lunedì 31 ottobre 2016

Terremoto

Il corvo gracchia
il corvo vola
dove stare?
(Santōka 1882-1940)

Mezza Italia scossa dal terremoto. 
Dove stare?

(Natura matrigna)






venerdì 28 ottobre 2016

Brillo

Tepore d'autunno
la mia ciotola di metallo
colma di riso
(Santōka 1882-1940)


E così, alle due di notte, seduta sul divano di casa, occhio pallato e adrenalinica, non ne volevo sapere di andare a dormire né di sfilarmi il vestito rosa. 
Dopo una presentazione come quella appena avvenuta??? Impossibile.
E' stata bella, importante. Luccicante come il mio vestito. E c'erano tutti, anche quelli che non c'erano. Amici e colleghi-amici, i miei affetti al completo, c'erano Marino Sinibaldi e Valerio Magrelli (scusate se poco!).
Santōka è stato evocato, scoperto, ha avuto il suo momento, ma ero io che non stavo nella pelle. Ero lì, in mezzo a due gigantoni delle parole: d'acciaio quelle che Valerio Magrelli, nella sua poesia - e ora che ci penso nel suo lavoro di traduttore - piega, lucida, incastra tra loro con una meticolosità e un puntiglio chirurgico. 
Di mercurio, quelle di Marino. Fluide e intelligenti, veloci e spiazzanti, su cui si scivola e che come un incantatore usa senza ridondanza. 
Tra 'sti due c'ero io. E me la sarei pure cavata (pare). 
Allora, ancora una volta, eccovi la lista di cose che non mi devo dimenticare della serata. 

- il sonetto di cristallo e l'haiku di puntini -"quasi realizzato con la tecnica puntinista"- di Magrelli
- la libreria che non ha una mailing ma tanto c'era un sacco di gente lo stesso
- Milvia tra il pubblico!
- Marino che dice che gli avrei insegnato a guardare Roma diversamente
- e con una visuale rasoterra "da passerotto" citando Salvemini
- la "trasparenza" sulla "semplificazione"
- Bonnefoy che ha fatto capolino, insieme a Santōka, dallo zainetto di Magrelli


 E visto che abito a due passi, ci siamo trasferiti a casa perché la festa lì sarebbe continuata. E quindi continua anche la lista:

- la ciotola colma di riso ( e non solo!) del catering di Stefano
- il divano dei "vittimacchi"
- il divano dei musicologi di Radio3
- gomitino 
- Ettore, nuovo arrivato. Serio e compassato.
  
Tepore d'autunno. 


(Unpof)










    

giovedì 27 ottobre 2016

Selfie

Immagini d'autunno.
Ho visto gli amici.
Vedrò mio padre.
(Iida Dakotsu 1885-1962)

Apro un haiku e mi ci ficco dentro.
Siamo in autunno, ma chi parla è nel periodo del grano e dei frutti dolci, l'estate, ovvero: la maturità. Alle spalle la primavera, gli amici, amici appena lasciati indietro, se ne può sentire ancora il vocìo. Davanti a me l'inverno rappresentato dalla figura anziana del padre.

Quattro stagioni per una vita. Per un selfie meravigliosamente preciso. 
Anche troppo.


(adesso)


     

mercoledì 26 ottobre 2016

Gorino

Affaticato
alla ricerca di un tetto
i fiori di glicine
(Bashō 1644-1694) 

"Non siamo razzisti! Abbiamo paura!"
Di dodici donne, di cui una incinta, e di otto bambini (notizia QUI).

(fiori di glicine)

martedì 25 ottobre 2016

Domande

In questo tempo
mi abituo al lampo
e al viaggio
(Momoko Kuroda 1938)

Possibile assuefarsi così? 
Possibile leggere di 4293 uomini, migranti, che solo nella giornata di ieri sono approdati dopo paura e fatica sulle nostre coste e continuare a fare le stesse cose di sempre, tipo colazione, telefonare, girare pagina o cliccare altrove? Possibile? 
Sì. E' possibile.
Mille solo a Palermo di cui diciassette nella bara. Morti per le sevizie subite dai miliziani libici. Corpi martoriati per i pestaggi di adulti e bambini, sì, anche bambini. Una di loro aveva otto anni. Irriconoscibile. Possibile? Possibile.
Hanno appena smantellato il campo di Calais. Centinaia di persone con le loro povere cose in mano (zaini, giubbotti, borsoni), bambini che piangono, madri che piangono, uomini con gli occhi seccati. Possibile? 
Possibile che questi uomini in fila verso il bus, le povere cose ammucchiate ai piedi, il tramonto giusto e lo sguardo di rimprovero proprio perfetto, ok, proprio quello, sia diventato uno slideshow di foto d'arte da condividere e twittare (clicca QUI), possibile?

