giovedì 28 dicembre 2017

Natalino


VI
Riempivano i ghiaccioli il finestrone
Di barbarico vetro,
Dove l'ombra del merlo
Trascorse e ritrascorse.
Scovò lo stato d'animo
Cagione indecifrabile
Nell'ombra.
(da "Tredici maniere di guardare un merlo" di Wallace Stevens)


"Natalino". Cosi mio padre chiamò il nostro merlo indiano, in onore del suo maestro, lo studioso Natalino Sapegno.
Non ricordo come capitò a casa, intendo il Natalino pennuto, ma giurerei che era compito di mio padre coprire la gabbia di notte, mettergli l'acqua fresca e rifornirlo di cibo. Natalino lo ricambiava con una compagnia modesta. Non era un virtuoso del canto, al massimo ripeteva, a pappagallo, il fischio che sentiva alla radio, imitandolo però talmente bene che sembrava che l'apparecchio lo tenessimo acceso ventiquattro ore al giorno. Ad un repertorio, quindi, abbastanza limitato, Natalino suppliva con un'ottima mira: sparava schizzi di guano fin sulle coste dei libri. "La storia letteraria del Trecento", "Commento alla Divina Commedia", "Poeti minori del Trecento", volumi che sono ancora nello studio marcati da macchioline scure. 
Un Natalino che sparava bordate all'altro Natalino...
Una mattina lontana, dopo colazione, mio padre mi disse che un colpo di vento aveva fatto cadere la gabbia a terra e che, dalla porticina aperta nell'impatto, l'incontinente ma simpatico Natalino se ne era volato via. Aggiunse con aria seria che, prima di sparire in cielo, si era girato verso di lui e lo aveva guardato fisso fisso, con quegli occhietti che sembrano piccole biglie di vetro, come a chiedergli il permesso di andarsene.
Nell'ombra.

(memorabilia)

mercoledì 27 dicembre 2017

ius sóla


(...)
Intanto i piroscafi che dividono orizzonti dichiarano
Noi perduti;
Trovati solo
In opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli;
Trovati nel riflesso blu di occhi
Che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici qui
(...)
(da "Preludio" di Derek Walcott)


Metropolitana domenica pomeriggio, sulla banchina. Nell'attesa, guardavo le teste di capelli che avevo vicino. Contavo due zazzere, quattro del tipo imbrillantinato, tre crespissime contro due liscissime e spioventi, una nascosta da un velo con perline rosa e una dal berretto con la visiera girata dall'altra parte. Insomma, una babele di teste, tutte diverse e tutte in movimento. 
A un certo punto avverto la sensazione che qualcuno mi stia fissando. Dove sei, chi sei tu che mi guardi e non favelli? E soprattutto, da dove mi raggiungi con questo piccolo laser di occhi insistente, che continua a pungermi da dietro? 
Non lo sapevo ancora che appartenessero alla più grande esperta di leggi e diritto, specializzata con il massimo dei voti. No, non lo sapevo ancora che erano di Giulia.
Insomma, sento di nuovo quel laser di occhi, mi giro e, ad altezza testa, non vedo nessuno. Abbasso lo sguardo e finalmente li intercetto! Sono nerissimi e appartengono a lei. Sì proprio a quell'espertona di diritto internazionale di cui vi accennavo che, sotto due ciuffetti infiocchettati e poco più su della bocca minuscola a forma di cuore, continuava a fissarmi con quelle due biglie nere dal basso del suo passeggino. Serissima. 
La mamma, una signora filippina dall'accento romano, aggiustandole un fiocchetto, risponde al mio sorriso: "Lei è Giulia!". 
"Ciao Giulia, come sei bella. Complimenti signora!"
Giulia continua a fissarmi, immobile, se possibile ancora più seria di prima.
Cosa pensi mai, Giulia? No! Non dirmelo, stamattina volevi telefonare anche tu a Prima Pagina e rispondere al giornalista! E raccontare a gran voce la tua esperienza in materia di ius soli, esperienza che dura da sempre per te - quanti saranno, sei mesi? - e che tua madre si sente italiana, infatti ha la cittadinanza, e che ha fatto mille pratiche, ma che tu sei italiana e basta. Che lo capisci, l'italiano, e che un  giorno lo parlerai da dio e che, sempre un giorno, saprai telefonare a tutti. Ora osservi solamente, ma un giorno, farai un sacco di cose e cucinerai una pasta per primo piatto, col sugo e il basilico, e quel buonissimo secondo di verdura e carne che ti diceva tua nonna. E che le tradizioni uno ce l'ha in testa, come morbidi fiocchetti, e che non sono cappi e che le radici sono dove siamo, caro signor giornalista, volevi dirglielo ma vabbè, e che sono aeree, come quelle di una pianta bellissima che vive nelle Filippine e che ora non sai ancora bene come si chiama ma un giorno sì che lo saprai e che, sempre un giorno, li visiterai tutti quei posti di nonna per poi ritornare a casa, dove ci sarà chi ti aspetta, perché di sicuro, Giulia, uno che ti aspetta, e perde la testa per te, lo trovi. Sicuro.

