lunedì 13 agosto 2018

Leggerezza


Una fila di zanzare in volo
forma un fluttuante
ponte di sogni
(Takarai Kikaku 1661-1707)


I ragazzi che vedo aggirarsi nella città, oggi così afosa, non hanno mai nulla in mano, non portano pesi. Fluttuano leggeri, come zanzare in volo.
Le borse, le buste, le tracolle, i pacchi, i borsoni arriveranno dopo, fra qualche anno, a gioventù finita. Continuo a osservarli mentre si godono inconsapevoli le mani libere, i capelli che non si impigliano, le spalle morbide che donano quella tipica andatura un po' frolla. 
Vorrei fermarli, dirglielo a ognuno di loro, mentre incastro la spesa e la sacca dentro il mio bauletto, "Bello, bella, goditela tutta questa leggerezza!"
Ma la frase mi rimane chiusa nel casco che mi sto agganciando sotto la gola. Salgo sul motorino e metto in moto. 
E fendendo l'aria afosa cerco di sentirmi un po' come loro.


(Ponte di sogni)





domenica 12 agosto 2018

Tormento estivo


I colori escono in cielo e svaniscono
bolle di sapone
tra le macerie
(Kaneko Tōta 1919)

Ogni estate non ha forse il suo tormentone? Se accendo la radio o la tv, se origlio i discorsi altrui, o se anche mi spegnessi, staccassi, insonorizzassi tutta, sarei raggiunta dal ritmo littorio che rulla incessante: NO VAX - NO SEX - NO PAX.

(Attenti al migrante!)







sabato 11 agosto 2018

Stelle e cicale


Cantano le cicale
sulle pere avvolte
in buste di carta
(Issa 1763-1827)

Agosto, notti di stelle e giorni di cicale. È quando lontano e vicino si confondono, il freddo siderale con il caldo quaggiù.
I monaci zen con il kigo estivo della cicala si sono sbizzarriti regalandoci haiku come questo, che molto ha del quadretto impressionista. Più modestamente ho anche io la mia esperienza mistica: ascoltare le cicale che attaccano all'unisono, un coro e poi un assolo, il crescendo e il repentino silenzio per poi ricominciare. Una meditazione sciuè sciuè in grado di connettermi direttamente con il cosmo, e che mi fa sentire viva. E che penso manchi a chi non è più.


(Cicala estiva)



mercoledì 8 agosto 2018

Ungaretti tatuato


M'illumino d'immenso
("Mattina" di Giuseppe Ungaretti)

Sotto il sole vacanziero vedo rosolarsi chilometri quadrati di pelle tatuata. 
Anche le gole sono raggiunte da grafismi esotici, intere frasi in corsivo inglese partono dal polso o dalla caviglia, rampicano nerastre, culminano in foggia di rosa per tuffarsi nelle scollature. Farfalle imprigionate tra le natiche, carte da gioco impilate su polpacci nerboruti, madonne che occhieggiano tra i peli del petto, accaldate. Più in alto, spade che trafiggono nuche rasate. "Memento mori" dice un teschio tra l'edera, l'acanto e i capezzoli. 
Continuo nell'osservazione di questa forma contemporanea, e modaiola, di ex voto: lari portatili, post-it sentimentali, reliquie stilizzate. 
M'illumino d'immenso. Chissà se a Ungaretti sarebbe piaciuto ritrovarsi sull'avambraccio del tizio che ho davanti, chissà se il tizio sa... Del resto, questi pochi versi si stampano nella memoria, indelebili, proprio come un tatuaggio sulla pelle (una possibile storia di Mattina, la poesia italiana più famosa, questo è il suo titolo, la racconta Tiziano Scarpa QUI). 


(catalogo per tatuatori)



lunedì 6 agosto 2018

Stessi pensieri


Fu mio marito Fruri che in dono mi eresse la tomba,
degna corona della mia pietà.
Lascio in casa un coro glorioso di figli: la prova
della mia vita onesta è tutta qui.
Muoio monogama, in dieci viventi superstite: colsi
nuziale frutto di fecondità.
(Da Antologia Palatina - Anonimo "Fecondità")