In questo tempo ci si abitua al campo, al lampo, al viaggio. A tutto.
Possibile.


(chi siamo?)





  

lunedì 24 ottobre 2016

Al cinema

Guardando qualcuno
che arriva solo
strada di fango
(Santōka 1882-1940)

Santōka ascoltava la radio, conosceva la musica jazz - lo scrive sul suo diario - non credo proprio sia mai andato al cinema ma il suo haiku di oggi può essere letto come un finale di una sceneggiatura, micro, ma altamente suggestiva, o no? 
La solitissima capacità di suggestione di un haiku. E oggi esagero...

Ieri sono andata al cinema.
Tra i vari trailers e coming soon che precedevano, mio malgrado, lo spettacolo, spiccava una scenetta realizzata ad hoc, che pubblicizzava il genere serie, non una in particolare ma tutte, ma proprio tutte, le serie tv. E dove aspiranti attori, presi dalla strada, ovvio - e che bisogna fare l'Accademia? e che bisogna sapere l'italiano, l'inglese o la grammatica? - presi dalla strada dicevo, - ma proprio quella sotto casa di strada, eh? - insomma, alcune emozionate nullità, davanti a un regista impersonato da Stefano Accorsi, aspiravano a un ruolo qualsiasi basta che fosse uno di una serie. La scenetta vuole sorprenderci: un individuo dall'aria truce, tutti capiscono che è lui, l'attore di Gomorra!!!, entra in scena alle spalle delle provinanda, scherza con uno stentato vocabolario e qualche grugnito di tipo malavitoso da sotto la sua cresta di capelli rasata e cattivona, mentre la tizia si sdilinquisce, ha tipo un mancamento dall'emozione. Accorsi si bea di questa realtà che entra nella finzione, ooooooh, di questa rosa purpurea del Cairo made in Scampia.
Ora. Perché? Gomorra a parte (chi mi segue sa cosa ne scrissi ma clicca pure QUI) ma perchè?
Perché proiettare una pubblicità sul genere serie-tv, genere che ha cannibalizzato il cinema stesso, al cinema?
Perché nessuno dice che le serie sono fatte in serie? E che hanno ridotto le uscite serali tra amici facendo rintanare un po' tutti? E che un sacco di cinema indipendenti, piccoli, con una programmazione pensata, chiudono, anche loro, in serie?


(Fatti in serie)







domenica 23 ottobre 2016

Sospetto

(mercoledì 25 novembre 2015)

Sospetto 

In autunno avanzato,
chissà cosa sta facendo 
il mio vicino?
(Bashō 1644-1694)

Chissà chi sarà veramente questo tizio che mi vende i fiori? E se è vero che i kamikaze si devono mimetizzare per sembrare innocui... allora, quello del piano di sotto, elegante e con la camicia sempre stirata, così silenzioso... non è fin troppo silenzioso? E quello che mi ha appena urtato e va di corsa, da dove scappa? Sta scappando, giusto?
E quella là con quel velo sempre in testa su e giù dalla moschea, non me la conta giusta con tutti quei bambini. Piccoli loschi figuranti?   
E se poi "il mio vicino" si ingrandisce fino a diventare grande come una nazione intera tipo la Turchia, se si ingigantisce ancora fino a diventare grosso come la Russia con il suo impenetrabile capo di stato, i giochi strategici globali contro l'Isis si schianteranno come un aereo al suolo.

Il sospetto dilaga, i contorni si confondono nella nebbia di questo "autunno avanzato" dell'umanità. 
Cosa sta facendo il mio vicino? Da quale parte sta? 
E io, dove mi metto io?



(Chi c'è lì dietro?)

sabato 22 ottobre 2016

Sabati e domeniche

Sulle ginocchia della mamma
il bimbo batte le mani 
mentre brucia l'incenso
(Issa 1763-1827)


Oggi profumo d'incenso. 
Dove ci troviamo? In una piccola cappella di campagna, in una chiesa di città oppure in un tempio buddista, scintoista? È il profumo di un'austera sinagoga o di una fiorita moschea ad avvolgere questa scenetta familiare di pia devozione che l'haiku suggerisce?
Sarebbe bello che provenisse da un luogo qualsiasi. O meglio, da nessuno. 
Che ebrei, islamici e cattolici pregassero insieme, che scampanio e muezzin si accordassero in un'unica armonia, proprio come auspicava stamattina, con semplicità, un'ascoltatrice di Radio3 a Prima Pagina. 
E in più, aggiungo, che chi non crede possa essere rispettato. Senza obiezioni sociali o ospedaliere...
Semplicemente.


