Qualcuno diceva
qualcosa sulle ombre che coprivano il campo, su
come le cose passano, su come ci si addormenta verso l’alba
e il mattino se ne va.
Qualcuno diceva
di come il vento si spegne ma poi torna,
di come le conchiglie sono le bare del vento
ma le intemperie continuano.
Era una lunga serata
e qualcuno diceva qualcosa sulla luna che cosparge di bianco
i campi gelidi, e che non c’era niente da aspettarsi
se non sempre le stesse cose.
Qualcuno parlò
di una città in cui era stata prima della guerra, una stanza e due candele
contro la parete, qualcuno che ballava, qualcuno che guardava.
Cominciammo a credere
che la sera non sarebbe mai terminata.
Qualcuno diceva che la musica era finita e non se n’era accorto nessuno.
Poi qualcuno disse qualcosa sui pianeti, sulle stelle,
di quant'erano minuscoli, quant'erano lontani.
(Mark Strand, La lunga festa triste)
Mi mancano le feste a casa degli amici. Le candele alla finestra, il brusio, la musica in sottofondo, forno e frigo in piena attività. Mi mancano gli abbracci, i baci.
Mark Strand è il poeta della festa appena finita, e racconta, soprattutto nei suoi ultimi componimenti, di un disvelamento. Sono un sogno di carne, dice in una poesia. Siamo così, sogni di carne, siamo costruiti da attimi impilati uno sull'altro, colonne, fragili, fatte di momenti.
Se rileggete il testo, magari ad alta voce, guarderete ai giorni che stiamo vivendo con gli occhi di Strand. È un privilegio.
(Servizio catering) |
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