lunedì 26 febbraio 2018

Il re della neve


Anche la neve
può non essere buona neve.
Fumo dalle fattorie.
(Santōka 1882-1940)


E' vero quello che dice Santōka, la neve è oggettivamente un po' una rogna, a Roma poi non ne parliamo, ma oggi lo contraddico, mi scuserà. 
La passeggiata a piedi di questa mattina, i cagnetti increduli e i bambini felici lungo la strada ovattata e senza traffico. E i sorrisi agli sconosciuti come quelli che si fanno a chi si incontra sul sentiero in montagna tipo: ciao, come va? vedi anche tu quant'è bello tutto questo, vero? E i tetti col cappello bianco, i tergicristallo dritti, gli indomiti in motorino comunque, il vicino che scatta foto e sorride, l'altro che ramazza ma sembra contento, una palla di neve, il moccio che cola. 
Di questo indimenticabile 26 febbraio di neve romana, su tutto, fisso nella mente il mio albero capitozzato, amatissimo nonostante sia stecchito da mesi. Il suo lampo di eleganza - a dispetto della sorte e della nostra malinconia -, e la grazia dei ghiaccioli che stamattina lo facevano rifulgere magico, maestoso. Tutta la bellezza che è stato, ancora per qualche ora, e di nuovo, per noi due che lo amavamo tanto.


(il re della neve)

Senza l'albero



venerdì 23 febbraio 2018

"non abbiamo più nulla per te".


"non abbiamo più nulla per te".
Ci siamo spogliati di tutto.
Anche la parola tra poco svanirà
nella conca nebbiosa 
che abbiamo qui di fronte.

Solo con la tua poca fantasia
potrai, se lo vorrai, 
immaginarci ancora.
Non darle però troppo credito
e non spingerti a vedere
ciò che non c'è.
(da Ablativo di Enrico Testa)


Se c'è una cosa che mi piace è camminare a piedi per le strade di Roma. Non importa se il percorso lo conosco, anzi. Meglio. Sono l'agrimensora, urbana, sì è così che mi sento, del mio quartiere. Lo misuro, lo perimetro, come una ronda pacifica controllo i caseggiati, gli alberi, se ci riesco i salotti illuminati delle case. Quella lampada del terzo piano sempre lì, accesa con le sue tra palle di opaline, che pende sopra al pavimento che ogni volta non riesco a vedere.
Piccole fitte i negozi spariti, qui c'era questo, qui quello, commerci che precisavano la fisionomia delle mie strade. 
"non abbiamo più nulla per te".
Ogni chiusura definitiva, ogni cartello svendo tutto, il mio lutto da annotare.


(incastri)



     





martedì 20 febbraio 2018

Dedica


Arrivo con il tram dove Milano non esiste ancora
per ogni passeggero la strada si dirama, è un delta
di piazze e di cantieri abbandonati e ha svolte, all’improvviso.
noi le passiamo e tutto corre in noi, ritardo senza peso
le mattine delle città sono già fiumi scontrosi e senza vuoti.
eppure le coincidenze fanno ogni persona
o il suo corpo che va da lievità a posa informe,
un’esistenza – e c’è chi sciama via per un batterio,
per l’invisibile che si nasconde all’aria.
Il rifugiato che abita il riposo
illecito, in corpo ha cielo ed ha prigione;
la libertà di fatto cerca facili indirizzi.
Ben venga allora morire per la prima volta
nel tuo respiro e poi restare avvolto da correnti,
nell’impazienza ascolto la moltitudine di avvisi
e nomi in codici. Crolli minimi che sento
intorno come fioritura,
avverto del palazzo, del pericolo e lontano
un altro posto da occupare. Così fermo la fuga
aprendo un porta all’improvviso, salutando.
(Il giorno, fuori da Sciami di Mario De Santis)