(Rito profumato)



venerdì 21 ottobre 2016

Mito Assoluto

Vecchia casa -
quando i fiori di mandarino
profumano
(Santōka 1882-1940)

"Quarantotto euro???"
"Sì, quarantotto."
"Ma rischio di perdere pure l'aereo. Certo, per un bagaglio a mano, mi sembra proprio tanto... E poi il disservizio era vostro, dal sito non era possibile... Ok, ok, ma lasciamo perdere. Ecco il bancomat, prego"
Seguo la scena del mio "collega di sfighe da imbarco". Sono all'aeroporto di Catania, pronta alla partenza già da un paio d'ore visto che sono arrivata molto prima per comprare la cassata. Mentalmente faccio i calcoli: non riuscirò mai a raggiungere per tempo la pasticceria vicina all'imbarco, l'aereo sta quasi partendo e sono ancora in fila, ora un'altra, perché il mio biglietto mi dicono non risultare. E in questa fila, più corta ma sempre di tipo tondo, smussata affinché ci si possa superare e/o partecipare attivamente dei casini degli altri con consigli e faccette, conoscerò "Mito Assoluto" (non sapevo ancora che il ragazzo che garbatamente protestava con la receptionist sui quarantotto euro, l'avrei chiamato così).
Entrambi dicevo, Mito Assoluto ed io, stavamo rischiando di perdere il volo per Roma. 
Finalmente lui risolve e io risolvo e, tra penali e cavoli vari, ci ritroviamo, nuovamente in fila, questa volta chilometrica, per l'imbarco. Che fortuna, penso, un altro quarto d'ora di ritardo!!! La fila, che definirei adesso a tortiglione, mi rassicura ancora di più dello schermo degli avvisi: c'è tutto il tempo anche per comprare la cassata!
Mi tiene il posto? Ormai ci riconosciamo, siamo tra parenti. 
In fila, in Italia, ci si sente, almeno per qualche ora, uniti per sempre: ciao signora rumena che non riuscivi a leggere il biglietto e sapevi d'aglio, sei tu, ti riconosco. Ciao ciao ragazzi catanesi con le magliette aderenti e il cellulare furioso, anche ciao a te, signore un po' antico con il pizzetto (ma forse avrai la mia età) che volevi aiutarmi al web check-in che mi risputava i miei dati, e che mi rispondi con il tuo di ciao ciao, sembri proprio sollevato nel vedermi quaggiù, alla fine del tortiglione che, impavido, guidi dalla tua prima posizione. Ciao signore cinese con bagaglio gigantesco incellofanato sui cui troneggia la bambina con pipì urgente, ciao! 

Arrivati in fondo, io con cassata e Mito trascinando il suo dispendioso trolley, eccoci al bus che ci dovrebbe portare alla scaletta dell'aereo. Ma rimaniamo fuori un'altra volta: siamo troppi, dobbiamo aspettarne un altro.
"Bene!" lo guardo "uniti fino all'ultimo contrattempo".
"E già. E per me continuerà" mi dice spostandosi il ciuffo chiaro che gli andava sulle lenti degli occhiali. Ha gli occhi azzurri, Mito, dolci. E una camicia verde, stirata, su pantaloni beige. Mitezza fatta persona, Mito. 
"In che senso, continuerà?" 
"Arrivo a Roma e vado a Milano, prendo la coincidenza (qui scatta il segno della croce per tutti quelli che erano con noi e lo ascoltavano come me) e stanotte dormo lì. Ma non so per quanto tempo dovrò rimanere a Milano. Faccio il supplente."
"Di quale materia?" lo guardo, mentre stava diventando Mito e alzava un po' le sopracciglia da sotto le lenti.
"Fisica. La titolare è malata, non si sa quando guarisce e per ora ci sarei io" continua pacatamente "poi vedremo..."
Mito e i suoi puntini di sospensione dove c'è tutto quello che mi ha raccontato sotto il sole in attesa di partire: il motel dove dormirà oggi e domani  e che ha prenotato, il fatto di cercarsi un alloggio perché a Milano si figuri, signora, quanto costa. Che ha preso un altro aereo e non uno diretto per risparmiare, e che non è di Catania ma di Caltanissetta (altro treno, altra sveglia, altri ritardi, altri chilometri), che qui fa caldo e lì chissà che freddo, che ha venticinque anni e i suoi allievi ne avranno sì e no quindici (Mito, ma sembri loro coetaneo, penso, ti vorrei abbracciare, a te, al trolley, alla fatica che ti aspetta e che sembri non sentire) ma Mito mi sorprende ancora. Di "fisici edili", come sono io, continua scostandosi di nuovo il ciuffo, c'è richiesta. Ci rimetterò seicento euro, temo, ma magari un punto in graduatoria lo ottengo. Altrimenti? Altrimenti ricomincio. Bisogna muoversi, non stare fermi. Ho fiducia, sono esperienze, no? Anche di vita...
Altri puntini.
Mi sorride.

