giovedì 27 febbraio 2020

Effetti del Corona Virus (2) - Latinismi




Signor Inverno, che cosa fai?
Quante valigie! Già te ne vai?
Sì, in una piego il Natale per bene,
in un’altra infilo il ghiaccio e la neve,
in un’altra metto influenze e bronchiti,
in questo zainetto trecento starnuti.
E quella signora che arriva laggiù?.
Signora Primavera è quella signora:
la sua valigia è leggera leggera,
è piena di erbetta e di pratoline
e di circa mille margheritine.
Le cedo il posto con un inchino:
farà del mondo un verde giardino.
(da Filastrocche di Vivian Lamarque)


Quando uno starnutisce si dice "salute!", espressione che viene dal latino e che, contratta, letteralmente significa "salus tecum", la salute sia con te.
Ma nel mondo dei cazzi nostri, quando uno starnutisce si pensa: la salute sia con me, che deriverebbe da un ipotetico "salus mecum", la cui abbreviazione, "salume", quantomai appropriata, sarebbe "Salume!"
Quello che siamo.


(lavarsi sempre le mani)


   

mercoledì 26 febbraio 2020

Un post...al sole



Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.
(“Amore dopo amore” di Derek Walcott)


Questo è un post... al sole, senza girarci attorno, riguarda Mauro. Ne ha fatta un'altra.
Stasera ce lo ritroveremo in tv, nella soap in onda da non so quanti anni ormai e adorata da mezza Italia. Appuntamento a casa di mia madre, fan della primissima ora, spettatori di un'altra performance narrativo esistenziale. Sono abituata, quello che descrive nel suo pezzo per il giornale e che chiama "taccuino quantico" lo conosco bene, l'ha sempre con sé, lo annota e ci sparisce dentro. Ed è così che stasera ne leggeremo un'altra pagina ma questa volta sarà "nella" televisione, ficcata come un cuneo tra le righe di una sceneggiatura. Mauro sarà Mauro dentro "Un posto al sole". Come raccontano bene questi versi di Walcott  - l' occhio preveggente del poeta che mi hai fatto scoprire tu -, nel tuo lavoro c'è la tua vita esposta, è in tavola. Chi vuole se ne serva di un pezzetto, magari troverà qualcosa di buono, magari qualcuno la sputerà perché indigesta. Quante lettere d'amore, quante fotografie, quante note disperate sul tuo taccuino.         

È festa: la tua vita è in tavola.

Leggo dal tuo pezzo che vieni scambiato per un critico gastronomico di passaggio al Bar Vulcano, un'altra pagina dal tuo taccuino quantico. 
Alla sigla finale partiranno i commenti di mia madre, le risate delle mie nipoti, le telefonate degli amici. E il menù per l'occasione: in tavola pizza di friarelli e champagne, per brindare a questa puntata della nostra vita.

(la vita al Bar Vulcano) 



  

martedì 25 febbraio 2020

Effetti del Corona Virus (1)



Non so se avete capito:
siamo in troppi a farmi schifo.
(da Epigrammi, VII, di Elio Pagliarani)


Quegli scaffali vuoti al supermercato, la razzìa babbea di qualcuno che un giorno, nel segreto dell'urna, darà il suo voto per il bene del Paese.


(lavarsi bene le mani)

mercoledì 19 febbraio 2020

Inquieto è il mio sonno



Cala la luna, gracchia il corvo; il cielo si riempie di brina.
Lanterne di pescatori sul fiume, tra gli alberi: inquieto è il mio sonno.
Dal tempio di Hanshan, fuori Suzhou,
la campana di mezzanotte suona per i passeggeri della barca.
(Poesia Tang)


Mi commuovono gli sguardi sopra le mascherine, tra chi è contagiato e chi ha paura di esserlo, e anche quelle amicizie nate cogliendo solo con gli occhi qualcosa di bello e di buono nell'altro. I due buchi che abbiamo sulla faccia dicono tutto senza parlare, e raccontano di paura e di coraggio con parole dolci.   


(città proibita)

  




venerdì 14 febbraio 2020

Amore di coppia


Le coppie che si baciano di giorno
cancellano la gente che c'è intorno.
Svanisce la città,
e anch'io mi sento già
andare via da me senza ritorno

Le coppie che non hanno dove andare
si baciano di sera in riva al mare.
Ma il mare qui non c'è,
restiamo io e te
a goduriosamente litigare.