(Le mie radici preferite)

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Senza di te,
in verità, i boschi
son troppo ampi!
(Issa 1762-1826)




"Anvedi, me stavo p'ammazzà" dice, sedendosi a piombo sul sedile, quello più alto dei due, dopo essere quasi caracollato sull'altro per una frenata improvvisa dell'autobus.
"Mèttete qua, va" gli dice l'amico, sogghignando.
Sono seduti davanti a me, identici, stesso ciuffo scolpito, stessi tatuaggi, stesso telefonino da compulsare, stessa aria di chi conosce la vita dall'alto dei sedici anni.
Non proprio dei secchioni, direi. Più frequentatori di baretti all'angolo o di curve dello stadio per urlarci dentro la domenica. 
Lei. Appare dopo una fermata. È appena salita, li raggiunge venendo verso di noi.
Sì, c'ero anch'io, ma loro tre non lo sapevano.
È scura di pelle, stessa età. Occhi seri sulla bocca sorridente, un piercing sul naso. Iniziano a chiacchierare un po' a mugugni, un po' a risate, un po' mostrandosi lo screen del telefonino.
"E che mica lo so daa prossima settimana" sento che dice lei sotto i cento fermaglietti che ha in testa "È mi' padre che me deve ffa capì come se fa, ma non se capisce gnente. Figurate, capace che se me scade me ne devo annà e tornà laggiù. Perchè io so' itagliana ma me scade..."
"Ma che, davero te ne devi annà?" Dice uno dei due ragazzi con la voce che gli esce da sola dalla bocca che intravedo mezza aperta, sospesa. 
Anche l'altro, che ora lo guarda sgomento e poi guarda lei, scuote quell'opossum di capelli con aria persa. Le facce che vorrebbero essere da cattivissimi, i tatuaggi con i gladiatori uguali a quelli Totti, non fanno paura a nessuno. Loro non vogliono fare paura a nessuno, figurati a lei.
"E che sse fa?"
"Boh, qualcosa se inventàmo, io nun ce capisco gnente. Ecco semo arrivati, scennemo va."
"E sì, qualcosa se inventamo"
I boschi sono troppo ampi, senza di te!
Li vedo, i tre. Veloci verso il corso con i negozi, magari la prossima volta quelle scarpe fichissime me le compro, vedo la lattina condivisa, gli scherzi a lei, le prove di abbraccio di uno dei due.

Un po' sono felice.
Qualcosa, loro tre, si inventeranno.

(Bosco romano)


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NOTA
Ricordate Favour, la neonata arrivata a Lampedusa l'anno scorso? (video QUI) 
Qui l'haiku e il mio post a lei dedicato.

Luccica nel calore
un cesto di vimini
sotto l'albero di susine
(Akutagawa 1892-1927)