In bocca al lupo "Mito Assoluto", faccio il tifo per te! Anzi stasera, che brinderò con una fetta di cassata, gli dico, lo farò in tuo onore.
E Mito: la cassata dell'aeroporto? Vabbè, sarà buona lo stesso...


(Catania- Università degli Studi)



   
    

giovedì 20 ottobre 2016

La verità

Autunno denso di nubi
sul viso vecchio.
Arriva mia madre.
(Sugita Hisajo 1890-1916)

"Sono molto contenta per Omar Hashi Hassan che da oggi è finalmente libero. Anche noi come parte civile ci siamo battuti perché venisse riconosciuta la sua innocenza. Tuttavia, se è una grande giornata per lui, da parte mia devo dire che sono molto amareggiata e depressa", è stato il primo commento di Luciana Alpi. "E' come se lei e Miran Hrovatin fossero morti per il caldo che faceva a Mogadiscio. La verità non l'abbiamo e secondo me non l'avremo mai" ha poi ribadito.

(Alpi - Regeni)


martedì 18 ottobre 2016

Libellulissima

Una libellula 
sul cappello.
Cammino
(Santōka 1882 -1940)





Me ne vado in giro, libellula sul cappello, con Santōka. Cammino. Viaggio - e vedo gente! - e sono pure vezzeggiata, viziata e intrattenuta.
Eccomi qui, con la lista delle cose da non dimenticare della tappa siciliana che si è svolta tra Palermo e Catania. Sono tante, spero di raccoglierle tutte, però prima una premessa sui miei ospiti librai, il gruppo di "Modus Vivendi" di Palermo e di "Vicolo Stretto" di Catania: senza il loro lavoro, in luoghi dove non si legge quasi e dove le persone le devi attrarre in libreria e pure sedurle, dove insomma combatti giorno per giorno per una pagina letta, senza di loro, dicevo, sarebbe stata una trasferta diversa.



Con Fabrizio Piazza ci conosciamo sulla soglia del negozio dove lavora. Di poche parole, barba bionda e occhi azzurri, un palermitano compassato ma empatico sia con me che con i suoi clienti che cura uno per uno (altro che Orto Botanico!). La libreria sembra piccola ma è capace di aprirsi come una trousse, al volo spariscono le scaffalature e appaiono sedie e microfono, capace di trasformarsi in un luogo ovattato e protetto. Alle pareti vetrine di monili indiani e stoffe colorate. Il gruppo di lavoro, Marcella e gli altri, si aggirano controllando che sia tutto a posto.





Di "Vicolo Stretto", la libreria catanese, ne avevo sentito parlare sui giornali. Le due sorelle libraie sono quelle che in vetrina hanno affisso il foglio con su scritto qualcosa del tipo "qui non vendiamo il libro di Salvatore Riina". Mica poco. Sono belle, allegre, piene di entusiasmo e di idee tra cui quella di coinvolgere la loro città, Catania, in un festival letterario.
Maria Carmela è, delle due, quella con cui ho speso un po' più di tempo insieme. Una forza della natura, lei, le libellule, le acchiappa al volo.
Parla, sorride e nel mentre organizza il lavoro dei volontari, con fermezza e rispetto, monta e rismonta il suo festival alla prima edizione. Ha bellissimi occhi, puntuti. Due pezzetti di lava.
E a proposito delle bellezze locali, ecco la lista di Palermo: 

- la visita a Palazzo Branciforte, dal nome leggendario come quello di un personaggio di un cunto, quello con i pupi di Mimmo Cuticchio che rumoreggiano legnosi e piumati. Le sale cinquecentesche, prima nobiliari poi deposito del banco dei pegni dei poveri, quello detto dei "panni vecchi" e oggi restaurate da Gae Aulenti.
- lo struscio serale, gli incontri, gli amici
- L'Archivio di Stato che è stato prima sinagoga, poi moschea. Oggi solo luogo di libri, tutti, e non di uno solo sugli altri.
- le foglioline del liberty che si fanno largo nel cemento
- Patrizia, solare come il suo cognome
- Luisa che mi ha regalato 155 chilometri per raggiungermi