Le coppie si suicidano dall'alto
scegliendo come complice l'asfalto
che poi le tradirà
spostandosi più in là,
rendendo senza fine il loro salto.
("Le coppie" di Tiziano Scarpa)

L'amore è tragicomico come questa poesia. Inizia in un modo e finisce in un altro, ti ribalta a terra come una mossa di karate, ti sorprende e incanta. L'amore è così, solo un poeta lo acchiappa al volo.

(N+A)
   

venerdì 7 febbraio 2020

I ramoscelli e Mattarella


Le bacche rosse crescono nel paese del sud:
primavera vi giunge, spuntano tanti ramoscelli.
Raccogline diletto, molti nel tuo grembiule:
questa più d'ogni cosa, l'uno a l'altro ricorda.
("Ricordo" Poesia T'ang)


I piccoli cinesi della scuola romana che festanti hanno accolto il loro Presidente assomigliano ai giovani ramoscelli in germoglio dell'antica poesia.
Leggo del gesto a sorpresa di Mattarella che si è recato di persona, nell'Italia dove si citofona, a trovare gli alunni di una scuola romana in cui si pratica, e insegna, l'integrazione tra culture. Un atto simbolico che sa di aria fresca, di primavera che arriva.


(dolci oracoli)


giovedì 6 febbraio 2020

La canzone del reale


Il sonno
della ragione non genera
mostri, ma simboli
veridici dei mostri che in parte già siamo
noi
(Luca Canali)

Mi colpisce il tono fiero e antico di questi versi di un grande latinista scomparso, il rispecchiamento che evocano, lo smarrimento.
Ieri ho passato una buona giornata, produttiva e ricca, il nutrimento preso da chi ho incontrato, da quello che ho letto. 
A cena il telegiornale macinava le sue notizie stantìe, gli speaker riempivano i piatti dei telespettatori che si apprestavano alle cene domestiche con quel solito cibo politico nostrano, di seconda scelta, ripassato un po' in padella per dargli sapore ma, alla fine, niente di che. Dopo c'era Sanremo, in onda da quest'anno: la canzone del reale. L'Ariston ritma il tempo sulle battaglie civili, tutte, intorno la cornice della musica dal vivo con vecchi cantanti e giovani leoni dai capelli scolpiti. Guardo, canto e mi commuovo e ci finisco dentro senza capire più che mostro sono io.


(quello che siamo)

giovedì 30 gennaio 2020

Il Valzer della Brexit


Domani tu mi lascerai
e più non tornerai,
domani tutti i sogni miei
li porterai con te.

La fiamma del tuo amor
che sol per me sognai invan
è luce di candela che
già si spegne piano pian.



E così, diceva la radio, l’Europarlamento ha approvato l’accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea. I voti favorevoli 641, quelli contrari 49, le astensioni 13. 
Come in un vecchio film, i titoli di coda scorrono sull'ultimo fermo immagine degli eurodeputati che cantano la canzone tradizionale scozzese Auld Lang Synè, nota come il Valzer delle candele. Il testo è del poeta Robert Burns, e il titolo un'espressione scozzese, accolta nel dizionario inglese, che significa "i bei tempi andati".
La canticchio, dondolo su me stessa con aria pensosa. Ma l'unica cosa che mi viene in mente è la versione di Elvis Presley gonfio di alcol e malinconia (QUI) 

(Paddington Station)


  



mercoledì 29 gennaio 2020

Virus virale


Vuota è la montagna – non vedo nessuno
solo odo fantasmi di voci.
Ancora la luce del sole, penetrando nel fitto degli alberi,
si riflette, scintilla sul muschio.
(Poesia Tang)

Dalle case di Whuan esce il grido di chi soffre e ha paura, arriva sui video degli appartamenti di ogni angolo del globo e rimbalza sui telefonini.
Forza Wuhan! urlato in coro è l'inno alla speranza diventato di tutti. 


(ancora la luce del sole)

lunedì 27 gennaio 2020

Giornata della Memoria


(...)
Ecco la gran massa d'ombra
da cui fuoriuscirono ponderose ore
e svastiche rotanti, pesanti stivali
calpestatori e botte e uscirono corpi
ridotti senza più carne per meglio combustare
o ammassati tenebrare in fosse in sepolture
respiratorie. Ecco. Uscì da quella massa nera
una durezza spacciata
per superiore forza e pulizia mondiale.
(...)
(Mariangela Gualtieri da "Quando non morivo")


Viale Giulio Cesare a Roma. La sorpresa di qualche giorno fa, prima di andare al cinema. 