Aspettate! Aspettate, gruppo dei sette economisti più importanti della Terra, per gli amici "G7", aspettate!!! (notizia QUI) Inventatevi qualcosa, fate qualche intervista, un paio di foto ancora - Obama, Merkel, Renzi: cheese! -  una telefonata lunga, prendetevi ancora qualche minuto! Una tartina, qualcosa da bere? Sta arrivando!
Eccola qui, finalmente Favour ce l'ha fatta! Dal suo cesto di vimini, saluta tutti, sorride.
I suoi occhi a stellina cercano quelli degli altri suoi colleghi di G7, luccicano e cercano, luccicano e cercano.
"Piccola Favour, grazie di essere arrivata fin qui! Grazie, dacci una mano tu a risolvere questa questione, la tua esperienza è importante per noi, ci serve tutta! Lui è Obama, vedi? Io sono Renzi, questo è Junker e questa signora che ti tiene in braccio si chiama Angela" "No, brava, lascia stare il naso di Cameron. Piacere Favour, piccolo meraviglioso Favore per tutti, benarrivata! Loro si chiamano Trusk e Trudeau, grazie di essere arrivata qui al G7 dopo tanta fatica! Grazie a nome del mondo!".
Shinzo Abe, padrone di casa, fa uno strappo alla regola (forse l'unico della sua carriera di diplomatico giapponese!), nessun tavolo di lavoro, via tutto, via queste scartoffie che non tutti gli ospiti riescono a capire perchè non sanno ancora leggere, via le sedie, troppo alte. 
Si rimarrà lì, sul prato, ad altezza cesto di vimini. Chi vuole può sedersi sotto l'albero di susine, chi vuole può prenderla in braccio, cambiare il pannolino a Favour. Oppure rimanere in silenzio con lei, all'ombra. 
È sbarcata da poco ma non è stanca, è pura vita luccicante, non ne vuole sapere di dormire.
Sta raccontando la sua storia a tutti, il G7 è diventato G8, la vita irrompe e noi ci inchiniamo a questo regalo.

(Il regalo più bello)

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Al profumo dei pruni
d'improvviso, appare il sole
sul sentiero montano
(Bashō 1644-1694)



La storia di Anina Ciuciu, rom rumena che con la sua famiglia fugge dalla Romania per arrivare nel più grande campo nomadi d'Europa, il Casilino 900, non finisce in quella periferia romana.
Dopo anni passati a mendicare per le strade del centro - quante Anine che vedo in giro, quanti sguardi da regine che sfidano il mio, quanti palmi protesi verso di me, molli, ciondolanti come i lattanti appesi che succhiano - fugge verso la Francia. Lì viene aiutata da qualcuno - chi sarà questa persona generosa, cosa ha intravisto negli occhi di Anina che l'ha spinta a interessarsi a lei e alla sua famiglia? Quale sarà stata la prima frase che le avrà rivolto? Una parola gentile o un piccolo gesto? - impara il francese e va a scuola. Poi una borsa di studio, una laurea e ora un master alla Sorbona. 
Anina abita questa nostra Europa sbilenca e chiusa. La attraversa costruendo se stessa, riscattandosi, strappandosi dal mio sguardo perso e colpevole. Nell'intervista appare fiera, consapevole (leggila QUI), ricorda il profumo delle arance in Romania e la puzza di legni arsi con le lamiere del campo. 
Al profumo dei pruni, d'improvviso, appare il sole. E, a quel sole, ci scaldiamo un po' anche noi.



("Grazieee e tanta bona fortuna")

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Vette di nuvole.
Appaiono in sogno
senza confini
(Kato Shuson 1905-1993)



Una serata come tante, una tavolata di vecchi amici, un locale del centro di Roma. E come sempre il passaggio dei venditori di tutto (accendini, pupazzetti, reggi telefonino, cover colorate, rose acciaccate). 
A capotavola, una mia amica che vive in Sicilia da tanti anni, a Roma per qualche giorno, sulla tovaglia antipasti a volontà, fritti e controfritti, nell'aria le nostre chiacchiere.
"Oddio, eccone un altro!" Solita frase, solita mercanzia, soliti sorrisi di compatimento che vogliono significare "ti prego, non sono razzista, ti accolgo, ma ti prego, l'ennesima cianfrusaglia no". Penso alle rose buttate nella spazzatura la mattina stessa, così cimiteriali nel loro appassire istantaneo, acquistate la sera precedente all'uscita di un film, mentre dall'altra parte: "Fratello, ciao! Compra? Ciao miss mondo, bello questo, dai!" 
Fa caldo, sono stanca, o forse a causa di un piatto pieno di mozzarelle che girava, non so, qualcosa nel frattempo mi sfugge quando la mia amica racconta che è appena arrivata dalla Sicilia. Il ragazzo africano  si illumina e dice, mentre si aggiusta il cappello e risponde a una telefonata, che in Sicilia tutti buoni, che quando arrivato gente gentile. Viva Sicilia!
E lo dichiara serio, ricoprendo la mia amica di braccialetti colorati "No soldi. Omaggio Sicilia."
"Lasciali stare" dico automaticamente "che ti tocca comprare tutto. Vedrai come tra poco non ritorna e ti chiede i soldi".
La serata finisce e con lei le nostre chiacchiere. La mia amica ha indossato i braccialetti di perline verdi, giallo e rosse come la bandiera del Senegal.
Il ragazzo non è tornato. "Omaggio Sicilia" mi ha fatto male.