E quella di Catania:

- Il celestino a sorpresa del cortile di Palazzo Platamone
- la palma, dritta e con le foglie lucide, in quello splendido dell'università
- il mercato del pesce
- il fiume, dentro il barocco della piazza, fiume che non è di marmo
- il teatro Bellini di notte con la luce dentro e fuori buio
- la colazione con granita di mandorle e brioche e il mare 

E poi tutti quelli che mi hanno raggiunto e "fatto faccetta" (nel senso di complicità) quando parlavo.
E ancora: tornando a casa, all'aeroporto di Catania, ho conosciuto un ragazzo. Di "Mito Assoluto" ve ne parlerò domani. La lista è troppo stretta per lui.  







  

lunedì 17 ottobre 2016

Guerra in Siria

Cadono le foglie
dagli alberi
cammino senza tregua 
(Santōka 1882-1940)


(Pini di Aleppo)

sabato 15 ottobre 2016

Buon sabato

Freschezza d'estate
qui me la prendo comoda
e faccio la siesta
(Bashō 1644-1694)

Estate resta qui ancora un po', fermati! Con i tuoi tempi morti, i telefonini che squillano di meno, gli amici, che sì ci sono ed è bello, ma va benissimo che siano ancora in giro. E ora legale, resisti! E soprattutto resistete ancora siesta pomeridiana, ore di ozio utili per leggere e pensare, solo pensare, alle cosa da fare.
Quelle sane ore da Paperino, naso schiacciato contro lo schienale imbottito del divano, e coda in posizione OFF verso il resto del mondo...

(Estate da sogni)

giovedì 13 ottobre 2016

NOBEL

Ai raggi del tramonto

una farfalla
vola sulla città
(Takarai Kikaku 1661-1707)


In occasione dei suoi novantanni ho avuto il piacere di intervistare per Fahrenheit Dario Fo.
Gentile, lieve, pronto alla conversazione e a divagare, parte dal libro appena pubblicato per arrivare a quello che per lui è il vero cuore delle cose: la curiosità come molla per procedere. 
Farfalla vola sulla città.
Al Re dei Guitti, a questo "mistero buffo" della cultura italiana che ha la parola "dio" già nel suo nome e cognome (farò dio) - presa in giro onomastica in carne e ossa - ecco, proprio a lui, a Dario Fo, consegnerei un secondo Nobel per la gioia di vivere che ancora oggi trasmette a novanta anni. 
(clicca e ascolta QUI)
..........................................................
E oggi? Oggi hanno assegnato il Nobel per Letteratura 2016 a Bob Dylan. 
Fino a questa mattina ero convinta se la battessero ancora una volta Don Delillo e Philip Roth.
Il primo, Delillo il freddo, scrittore dallo stile gigante ma dal fisico che appare così comune, ordinario. Lo ricordo in una via del centro di Roma,  in occasione di un festival di Massenzio di anni fa, il giubbino di tela leggero, i capelli bianchi e sottili, non alto. Stringeva a sé una cartellina arancione, forse conteneva l’intervento che avrebbe letto la sera,  mentre tutti gli altri intorno parlavano parlavano, sembrava cortesemente assente, attaccato a quel rettangolo arancione. Sembrava un amministratore di condominio. Da allora, in casa lo chiamiamo il Ragioniere. Del resto chi ha ragionato meglio di lui dietro a un dettaglio nello spazio di una pagina?
E poi Philip Roth, altra pietra miliare della mia libreria. Forse lo amo ancora di più di Delillo. La sua chiarezza che corrisponde a cervello e viscere, alto e basso, pulsioni e vertici. Roth e la sua giacca di tweed, i suoi capelli arruffati, le labbra sottili. Il suo viso da uccello mi guarda da dietro la mia scrivania in redazione da un ritaglio di giornale fotocopiato.
Sì, parteggiavo per lui, lo ammetto. E sono andata così avanti,  al punto di immaginarli a telefono subito dopo l’assegnazione del Nobel a uno di loro:
"Ciao Philip"
"Ciao Don"
"Congratulazioni, caro"
Ma il mio sogno vola nel vento mentre tutti cantano qualcosa che mi sfugge. Non capisco.

