Sento il suono del vento di Marte
In una registrazione Nasa
Trasmessa dalla sonda Insight,
Vento a diciotto chilometri l’ora
Come a Gallarate stasera
Col soffio alle finestre e qualche ticchettio.
So bene che su Marte
Per via dei raggi ultravioletti non schermati
Non può esserci vita in superficie,
Ma nelle grotte forse sì.
Come in questa casa di Gallarate.
(Franco Buffoni, Vento di Marte)
Bello che sia stato Franco Buffoni a ricordarmi con un post su FB il significato che ha per lui la data di oggi 17 maggio. "Quando s’incominciò a poter dire e scrivere che non ero né ammalato né pazzo, il 17 maggio 1990, avevo quarantadue anni. Da allora sono passati altri trent’anni, e oggi sono convinto quasi anch’io d’essere umano.
Il 17 maggio si celebra la Giornata Mondiale contro l’omofobia, in memoria delle persone Lgbt+ che nel corso dei secoli - dalle discriminazioni religiose ai campi di sterminio ai giorni nostri - sono state e sono vittime di violenze e pregiudizi. In tale data, nel 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità depennò l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali"
Ed è bello sentire il suono del vento di Marte nei versi. E poterlo pensare come un soffio di riscatto, di giustizia, respirandolo profondamente, insieme.
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(Amore) |
Qualcuno diceva
qualcosa sulle ombre che coprivano il campo, su
come le cose passano, su come ci si addormenta verso l’alba
e il mattino se ne va.
Qualcuno diceva
di come il vento si spegne ma poi torna,
di come le conchiglie sono le bare del vento
ma le intemperie continuano.
Era una lunga serata
e qualcuno diceva qualcosa sulla luna che cosparge di bianco
i campi gelidi, e che non c’era niente da aspettarsi
se non sempre le stesse cose.
Qualcuno parlò
di una città in cui era stata prima della guerra, una stanza e due candele
contro la parete, qualcuno che ballava, qualcuno che guardava.
Cominciammo a credere
che la sera non sarebbe mai terminata.
Qualcuno diceva che la musica era finita e non se n’era accorto nessuno.
Poi qualcuno disse qualcosa sui pianeti, sulle stelle,
di quant'erano minuscoli, quant'erano lontani.
(Mark Strand, La lunga festa triste)
Mi mancano le feste a casa degli amici. Le candele alla finestra, il brusio, la musica in sottofondo, forno e frigo in piena attività. Mi mancano gli abbracci, i baci.
Mark Strand è il poeta della festa appena finita, e racconta, soprattutto nei suoi ultimi componimenti, di un disvelamento. Sono un sogno di carne, dice in una poesia. Siamo così, sogni di carne, siamo costruiti da attimi impilati uno sull'altro, colonne, fragili, fatte di momenti.
Se rileggete il testo, magari ad alta voce, guarderete ai giorni che stiamo vivendo con gli occhi di Strand. È un privilegio.
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(Servizio catering) |
Con quello di oggi, il quinto, si chiude la serie di Gettoni su Giorgio Caproni. Caproni va letto, consultato quasi, per la sua limpida chiarezza e per quegli squarci che apre con una malinconia che definirei efferata. E per come parla del mare andrebbe letto, anche fosse solo per quello! Costruendo queste pillole all'uso del suo universo, appuntamenti senza pretese in cui provo a condividere il mio entusiasmo per quella "epopea domestica" come fu definita, ho scovato questa poesia su un luogo a me caro e che, in questo momento posso guardare dalla mia finestra. Non è tra le più note, e Ponte Milvio poi rimarrà quello dei lucchetti "di Moccia", figuriamoci, ma ogni volta che lo attraverserò ripenserò al verde che si riverbera sui visi di chi passa grazie a questa indicazione poetica:
Ponte Milvio e che spazio
il verde sopra il tuo viso
aperto, più illuminato
del sasso di questo spiazzo
delimitato dai pini!
A eleggere i tuoi confini,
il Tevere sarà eterno
di giri inutili.......
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La foto l'ho scattata dal ponte e i Gettoni su Giorgio Caproni che ho realizzato per Radio3 sono ascoltabili qui cliccando QUI.
Come se il mare si dovesse aprire
mostrando un altro mare -
e quello - un altro - e i tre
non fossero che annuncio -
di epoche di mari -
non raggiunti da rive -
mari che sono rive di se stessi -
l'eternità - è così -
(Emily Dickinson, 695, trd. Silvia Bre)
Non è che non voglia uscire, esco eccome, vado in redazione, faccio la spesa, e non è giusto neanche dire che ho paura. O che sia pigra. O depressa. È un altro sentimento quello che mi pervade, qualcosa che sta tra il timore e l'annichilimento. È nuovo, non ha a che fare con la salute.
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(Lungo la strada) |
Credo che l'ora più lunga di tutte
sia quando sono arrivate le vetture -
e stiamo aspettando la carrozza -
sembra come se il tempo
indignato - che la gioia sia giunta -
blocchi le lancette dorate -
e non lasci passare i secondi -
ma lentissimo gli istanti - finisca -
Il pendolo comincia a contare -
ad alta voce - come tanti scolaretti -
i passi si fanno più fitti -
nell'anticamera -
il cuore comincia a affollarsi -
Poi io - compiuta la mia opera timida -
anche se fu opera d'amore -
raccolgo il mio piccolo violino -
e mi sposto - più a settentrione.
(Emily Dickinson, 635, trd. Massimo Bacigalupo)
Una domenica da vivere ancora nella terra di mezzo, in quel limbo di ore tra fase uno e fase due. Che giorni stiamo vivendo! E le notti poi, i sogni nuovi e gommosi, carichi di simboli da decifrare al mattino. Mentre scrivo le campane contano le ore che mancano a questa nostra cauta ripresa e un merlo insiste. Fuori è così bello.
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(Casa) |