(Esseri umani)

mercoledì 22 gennaio 2020

Sono nessuno



Se, alla luce delle cose tu scolori
vera, eppure debolmente sottratta
alla nostra determinata e giusta
distanza, come la luna lasciata accesa
tutta la notte tra le foglie, possa
tu invisibilmente allietare questa casa;
o stella, doppiamente compassionevole, venuta
troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi
per l’alba, possa la tua pallida fiamma
dirigere il peggio in noi
attraverso il caos
con la passione del
semplice giorno.
(Dereck Walcott da Mappa del Nuovo Mondo)


"Ho dell'inglese, del negro e dell'olandese in me / sono nessuno o sono una nazione". E’ in questa molteplicità di origini che si alimenta la poetica e l’originalità della lingua di Dereck Walcott, nato oggi novanta anni fa.

Quando era bambino la madre Alix declamava Shakespeare. Di suo padre, morto quando lui aveva appena un anno, sopravvisse la biblioteca ed è lì che scopre il Walt Whitman di Foglie d’erba. Ama lo stile di Milton, di Auden. E poi, più tardi, quelli di Dante, Joyce, Eliot. Nei cinque Gettoni che gli ho dedicato non mi sono mossa dalla sua isola-mondo, Santa Lucia, tralasciando volutamente altri luoghi molto importanti, e molto lontani dai Caraibi, a cui fa riferimento nel suo lavoro. Luoghi di viaggi come la Spagna, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’Olanda, e l’Italia dei testi dedicati a Siracusa,a Urbino, a Venezia e a Recanati. Ho preferito seguire l’Omeros del suo poema, cercare di capire l’equilibrio tra familiarità ed estraneità, provando a declinare in modo universale il concetto di identità culturale.
Scegliere l’inglese per Walcott non era sudditanza, conoscere culture diverse non significava sbiadire la propria. “Sono nessuno” diceva. 
Un nessuno frutto di un impasto antico quanto la storia del mondo, fatto di identità multiple, capaci di bassezze come di gesti eroici. 

(resistenze poetiche)


martedì 21 gennaio 2020

Franco Loi


Dent la paròla vèrta mí me pèrdi,
deventi i ròbb del mund, l’aria che passa,
quèla parola che sta dedré de l’aria
e se fa ciara aj ögg che stan nel temp,
e se mí parli sù no chi l’è ‘l parlà,
l’è ‘l vent che parla cul mè d’un sentiment,
ché nient se fa del nient e nel pensà
la vûs che mí me ciama me vègn dent.

Dentro la parola aperta io mi perdo,
divento le cose del mondo, l’aria che passa,
quella parola che sta dietro l’aria
e si fa chiara agli occhi che stanno nel tempo,
e se io parlo non so chi è il parlare,
è il vento che si dice col mio sentimento,
poiché niente si fa dal niente e nel pensare
la voce che mi chiama mi viene dentro.
(Franco Loi da "Isman" Einaudi 2002)


Una casa luminosa e borghese nella Milano di periferia, sobria e piena di libri. Franco Loi mi aspettava per registrare alcune sue poesie. La luce attraversava le persiane, la luz, diceva il poeta, in quel suo impasto di lingua e dialetto e slang dell'hinterland milanese. Nato a Genova novanta anni fa come oggi, da ottanta vive a Milano, città che ha abbracciato attraverso le parole dei suoi versi, attraverso quel linguaggio ibrido di suo conio e con quel sorriso da monaco allegro. Ieratico ma non troppo, dialettale ma non esattamente, malinconico ma con quel raggio di felicità francescana che attraversa le sue parole aperte.

(sulle parole della poesia)

   



venerdì 17 gennaio 2020

Craxi


Quanta fatica si fece
a non avvicinare il sangue
al fango,
lo stesso che con il tempo
sarebbe entrato nelle vene
(Cesare Viviani da "Ora tocca all'imperfetto")


Sono alcuni giorni che Craxi è riapparso, e punta il dito, e guarda e rimprovera. Perché?
Perché bastano un vecchio regista dall'aria sapiente e un attore un po' Noschese seduti intorno a un tavolino da seduta spiritica. E ci si alza in piedi ad applaudire immemori, pronti a mischiare il sangue col fango.


(Milano da bere)