(Everyman)



mercoledì 12 ottobre 2016

Una festa da stadio

Questo autunno
perché mai devo invecchiare?
Uccello tra le nubi
(Basho 1644-1694)


Grande festa per Anderlini Mario, il partigiano, detto Franco! 
Bologna ha appena festeggiato i suoi cento anni e io mi unisco agli auguri. Ed è anche mia una nota che vola lassù, di quel "bella ciao" che hanno intonato ancora una volta tutti in coro.
Cliccando QUI leggerete la sua biografia. Come non conoscerla, come non onorare questo vecchietto sorridente, la cui foto vedo tra le notizie semi nascoste, quelle più in basso - e che di solito si saltano - nella versione on line di un quotidiano. Scorrendole si incappa anche nelle cronache da stadio, nelle foto, a dir poco irritanti, della tifoseria che sbraita durante Israele-Italia  e si sbraccia nel saluto romano (Notizia QUI)
Ma torniamo alla festa che è meglio, anzi, aiuta a mandare giù rospi del genere.
E torniamo alla storia di Mario Anderlini, alla sua beffa, quando nel 1945, giovane e forte, si finse morto e si stampò da solo il ricordino funebre in memoria, appena seppe che gravava sulla sua testa una taglia. E che ebbe la meglio "in quel di Piumazzo e nello scontro di Levizzano intrepidamente e vittoriosamente sostenuto contro forze nemiche dieci volte superiori per numero". 
Cari miei, finora nessuno ce l'ha fatta contro Mario detto "Franco",  nessuno se l'è portato via e seppellito all'ombra di un bel fior. Nessuno ce l'ha fatta!
A "Franco", che era uno contro dieci, alle sue mille vite, ai suoi cento anni. 
Auguri a te (e a noi)! Evviva!


(bianco rosso e verde)










martedì 11 ottobre 2016

Amore

Questa solitudine
verresti a condividerla?
Foglia di paulonia
(Bashō 1644-1694)

Della paulonia e delle sue foglie so poco. 
Allora guardo su internet. Scorro le foto: il portamento maestoso, i fiori lilla e bianchi che sembrano vellutati e carnosi dentro la chioma, "profumatissimi", dice wikipedia. 
Il suo legno è fonoassorbente, perfetto per il koto, lo strumento a corde giapponese, ed è un ottimo isolante termico. E' usato, continua la paginetta, in ebanisteria; sono di paulonia i mobili che custodiscono i kimono e i geta, gli zoccoli tradizionali. 
Un legno musicale, robusto, flessibile, caldo, protettivo. E che sa di passi per casa.

Un haiku-albero come dichiarazione d'amore e progetto di vita.

(cercando la foglia giusta)


  

domenica 9 ottobre 2016

Una domenica

Sembra risuonino 
anche le campane
frinire di cicale

(Bashō 1644-1694)



Una dozzina di anni fa finiva un periodo faticoso, una di quelle onde anomale che ogni tanto travolgono la vita ma mi sentivo meglio, rifiorivo piano piano. Passeggiando per il centro metto gli occhi su una spilletta che mi guardava da una vetrina. Cosa da poco, ma era proprio la "mia" spilla. Una cicala di plastica, vecchiotta, anni sessanta. Fascino immediato a prezzo contenuto. 
In un attimo entro, compro e attacco al bavero. E in attimo la eleggo mio portafortuna ufficiale.
Passano gli anni, alti e bassi, solitissime cose che capitano a tutti, arriviamo a maggio 2014. Ricordo bene la data perché tornavo dal Salone del Libro di Torino in treno. Caldo di primavera inoltrata, trolley, giacche, giornali e libri, mi siedo, mi alzo, metto la presa per iphone, insomma... la cicala si stacca e la perdo. Me ne accorgo a casa e in un flash la rivedo per terra, credo anche di aver risentito mentalmente il suo toc sul pavimento del treno. 
E va bene, pensavo, è andata cosi'. Pazienza. 
Una mattina di domenica, ma di un anno dopo, siamo a maggio del 2015, e dodici anni dopo quell'acquisto, mi sveglio con il pensiero di andare al mercatino di piccolo antiquariato di piazza Augusto Imperatore a Roma. Fin qui niente di strano. Ma se dicessi che l'idea che mi fa scendere dal letto è quella di poter ritrovare la spilla-cicala? 

