Dicono che vi sia una parola
che dice ancora
quando non c'è più niente da dire,
che non dà nome
a ciò che è senza nome
ma come un abbraccio l'accoglie
e perdonandogli ogni colpa
l'invoca e - ma forse straparlo -
è pure pronta a celebrarlo.
(da "Cairn" di Enrico Testa)
Mi colpisce il viaggio dei versi di Caproni su Genova, postati, anzi, come rimbalzati sulle tante bacheche amiche. Lo leggo come segnale di partecipazione, di condivisione collettiva della tragedia del ponte, ovvio, un modo social per dire "ci sono, Genova", "Io ci sono". L'unico, il modo.
Eppure qualcosa mi stona, qualcosa che non ha nome, qualcosa che non capisco e che non so dire su questo coro poetico che si è levato, che mi entra sul telefonino in forma di uozzap, di tweet, di paginetta FB. Eppure è una grande poesia, un grande poeta, che c'è di male, è un pensiero, un tributo, una forma di condoglianza, di vicinanza...eppure.
Dicono che vi sia una parola
che dice ancora
quando non c'è più niente da dire,
che non dà nome
a ciò che è senza nome
(Cairn) |
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