Mi colpisce ogni volta la stessa cosa: la sovrapponibilità di sentimenti tra noi e gli antichi. Possibile che il vedovo Fruri soffrisse come soffre il signor Franco della scala A? E che in quella casa lontana, di arazzi affrescati e peristilio, secoli fa sia calata la medesima cappa di dolore, uguale a quella che avvolge l'appartamento del secondo piano? Quella vita onesta, fatta di quotidianità, gesti affettuosi, gusti, pieghe sulla fronte quando si sorride, piatti preferiti. Siamo umani calati nella stessa storia, tensioni e fragilità che si ripetono silenziose nei secoli. 
Dell'Antologia Palatina mi turba un po' tutto, non certo il carattere licenzioso di alcuni epigrammi, tutt'altro, anzi, la libertà di quei sentimenti mi corrobora. Mentre scorro la raccolta - brevi descrizioni fisiche e micro paesaggi, lamenti funebri, prese in giro o dichiarazioni d'amore eterno - è come se mi ripetessi: Vedi Susanna, siamo quelli, quelli sono noi. In poche righe una vita intera, un essere umano che rivive, nelle sue zone d'ombra o di luce, ogni volta che leggo. E che, ogni volta, rivivo.


(Noi)




giovedì 2 agosto 2018

Acque chiare


C'è un momento in cui il corpo
si raccoglie nel respiro
e il pensiero si sospende ed esita.
Anche le cose
commosse dalla luna
subiscono il sospiro delle maree
o le flessioni dolci dell’eclisse.
E il legno delle barche
si gonfia nell’acqua delicato.
(da "Ora serrata retina" di Valerio Magrelli)

Sono stata a Chicago una sola volta e da quella saranno passati più di vent'anni. Eppure nel cervello, come incastrato in una di quelle misteriose condutture dove scorre la memoria, è rimasto qualcosa - ah, se potessi dire di tangibile! - che mi riporta laggiù. Vedo una strada alberata passare sotto una sopraelevata, un piccolo chiosco prima di una svolta in lontananza e alcune persone dall'aria appagata che chiacchierano sedute o al bancone. Tutto qui. Se ci ripenso, e mi capita spesso, (dovrei dire "se vi ricorro") è come se mi sentissi meglio. E so bene come ripescarlo, quel momento che galleggia nelle mie condutture mnemoniche, acque chiare, direbbe l'idraulico. Scorre insieme alla parete di un agriturismo a Ghè, alla pelle sottile della testa del mio cagnolino sotto le dita, alle arance piene di gelato, una meraviglia, era come se volassero. Il pantano fangoso e scuro continua a scorrere nel fondo, non lo vedo neanche. Dimenticare le cose tristi, una piccola fortuna. 


(dentro di me)





martedì 31 luglio 2018

Harvard

Nemmeno una nuvola
mi tolgo
il cappello di bambù
(Santōka 1882-1940)


Harvard. Ti abbiamo soprannominato così, con il nome di una delle università più importanti al mondo. Hai quindici, sedici anni? È da un paio di giorni che ti osserviamo, seduto lì, sulla tua sdraietta, all'ombra; quello che succede intorno a te sembra non interessarti. Che ti importa di chi gioca a palla o manda sms, di chi si unge per non scottarsi, di chi tira fuori dalla borsa-frigo il pranzetto da mare? È più importante quello che leggi, e ti vediamo, ci sei dentro tutto. 
Che leggi? Cosa mai ti sta avvinghiando, portandoti via da qui, da casa, lontano da tutti noi? Sei andato avanti da ieri, lo capisco dalle pagine rimaste.
Tutto intorno a te è bellissimo, Harvard. Rendi la vacanza di tutti noi bellissima. 
Cosa mai leggerai con quell'aria rapita, che ti fa accoccolare nella tua sdraietta, che ti fa tenere indosso la polo che sto bene così, mamma, e rimanere meravigliosamente seduto cn le gambe accavallate, all'ombra del pino. Harvard al tuo cospetto mi toglierei il cappello di bambù.
Harvard, ti amiamo!
Vorrei scriverlo con il fumo dell'aereo in cielo: We love Harvard.
Ragazzino con l'aria seria che sei altrove, ci rendi la vacanza ancora più felice. Ti ringraziamo in anticipo per quanto farai per l'umanità che domani avrà la fortuna di incrociarti, Harvard, noi ora ci prendiamo un caffè, a due passi da te. Il caffè è buonissimo, il mare luccica, la musica che esce dalle casse ci piace, nemmeno una nuvola, sotto il pino fa fresco e stasera ci faremo una pizza con gli amici. 
Ciao, Harvard, hai reso perfetta Barcola.


(Harvard University)