Mi basta un semaforo rosso.
Macchinine guidate da adolescenti multitasking che con una mano fumano e con l’altra reggono il cellulare, berline dai vetri fumée dei genitori degli stessi ragazzini, intenti anche loro in lunghe telefonate.
Facendo lo slalom tra queste due falangi, scivolano i “motorinisti”.
Vanno di fretta perché sono sempre in ritardo, hanno i capelli schiacciati dal casco, la fronte con il solco orizzontale della stretta. La borsa a tracolla sul giubbotto, il figlio stretto contro il bauletto, bollette da pagare accartocciate in tasca e il lavoro da raggiungere. Tutto insieme.
Il motorino era il sogno adolescenziale di questi ragazzi che vedo invecchiati sulla sella, e che ottenevano con solenni giuramenti di telefonare quando arrivavano. Hanno tra i quaranta e i cinquanta anni, sono di “mezza età”, un tempo sinonimo di obiettivi raggiunti, ma che oggi significa solo continuare a rincorrerli, come criceti sulla ruota. Nati alla fine degli anni Sessanta, quando il boom ha fatto flop, in quel tempo grigio pre-telefonino e pre-web – al massimo colorato dalla disco e dai sogni di Drive In – economicamente dipendono ancora da quegli stessi genitori che un tempo acquistarono loro lo scooter. I “motorinisti” visti oggi, sembrano il simbolo vivente di una generazione poco interessante.
I trentenni hipster, i barbuti surfisti del web che sgusciano smilzi su eco-biciclette con un cervello pieno di idee e di app, fanno tendenza molto più di loro. I sessantenni, colti e ideologici che, mentre affondano i denti sui polpacci degli ottantenni seduti su poltrone da cui non si alzeranno, li guardano con dolciastra condiscendenza.
Sono tutti più interessanti di loro, tutti su rampe di lancio irraggiungibili, tutti avanti di una casella.
I motorinisti sono anche miti, e sorridono. Un po’ idealisti, un po’ cazzari, un po’ fregati dalla vita ma sempre allerta, sono i veri supereroi di una sopravvivenza non solo stradale.


(punti di vista)





lunedì 19 febbraio 2018

Danza del lunedì


Danza

a) Appenditi al corpo lattine e bottiglie vuote
Danza senza far rumore

b) Porta sulla schiena un oggetto pesante
Danza il più velocemente possibile 
(da "Acorn" Yoko Ono)


Una poesia di Yoko Ono tratta dal suo "Acorn - Ghianda" dove sono raccolti pensierini lievi, colorati, pieni di gioia di vivere e ferrea autodisciplina, il tutto per una filosofia pret a porter tra sopravvivenza e disincanto, tra Osho e Candy Candy. Lo ammetto, mi aggancia ogni volta. Yoko fa allegria. L'immagine delle lattine e della danza silenziosa sembra una delle sue performance, l'artista in cima alla scala, i video con il cielo dentro, l'albero dei desideri. Al pubblico si consegna un pensiero, lieve come un pezzetto di carta velina. La leggerezza di una fatina spietata o quella di una bambina rock?
     
Sui social tendo a dare un'immagine da diva. Da snob, o così penso di essere vista dagli altri. I miei pochi like mi emarginano dalla risonanza algoritmica, poche le persone che seguo e chi segue me, a sua volta, deve come passare un esame. E poi sono pigra e nella piazza di FB non mi ci metto proprio, dire la mia o sentire la sua mi annoia e considero gli hashtag etichette sempre troppo piccole per racchiudere il cosmo. 
Stamattina, stavo facendo colazione, il momento più godurioso della giornata, vedo che la mia amica Yoko Ono ha appena annunciato il suo compleanno su istagram.
"Sono 85, mai avrei pensato sarebbe potuto accadere", scrive sotto la sua foto in tenuta da mago, cilindro e occhiali scuri. "Ma le cose impossibili, come piccole magie, accadono."
Le ho messo un emoji a forma di torta e candeline, tra gli auguri cuorati di Paris Hilton e un messaggino di Cindy Sherman.
E ho iniziato così la mia settimana da diva.



  

giovedì 15 febbraio 2018

Le tre età


Mi svuoto del nome degli altri. Mi svuoto le tasche.
Mi svuoto le scarpe e le lascio sul ciglio della strada.
Di notte metto indietro gli orologi;
apro l’album di famiglia e mi guardo bambino.

A che giova? Le ore hanno fatto il loro dovere.
Dico il mio nome. Dico addio.
Le parole si inseguono nel vento.
Amo mia moglie ma la caccio.

I miei genitori si alzano dai troni
nelle stanze delle nuvole. Come posso cantare?
Il tempo mi dice ciò che sono. Cambio e resto lo stesso.

Mi svuoto della mia vita e rimane la mia vita.
(Ciò che resta di Mark Strand)


Come nel famoso dipinto di Klimt sulle tre età, i manifesti elettorali con Berlusconi, Salvini e Meloni offrono l'allegoria del tempo che viviamo: la sapienza del vecchio cavaliere, la temperanza della maturo leghista, l'energia delle nuove leve. 
Di notte metto indietro gli orologi;
apro l’album di famiglia e mi guardo bambino
Miracolo italiano, davanti a questo quadro il tempo non passa, non passa mai. Guarda! Si dicono le stesse cose, si parla di sicurezza e si sorride molto. Berlusconi dai denti bianchissimi ha ancora in mano il suo contratto con gli italiani. Un altro, lo stesso, che importa...

