lucide come l'acciaio. 
Un'analisi, ma senza sondaggi, una rappresentazione dei nostri desideri, e nel dettaglio, ma senza le telecamere dei talk show. Il valore economico, il prezzo e il consumismo e l'immaterialità del virtuale. I nuovi lavori e i nuovi guadagni, la free economy e l'economia gratis che reggono il mondo del consumo, il nostro mondo, quello di corso Como o dei mall di Dubai. Segnalo la nota numero uno a pagina 66, tre righe dedicate alla pubblicità in onda prima delle trasmissioni televisive, che indica al lettore un dettaglio a cui abbiamo sempre guardato con distrazione. Ed è lì dentro, in quella piccola nota a pie' di pagina, che ci viene mostrata senza pietà tutta la nostra epoca.