lunedì 27 agosto 2018

Rewind


Sopravvissuto,
sopravvissuto a tutti
Oh quanto freddo!
(Issa 1763-1828)

Quanto sarebbe bello un tasto rewind per andare indietro con le vite delle persone! Poterci cliccare su e seguire passo passo, a ritroso, chi ho davanti.
E, cliccando cliccando, vedere da dove vieni, perché sei scappato, dove ti trovavi, chi erano i tuoi familiari, i tuoi amici, il tuo paese, la tua terra. E vedere cosa ti hanno fatto per farti arrivare in un posto sconosciuto, per farti salire su un barcone, per obbligarti a lasciare l'abbraccio dei tuoi e per farti dimenticare sapori, odori, abitudini. 
Vedere come ci sei arrivato dentro quella tuta da benzinaio che ti sta larga, dentro quelle scarpe che consumi sui nostri marciapiedi per vendere degli affaretti inutili. Sopravvissuto a tutti, che cosa mai hanno sopportato le tue pupille che cercano le nostre ora con aria supplicante o torva, rassegnata o spersa!
E che cosa amavano guardare per sognare.

(sopravvivere)


venerdì 24 agosto 2018

Milf


Invecchio. Mentre il giorno qui s'attenda,
senza darsi dattorno, non atteso,
penso ai miei casi, il da farsi, le agenda,
pure a te, santoddio, beninteso.

Pioverà? Farà bel tempo? Che attenda
per uscire un segnale o ancora teso
mi comprenda male ritmo e vicenda?
Intanto, come tutti, mi soppeso

gli inviti del caso, poi l'ora chiusa...
Rilasso il ventre ch'è quasi mattina,
se non funzione pur sempre richiamo

all'arduo mio zampettio di gallina
su per Ia via alla vita, assai confusa,
chiocciante... Vieni fuori ora e finiamola!


Vicina di ombrellone, a occhio coetanea, parla al telefonino. 
"...sì, nun te dico...era un arabazzo di quelli che vengono colle navi..."
Vento. Mannaggia, perdo la sintonia e non sento più bene.
Allora mi giro, per guardarla meglio. l ray ban specchianti da cui fuoriescono i pizzi simmetrici delle sopracciglia, smalto fluo spesso su unghie di plastica, bocca cuorata, cavigliera d'ordinanza, si rosola al sole per abbronzatura di mantenimento su telo da mare con tasca porta cellulare. Chiappe lignee, ore di palestra, decorate da tatuaggio con farfalla, stringa centrale rosso fuoco come un segnaposto di google maps.
Vento. Non capisco quello che dice, mannaggia. Poi di nuovo ribecco il segnale.
"... sì, è un campione di pesistica che lo chiamano a ffa' il testimonial pe' na ditta de' piscine. Pure a Ibbiza. C'avrà 'na venticinquina e mi esalta mucho."

(toy boy)




  

mercoledì 22 agosto 2018

E' solo un giorno che non va



E' solo un giorno che non va
nun te preoccupà
e poi t'accorgi che anche tu
tu nun ce pienze cchiù
("Un giorno che non va" di Pino Daniele)


Una volta, anni fa, quando ancora era vivo e riempiva gli stadi, andando verso il caffé vicino a dove tuttora lavoro, incontrai Pino Daniele. Nel mio ricordo cammina lento, tipo ralenty, i capelli lunghi, il riverbero di una giornata di sole sulla vetrina con le pastarelle, il vestito chiaro che vi si riflette. Un'apparizione, direte, classica apparizione del cantante alla groupie di turno. Sì, lo era, al suo passaggio, il cuore mi fece tonf come quando si incontra un vecchio amore, uno di quelli persi di vista da anni... Tonf, fece così. Ovviamente non lo avvicinai, mi tenni il tonf e mi diressi verso la mia redazione, solo alcuni uccellini cinguettanti che volavano intorno al mio casco, solo questo.
Pino Daniele torna nella mia vita in modo carsico, come stesse lì, sotteso alle mie vicende con quella voce da muezzin, in sordina o in primo piano a seconda dei momenti. Spesso accade d'estate, dentro una giornata agostana che si collega con chissà quale del mio passato o del mio passato solo immaginato, quello più denso di malinconia. In mezzo, tra me e quello che ho davanti, ci sono le sue canzoni. 