(calendario)

  

martedì 13 febbraio 2018

13 febbraio, insolazione


Il sole che nel nuovo parco cittadino si appoggia in silenzio
sulle schiene dei cani e delle madri, e si rifrange sulle ciglia
dei bambini addormentati, sulle capigliature rare dei pensionati in vena di pensieri miti,
e che come un ricordo d'amore
pretenderebbe di avere con gli altri anche me
nella promessa della primavera, quasi
quasi ci riesce:
sento che anch'io, basterebbe volerlo,
potrei entrare nella luce di febbraio
e di sicuro sarei già più leggero,
se non fosse la testa intontita e un poco sollevata
per condividere qualcosa, in questo giorno.
("13 febbraio, insolazione" di Stefano Dal Bianco)


Per mia madre, e prima di lei per mia nonna, prendere il sole nei mesi che hanno la erre, fa malissimo. Punto. Non c'è storia, insolazione assicurata. Amo trascrivere, per voi che leggete, una poesia che coincide alla data del calendario, come questa. Quando mi capita tra le mani, la metto da parte, mi sembra ancora più affine alle nostre cose, un hic et nunc in versi che ci fa sentire parte del cosmo.
Allora, eccomi qui, anzi ci siamo tutti, siamo seduti sulla stessa panchina di Dal Bianco, anzi no, io sono quella lì di fronte, quella che legge un libro, e che sente quello stesso tepore addosso che le fa strizzare gli occhi come ai gatti. 
I gatti, divinità misteriosa, lari nelle case dei miti pensionati della poesia, giocattoli pelosi dei bimbi che vedo ora sulla scaletta dello scivolo, calda compagnia per i cuori solitari che incisero le loro iniziali sul legno della panchina dove sono seduta...
I gatti, divinità. Egizia.
Torino. Museo Egizio. La campagna elettorale di Giorgia Meloni è diventata un pezzo di cabaret. Il direttore che deve scendere in piazza e rispondere alle provocazioni, smantellandole una per una, che porta i dati e i numeri di un museo, privato, che tra l'altro va benissimo e le cui sale sono frequentatissime e non polverose, il personale che ci lavora si fa venire idee (come quella di intitolare una sala a Regeni, per dire) e di certo non viene scambiato per le mummie, come capita a volte, che invece, qui, giustamente, riposano nelle teche ben illuminate, secondo un percorso informativo degno di questo nome eccetera eccetera eccetera.
Oddio, è arrivata l'ombra. Mi devo spostare che mi raffreddo. Nel giardinetto di Dal Bianco cerco un pezzetto di sole che mi ottunda ancora un po' per condividere qualcosa, in questo giorno 13 febbraio. Qualcosa di meglio di una campagna elettorale a base di migranti..


(nel sole)



  

lunedì 12 febbraio 2018

Riflessioni

Sono d’argento e rigoroso. Non ho preconcetti.
Quello che vedo lo ingoio all’istante
così com’è, non velato d’amore o da avversione.
Non sono crudele sono solo veritiero –
l’occhio di un piccolo dio quadrangolare.
Passo molte ore a meditare sulla parete di fronte.
E’ rosa e macchiettata. La guardo da tanto tempo
che credo che faccia parte del mio cuore. Ma c’è e non c’è.
Facce e buio ci separano ripetutamente.

Ora sono un lago. Una donna si china su di me,
cercando nella sua distesa ciò che lei è veramente.
Poi si volge alle candele o alla luna, quelle bugiarde.
Vedo la sua schiena e la rifletto fedelmente.
Lei mi ricompensa con lacrime ed un agitare di mani.
Sono importante per lei. Va e viene.
Ogni mattina è la sua faccia che prende il posto del buio.
In me ha annegato una ragazza e in me una vecchia
sale verso di lei giorno dopo giorno come un pesce
tremendo.
(Specchio di Silvia Plath)

Lo specchio di Silvia Plath (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963) riflette Amelia Rosselli (Parigi, 28 marzo 1930 – Roma, 11 febbraio 1996) che decide di togliersi la vita, anche lei, l'11 febbraio.  

Dissipa se tu puoi la forza che
mi congiunge a te: dissipa l’orrore che mi ritorna
a te. Lascia che l’ardore si faccia misericordia,
lascia che il coraggio si smonti in minuscule
parti, lascia l’inverno stirarsi importante nelle
sue celle, lascia la primavera portare via il
seme dell’indolenza, lascia l’estate bruciare
violenta e incauta; lascia l’inverno tornare
disfatto e squillante, lascia tutto – ritorna
a me; lascia l’inverno riposare sul suo letto
di fiume secco; lascia tutto, e ritorna alla
notte delicate delle mie mani. Lascia il sapore
della gloria ad altri, lascia l’uragano sfogarsi.
Lascia l’innocenza e ritorna al buio, lascia
l’incontro e ritorna alla luce.
(da La libellula di Amelia Rosselli)

(dentro l'arte)