(senza confini)

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Tempesta sotto gli alberi.
C'è qualcosa che pesa
nelle onde del mare
(Yamaguchi Seishi 1901-1994)





Ma possibile che non si trovi una soluzione? Che buona parte dell'Europa non stia ai patti, non provveda ad assorbire, integrandola, questa benedetta quota di migranti che spetta ad ogni paese?
E che si continui solo a strumentalizzare? Uomini, donne e bambini muoiono e si parla sempre di confini, muri e oggi di hotspot galleggianti. 
C'è qualcosa che pesa nelle onde del mare.



Sono circa le sette di sera nella Roma elettorale. 
Sui muri sono attaccati manifesti con colossei dall'aria cattiva e fiamme tricolori che non scaldano. "Sei profugo? Avrai lo stipendio!". L'odio in formato elettorale con l'obiettivo di una caput mundi littoria, decisa e sicura del fatto suo, mi ricorda che di notte è un mio diritto girare tranquilla. Identità, radici e soprattutto sicurezza. 
Quello lì, quello sulla destra, quello che vedo sotto il gazebo elettorale sempre a destra, sì, lui, temo mi voglia proteggere.

Noi vorremmo farci solo un bell'aperitivo primaverile, per questo siamo usciti. Due passi e magari una birretta, l'aria è fina, poi c'è il Tevere liscio liscio con sopra le anatre e a quest'ora è sempre tutto così dolce, così possibile. Ma quell'altoparlante, quei rayban neri nonostante il tramonto, quei bicipitoni istoriati ci avvisano che è meglio rimandare a un altro giorno.
Ok, ok.Torniamo a casa, va. Mi è un po' passata la voglia, anche a te? Vediamo un ragazzo africano, la sua mercanzia low cost che dondola sul piccolo espositore sotto il braccio (appiccichini volanti, accendini che si scaricano subito, braccialetti), procedere esattamente nella direzione di quel gazebo e dei suoi affabili locatari assai impegnati politicamente. 

Amico, lo sai dove stai andando? L'hai capito, amico?
Si aggiusta il borsone sulle spalle, è alto e magro, i pantaloni larghi sul corpo scattante, e avanza sicuro verso quei coetanei lì, verso quel gazebo. 
Li attraversa. Letteralmente, li attraversa. Leggero, felpato, silenzioso. 
Vincerai tu, amico. Ci vuole tempo, ma sei il più forte di tutti. Sei potente.

(the end)

sabato 23 dicembre 2017

Parole per Natale


Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi - sogno che la cosa esclami
nel buio della mente -
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza...

La cosa e la sua anima? O la mia e la sua sofferenza?
(Mario Luzi)

(Augurio di Susanna)

venerdì 22 dicembre 2017

70 anni della Costituzione


In nessuna
parte
di terra
mi posso
accasare
Ad ogni
nuovo
clima
che incontro
mi trovo
languente
che una volta
già gli ero stato
assuefatto
E me ne stacco sempre
straniero
Nascendo
tornato da epoche troppo
vissute
Godere un solo
minuto di vita
iniziale
Cerco un paese
innocente.
(Giuseppe Ungaretti "Girovago")


Il 22 dicembre 1947 venne approvata la Costituzione italiana.

Per festeggiare questa settantenne così attenta ai diritti e doveri di tutti noi, ho pensato di chiedere a Tommaso Ragno di dare la sua voce a Dante, Pavese, De Amicis, Ungaretti, Calvino, Levi, Rigoni Stern, Volponi, Cielo D'Alcamo, Rodari, Svevo e Mercantini. Per l'intera giornata di oggi, potrete ascoltare i dodici articoli fondamentali messi in dialogo con altrettante pagine della nostra letteratura (clicca QUI ); "Girovago" di Ungaretti andrà in onda oggi alle 16.55, nello spazio della poesia di Fahrenheit, come commento poetico all'ottavo principio fondamentale.
Che dice: 
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle
norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio
della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.

