mercoledì 22 gennaio 2020

Sono nessuno



Se, alla luce delle cose tu scolori
vera, eppure debolmente sottratta
alla nostra determinata e giusta
distanza, come la luna lasciata accesa
tutta la notte tra le foglie, possa
tu invisibilmente allietare questa casa;
o stella, doppiamente compassionevole, venuta
troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi
per l’alba, possa la tua pallida fiamma
dirigere il peggio in noi
attraverso il caos
con la passione del
semplice giorno.
(Dereck Walcott da Mappa del Nuovo Mondo)


"Ho dell'inglese, del negro e dell'olandese in me / sono nessuno o sono una nazione". E’ in questa molteplicità di origini che si alimenta la poetica e l’originalità della lingua di Dereck Walcott, nato oggi novanta anni fa.

Quando era bambino la madre Alix declamava Shakespeare. Di suo padre, morto quando lui aveva appena un anno, sopravvisse la biblioteca ed è lì che scopre il Walt Whitman di Foglie d’erba. Ama lo stile di Milton, di Auden. E poi, più tardi, quelli di Dante, Joyce, Eliot. Nei cinque Gettoni che gli ho dedicato non mi sono mossa dalla sua isola-mondo, Santa Lucia, tralasciando volutamente altri luoghi molto importanti, e molto lontani dai Caraibi, a cui fa riferimento nel suo lavoro. Luoghi di viaggi come la Spagna, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’Olanda, e l’Italia dei testi dedicati a Siracusa,a Urbino, a Venezia e a Recanati. Ho preferito seguire l’Omeros del suo poema, cercare di capire l’equilibrio tra familiarità ed estraneità, provando a declinare in modo universale il concetto di identità culturale.
Scegliere l’inglese per Walcott non era sudditanza, conoscere culture diverse non significava sbiadire la propria. “Sono nessuno” diceva. 
Un nessuno frutto di un impasto antico quanto la storia del mondo, fatto di identità multiple, capaci di bassezze come di gesti eroici. 

(resistenze poetiche)


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