Inizio il mio giro tra le bancarelle, sbircio, soppeso, osservo e ripongo oggetti e oggettini, "Avete spille vecchiotte, magari a forma di insetto?"  
"E questa le piace?" 
Mi mostra un cicalone bruttissimo, stilizzato, e poi non era "quella" spilla, io volevo la "mia" cicala. Continuo ad aggirarmi per il mercatino quando vedo un signore elegantissimo con le ghette, un completo lilla, i capelli grigi raccolti in un codino, intento nella scelta di alcune cartoline. Luigi Ontani, grande artista, grande tableau vivant di se stesso. Sontuosamente perfetto in ogni dettaglio.
"Belle le cartoline che guarda, maestro. E molto divertente scegliere qualcosa al suo fianco"
"Conosce l'arte?" mi  chiede.
"Mmmm. Tutta tutta direi di no, ma il suo lavoro sì. Che piacere conoscerla!" Stava pure guardando vecchie cartoline giapponesi...
E iniziamo a chiacchierare su India, mercatini e carte fatte a mano. 
Dalla sua sporta di seta - Ontani può girare solo con una una sporta di seta profumata di incenso - tira fuori un suo piccolo quaderno di artista. Ci scrive su una dedica con un pennarellone d'oro, anche lui custodito nella sporta di cui sopra, e me lo porge.
Prendo il librino, confusa e felicissima. È una minuscola antologia delle
sue foto famose dove lui posa in varie fogge e sulla cui copertina mi ha scritto, ghirigorando, "susanna" e "arte". 
In giro la domenica mattina per un mercatino di antiquariato con Luigi Ontani, uno dei più grandi artisti contemporanei
E pensavo a un sacco di cose. Al lavoro su se stesso lungo tutta una vita, modello, ispiratore e soggetto stesso della sua arte. A quanto sia sofisticato e semplice insieme, conturbante e ironico. Osservavo da vicino il suo profilo, i capelli ora bianchi e raccolti che rimarranno, grazie al gesto artistico, lunghi e bruni come quelli di un giovane san Sebastiano di Guido Reni. 
Questo artista un po' Shiva, un po' Genji principe splendente e un po' Pinocchio, capace di trasformare cartapesta, vetro e legno in pietre preziose e rendere una maschera persona e persona una maschera. Un bell'incontro, non ci sono dubbi. 

Tornando verso il motorino mi ripetevo quanto è bella Roma la domenica mattina, e quanto è bello viverci e che, alla fine, questi incontri, ma dove sono mai possibili se non qui?
"Desidera qualcosa?" mi chiede una signora da dietro un piccolo stand tremolante di mille chincaglierie.
"Solo un'occhiata, grazie"
E che vedo? In mezzo a tante spille, la "mia" cicala. Ovviamente di un altro colore, più marroncina e meno verde, ma era "quella". 




sabato 8 ottobre 2016

Buon sabato

Sabato pomeriggio

Senza di te,
in verità, i boschi
son troppo ampi!
(Issa 1762-1826)


"Anvedi, me stavo p'ammazzà" dice, sedendosi a piombo sul sedile, quello più alto dei due, dopo essere quasi caracollato sull'altro per una frenata improvvisa dell'autobus.
"Mèttete qua, va" gli dice l'amico, sogghignando.
Sono seduti davanti a me, identici, stesso ciuffo scolpito, stessi tatuaggi, stesso telefonino da compulsare, stessa aria di chi conosce la vita dall'alto dei sedici anni.
Non proprio dei secchioni, direi. Più frequentatori di baretti all'angolo o di curve dello stadio per urlarci dentro la domenica. 
Lei. Appare dopo una fermata. È appena salita, li raggiunge venendo verso di noi.
Sì, c'ero anch'io, ma loro tre non lo sapevano.
È scura di pelle, stessa età. Occhi seri sulla bocca sorridente, un piercing sul naso. Iniziano a chiacchierare un po' a mugugni, un po' a risate, un po' mostrandosi lo screen del telefonino.
"E che mica lo so daa prossima settimana" sento che dice lei sotto i cento fermaglietti che ha in testa "È mi' padre che me deve ffa capì come se fa, ma non se capisce gnente. Figurate, capace che se me scade me ne devo annà e tornà laggiù. Perchè io so' itagliana ma me scade..."
"Ma che, davero te ne devi annà?" Dice uno dei due ragazzi con la voce che gli esce da sola dalla bocca che intravedo mezza aperta, sospesa. 
Anche l'altro, che ora lo guarda sgomento e poi guarda lei, scuote quell'opossum di capelli con aria persa. Le facce che vorrebbero essere da cattivissimi, i tatuaggi con i gladiatori uguali a quelli Totti, non fanno paura a nessuno. Loro non vogliono fare paura a nessuno, figurati a lei.
"E che sse fa?"
"Boh, qualcosa se inventàmo, io nun ce capisco gnente. Ecco semo arrivati, scennemo va."
"E sì, qualcosa se inventamo"
I boschi sono troppo ampi, senza di te!

Li vedo, i tre. Veloci verso il corso con i negozi, magari la prossima volta quelle scarpe fichissime me le compro, vedo la lattina condivisa, gli scherzi a lei, le prove di abbraccio di uno dei due.
Un po' sono felice.
Qualcosa, loro tre, si inventeranno.