(Preparativi per Festa- Tommaso Ragno)

giovedì 21 dicembre 2017

Quasi Natale



Natale, credo, scada il bollino blu
del motorino, il canone URAR TV,
poi l’ICI e in più il secondo
acconto IRPEF – o era INRI ?
La password, il codice utente, PIN e PUK
sono le nostre dolcissime metastasi.
Ciò è bene, perché io amo i contributi,
l’anestesia, l’anagrafe telematica,
ma sento che qualcosa è andato perso
e insieme che il dolore mi è rimasto
mentre mi prende acuta nostalgia
per una forma di vita estinta: la mia.
(Valerio Magrelli)


T'addobbo è un'espressione trucida romana, di quelle che preludono alla rissa.

Questa mattina ero al semaforo, in motorino, in attesa del verde. Mi crogiolavo nella giornata dicembrina di sole e cielo terso quando... 
Un energumeno, abbagliato dalla luce, non vede un passante che, appunto, passava sulle strisce, e sta per metterlo sotto con la sua auto. Il passante credo gli abbia detto qualcosa che non ho sentito, del tipo un senta-scusi-la prossima-volta-guardi-meglio-eccheccazzo, una cosa del genere, tra l'altro lecita, e l'ha fatto anche sussurrandola visto che non l'ho sentita distintamente. 
Il guidatore, mezzo accecato dal sole ma molto di più dalla rabbia - pupilla dilatata sicura - scende dall'auto e, con l'aplomb da ultras - grugno, denti serrati e minacce - aggredisce il passante il quale, non volendo passare a miglior vita ma solo passare, lesto raggiunge la parte opposta della strada  per dileguarsi nella luce luminosa di una giornata qualsiasi di quasi Natale.


(addobbo natalizio)







mercoledì 20 dicembre 2017

Decoro


Un giorno sarai abbandonato
come un riccio sull'orlo di una strada campestre.
Andrai qualche volta in cucina,
a chieder molliche
alla loro arroganza, umiliato.
Sei zavorra, sei molesto,
con quelle spine spuntate inutili,
sei cosa da regalare alle ortiche,
da mettere in un vecchio cesto,
da coprire di sputi.
(Angelo Maria Ripellino)


In nome del decoro, il sindaco di Como ha vietato ai senzatetto di chiedere l'elemosina. 
Ma ovvio! A Natale, le strade, devono brillare di luci e i panettoni, e i cotechini, far bella mostra di sè nelle vetrine, ed essere rimirati, agevolmente, dalle famigliole sorridenti! Entrando nei negozi di elettronica per comprare, che so, l'ultimo modello di smartphone, non puoi mica farti largo tra cappelli logori rivoltati e protesi! I tuoi figli possono turbarsi nel guardare quei pochi denti, e pure marci, incrociare quegli sguardi rotti, e poi le manacce, così sporche e gonfie... Suvvia! O ci caliamo sugli occhi il berretto con il pon pon che si accende con il led, oppure ci si rivolge al sindaco! Nell'editto di ieri, infatti, si specificano le regole per chi chiede l'elemosina e si definisce "accattone dinamico" chi va in giro con il cappello in mano e "accattone statico" quello che chiede soldi da fermo (QUI).
Manca, ma siamo in Italia - mai una cosa fatta per bene e fino in fondo! - manca, dicevo, la definizione per quelli sulla sedia a rotelle, che deduco essere i più pericolosi per il decoro comasco, dato che sono in grado di spostarsi di qua e di là e praticare anche lo "statico" e quando meno te l'aspetti.


(Decoro natalizio)

martedì 19 dicembre 2017

Onde gravitazionali


Rumore d'onde
che vanno e vengono
così lontano da casa
(Santōka 1882-1940)


Quelle di Santōka le definirei "onde multifunzionali", ovvero che possono essere di tutto a seconda di come leggiamo il suo haiku. Onde marine? Radiofoniche? Sono comunque onde in grado di riportarci in un altrove possibile. E non è niente male...
Per me, la Susanna-regina-del-karaoke, le "onde gravitazionali" sono solo quelle da cantare con Franco Battiato. A tempo e con i passi giusti.
Oggi però è un grande giorno: le onde gravitazionali hanno una "surfista" d'eccezione che si chiama Marica Branchesi, la scienziata che spia le loro vibrazioni meglio di chiunque altro (QUI)
Non dico di aver capito bene cosa siano, ma sono molto contenta lo stesso.

(il mondo in tasca)