(Nero a metà)

    

lunedì 20 agosto 2018

La vita in un ponte


riattraversarlo vorrebbe anche se oscilla
periglioso, sospeso sull'abisso
non importa se manca qualche asse
tra le corde stanche e sfilacciate
se il vento che soffia nella gola
fa trepido e incerto il suo passaggio
vorrebbe metter piede all'altra sponda
sponda come? di un'erba calpestata
un po' verde, un po' gialla, di città
di sobborgo, non landa né steppa
quali umani? se stesso nei passanti
per vie di pioggia, di negozi chiusi
tra facciate notturne di finestre
illuminate di ussari, di musiche
né mai chiedersi a un angolo di strada
ed io, ospite di quale sera?
("Ponte e città" di Luciano Erba)



Perché la testa torna sempre lì e poi vaga, vaga e arriva lontano, in mezzo al mare. Sopra una barca di cui nessuno vuole il contenuto anche se è fatto di uomini, donne e bambini. Anche se ha la vita dentro che la spinge avanti, a dispetto di tutto.  
La vita è in questi versi, non importa se manca qualche asse, si va avanti anche se oscilla.


(vita sospesa)



giovedì 16 agosto 2018

La vita delle persone


Perché la pioggia, perché il vento e le pianure
notturne, l'erba gialla, il respiro. Quell'acqua
che scroscia nei vicoli, e i prati. Perché
non c'è tregua, o domani. Soltanto
le sbarre, la gabbia di un io.
L'inferno è non essere gli altri,
guardarli passare e sparire nel niente:
un posteggio che piano si svuota, il cantiere del vento.
("Breve omaggio a Plutone" di Fabio Pusterla)


Meno male che ci sono i poeti che raccontano quello che siamo, quello che sono io, in questo preciso momento. Ora.
L'inferno è non essere gli altri, guardarli passare e sparire nel niente
Vorrei avere gli occhi delle mosche per guardare, scomporre la vita in micro monitor, capire le ragioni di ognuno. Ma posso solo leggere, leggere ancora questi versi Soltanto le sbarre, la gabbia di un io. L'inferno è non essere gli altri.

(gli altri)

mercoledì 15 agosto 2018

Ferragosto


Dicono che vi sia una parola
che dice ancora 
quando non c'è più niente da dire,
che non dà nome
a ciò che è senza nome
ma come un abbraccio l'accoglie
e perdonandogli ogni colpa
l'invoca e - ma forse straparlo -
è pure pronta a celebrarlo.
(da "Cairn" di Enrico Testa)


Mi colpisce il viaggio dei versi di Caproni su Genova, postati, anzi, come rimbalzati sulle tante bacheche amiche. Lo leggo come segnale di partecipazione, di condivisione collettiva della tragedia del ponte, ovvio, un modo social per dire "ci sono, Genova", "Io ci sono". L'unico, il modo.
Eppure qualcosa mi stona, qualcosa che non ha nome, qualcosa che non capisco e che non so dire su questo coro poetico che si è levato, che mi entra sul telefonino in forma di uozzap, di tweet, di paginetta FB. Eppure è una grande poesia, un grande poeta, che c'è di male, è un pensiero, un tributo, una forma di condoglianza, di vicinanza...eppure.

Dicono che vi sia una parola
che dice ancora 
quando non c'è più niente da dire,
che non dà nome
a ciò che è senza nome

Cairn è una parola gaelica che significa "mucchio di pietre" ed è il titolo della raccolta del poeta genovese Enrico Testa.


(Cairn)





martedì 14 agosto 2018

Può capitare




Sei in piedi alla finestra.
C’è una nube di vetro a forma di cuore.
I sospiri del vento sono caverne in ciò che dici.
Sei il fantasma sull’albero di fuori.

La strada è muta.
Il clima, come il domani, come la tua vita,
è in parte qui, in parte per aria.
Non puoi farci niente.

La vita tranquilla non dà preavvisi.
Consuma i climi dello sconforto
e compare, a piedi, non riconosciuta, senza offrire nulla,
e tu sei lì.
("La vita tranquilla" di Mark Strand)


Può capitare e mi è capitato proprio questa mattina. In motorino, verso la redazione, lungo la solita strada e mi è successo: tutti i semafori segnavano il verde. Come un saluto, come un viale alberato, come una doppia fila di ballerini al passaggio della diva.
Sono sfilata beatamente come se tutto fosse possibile. Ero lì.
La strada è muta.
Il clima, come il domani, come la tua vita,
è in parte qui, in parte per aria.


(rosso verde giallo)