(Bosco romano)

venerdì 7 ottobre 2016

Domande

Vedo la neve cadere
attraverso un foro
nello shoji
(Shiki 1867-1902)


Shiki è un poeta che amo molto, la sua vita così breve che l'ha costretto ad osservare il mondo da un punto di vista sempre più ristretto che si rimpiccioliva per il suo stato di infermità. Si muoveva in uno spazio ridotto, mi turba ogni volta che leggo l'infinito dentro una sua poesia.

In questi ultimi tre giorni ho infilato nella medesima collana, quella mia, quella che porto al collo, la mia vita, tre perle.
La prima è stata la visione, per la seconda volta dopo quella al cinema, (ne avevo già scritto QUI) di "Fuocoammare" di Gianfranco Rosi, la seconda perla è stato il documentario di Marina Abramovic dal titolo "The space in between", la terza l'ho infilata andando a teatro per l'Orestea di Romeo Castellucci.
Tre perle, tre modi di parlare di vita e di morte attraverso l'arte. 
La quotidianità dei pescatori lampedusani e quella dei migranti ammarati come pesci agonizzanti, la lentezza del movimento parallelo di due mondi. Due pianeti che girano, leopardiani e inesorabili, muti, che parlano lingue che non si capiscono, che forse si guardano.
La ricerca artistica ed esistenziale di Marina Abramovic. Fino dove posso arrivare? Come farò a sopportare? Come capire la morte? Come capire la vita se non attraverso quello spazio in mezzo, quella soglia da varcare?
E gli incubi di Castellucci. Grandiosi, rumorosi, pittorici. Dove i personaggi in scena hanno la nostra taglia, noi come loro e loro come noi. Nessun protagonista, nessuna voce più forte di un'altra. Un farfuglìo continuo, i nostri incubi come quelli di Eschilo. La stessa rappresentazione da duemila anni.
Tre meraviglie, tre intellettuali, tre cervelli, tre idee. 
Tre perle che ti raccontano di una società contemporanea, di un tempo che viviamo e dei suoi interrogativi che riesci a scorgere anche guardando dove ti indicano loro. 
In quel buco nello shoji , la parete scorrevole perimetro della piccola stanza che fu di Shiki.

Della notizia della morte di cancro di un uomo nell'ospedale romano, abbandonato a se stesso per cinquantasei ore nel caos e nell'indifferenza, vi riporto il dettaglio del paravento. A un certo punto della sua lettera aperta, quasi sospendendo il tono di denuncia di quanto lui e suoi cari hanno dovuto subire, il figlio Patrizio Cairoli, dice: 
"abbiamo dovuto insistere per ottenere un paravento, non di più, perché gli altri "servono per garantire la privacy durante le visite"; una persona che sta morendo, invece, non ne ha diritto: ci hanno detto che eravamo persino fortunati. Così, ci siamo dovuti ingegnare: abbiamo preso un maglioncino e, con lo scotch, lo abbiamo tenuto sospeso tra il muro e il paravento; il resto della visuale lo abbiamo coperto con i nostri corpi, formando una barriera."
Un paravento. Un piccolo paravento a protezione del grande mistero, una soglia portatile tra qua e là. La barriera dei corpi, l'intimità da proteggere. L'attesa, la disperazione. La solitudine.

Vedo la neve cadere, ci dice Shiki che con l'Abramovic, Rosi e Castellucci ce la fa guardare.


(passaggio)









mercoledì 5 ottobre 2016

"io"

Bell'oleandro
- in questa mia vacanza
quanto silenzio
(Momoko Kuroda 1938)

Oggi non ho niente da dire, da linkare, da commentare. Non mi è successo nulla di grave, tranquilli! O meglio, succedono troppe cose su cui dire o da linkare e commentare (vedi perizia sul corpo di Stefano Cucchi).

Sto come un gatto con la palla di pelo in gola, un cane al guinzaglio che raschia sulle mattonelle pur di non muoversi. O come la caldaia che non parte anche se la luce verde è accesa, la chiave che non gira bene, il motorino che tossisce invece di mettersi in moto. La bici con la catena che si sgancia, il cassetto incastrato, il cd che salta, il chiodo che non entra nel muro, la radio che fruscia e ieri non lo faceva...
Sto così, in posizione STAND BY, né su ON né su OFF, e mi osservo. 
Sono riflessa nel vetro della porta che varco ogni giorno, quella che mi conduce in redazione, e che mi rimbalza quotidianamente la Susanna che vedono gli altri insieme a quella piccola scritta, "io", residuo di una parola attaccata e mezza sparita (rad-io?).
La mia didascalia.

(Io)