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lunedì 5 ottobre 2020

Eccomi.
Dove il blu del mare
è infinito
(Santoka 1882-1940)

Ripenso all'odissea della nave Alan Kurdi, alla sfilata di alcuni politici, alle frasi urlate, brandite come clave, virgolettate e mandate in onda. In onda. Il mare. Ripenso al mare. Ecco. Che prima di ogni commento si ripeta ad alta voce chi era Alan Kurdi, facciano così, facciano questa premessa prima di ogni dichiarazione, prima di qualsiasi tweet: Alan Kurdi, ritovato cadavere sulla spiaggia il 2 settembre 2015, qualcuno ricorderà quella fotografia, un piccolo di tre anni, la maglietta rossa sul blu del mare... Che ricordi la sua famiglia che aveva provato a scappare da Kobane, i vari tentativi nella speranza di raggiungere un'isola greca o una città qualsiasi, magari in Canada. E la vita normale cui aspiravano e che non hanno mai raggiunto...
Alan, insieme al fratello Galib e la madre Rehana, furono trasportati di nuovo a Kobane e lì sepolti.
                                                                    (mare e saracinesca)

giovedì 20 luglio 2017

In viaggio


Antico stagno!
Salta dentro una rana -
Il suono dell'acqua
(Bashō 1644-1694)

Umiltà, povertà e misticismo caratterizzarono la biografia di Matsuo Bashō, il Dante dei giapponesi, considerato il padre della poesia breve di tre versi, che Shiki duecento anni dopo denominerà "haiku", e venerato come un santo.

"Viaggiatore" voglio essere chiamato
ora che cade
il primo scroscio della stagione.
(Bashō 1644-1694)

Bashō fu un uomo in cammino che intendeva il movimento come fonte di conoscenza e di approfondimento. Matsuo Munefusa, figlio di samurai, da ragazzo pensa di intraprendere la strada già segnata ovvero quella della carriera militare. Ma cambia direzione e fonda una scuola di poesia che gli procurerà fama e agio economico.
Decide ancora di cambiare strada e si stabilisce in un eremo nel cui minuscolo giardino un suo discepolo pianta un banano che crescerà rigoglioso.  Tutti individueranno la sua casa come la Bashō-an, la casa del banano, e Munefusa decide così di chiamarsi Bashō, banano.
Cambia strada di nuovo: indossa tabi e kasa e incomincia a viaggiare per il Giappone. 
Matsuo Bashō, il monaco veloce e sempre in giro e che  i suoi discepoli, affascinati dalla sua agilità, immaginavano essere stato un ninja - che decide di identificarsi con una creatura stabile e radicata al suolo come un albero.

Un mangiatore di cachi
che amava gli haiku
così bisognerà ricordarsi di me
(Shiki 1867-1902)


Si fa chiamare Shiki, cioè "cuculo", l’uccello che secondo la tradizione giapponese canta finché muore. A undici anni scrive il suo primo poema e a quattordici anni fonda un gruppo poetico.
Si diploma, lascia gli studi universitari e rinuncia alla borsa di studio. Si consacra agli haiku, compone varie raccolte, fonderà la rivista letteraria “Il cuculo”.
Nel 1894, già malato, è corrispondente per il suo giornale della guerra cino-giapponese.
Al contrario di  Matsuo Bashō, suo amatissimo maestro e grande camminatore e  di Santoka, Shiki  potrà camminare poco.    
La sua breve esistenza, morì a trentacinqueanni,  può misurarsi in pochi tatami, quelli della stanza dove era costretto a letto.
E in quello spazio angusto, povero e solitario, Shiki il samurai compone in forma di haiku la sua lotta contro il male e la sua voglia di vivere, il suo addio alla vita e la sua rabbia.

Il vecchio stagno -
la rana salta
tonfo nell'acqua
(Bashō 1644-1694)


Gli haiku di Jack Kerouac giocano a rispecchiarsi nella trasparenza liquida dei classici, come in questo, in cui è evidente il rimando alla rana del vecchio Bashō.

Un vecchio laghetto, sì
Nell'acqua si è tuffata a capofitto
Una rana

Jack Kerouac, attratto da meditazione e buddismo, accede al Giappone attraverso la lettura del saggio di D.T. Suzuki, volume uscito nel 1927 (che Adelphi ha ripubblicato). 
Il fascino del ritmo sincopato e jazzistico di un componimento così sintetico non poteva non piacere a questo Jackson Pollock della scrittura. Scriveva al suo amico Lawrence Ferlinghetti: "Vorrei raccogliere tutti gli haiku dei miei taccuini e farne un libro...". Ne ha scritti migliaia.
Solo leggendoli, meglio se in controluce con quelli giapponesi, la sorpresa, il piacere e il godimento diventano profondi.
Troviamo rigore e conoscenza, studio e passione. E anche la totale e febbrile dipendenza dal comporne visto che girava con un taccuino in tasca proprio come facevano i maestri zen.
Torniamo a viaggiare da fermi, un po' come fu costretto a fare Shiki nella sua cameretta, con gli haiku composti da Andrea Zanzotto tra la primavera e l'estate del 1984 e, proprio come il monaco zen Shiki, il poeta tra i più importanti del nostro novecento componeva haiku come terapia di sopravvivenza. 
Li definiva "pseudo-haiku" proprio per la libertà stilistica che si accordava rispetto al canone giapponese e utilizzava l'inglese che, probabilmente, trovava più lancinante. 
Si strappava alla depressione anche così.

Lost-shy petals of panels,
clipped minitalks, past thoughts—
little bitter teeth biking   

Timidi-perduti petali sui vetri
mini-discorsi spezzettati, pensieri passati —
mordenti asprigni dentini

E dopo questi sorprendenti "asprigni dentini" direi che è il caso di chiudere qui. 
E di pensarci un po' su, magari facendosi un giro. 
Anche sotto casa. 

(haiku-finestra)








mercoledì 12 luglio 2017

Alberi


Sotto un albero gigante
io e il cane 
inzuppati 
(Santoka 1882-1940)



Santōka e il suo cane riparano sotto un albero. Sono finalmente protetti. Un haiku in memoria di tutti gli alberi bruciati nella campagne messinesi.
Davanti alla mia finestra, ogni giorno, rinnovo il mio dolore piccolo, ma acutissimo, in memoria del "mio" albero fronzuto e paterno, morto perché brutalmente capitozzato un anno fa (cliccando QUI la storia del mio albero).

(Preghiera quotidiana)

sabato 26 novembre 2016

Buon sabato

Cielo d'autunno
quaggiù
San To Ka è felice con te
(Santoka 1882-1940)



Santōka l'ho portato nel mondo, nel mio (clicca QUI)

Boum fa il cuore, boum fa il mondo. Tutto palpita, risuona, vive. Amo quel lieve struggimento nella voce di Trenet, micro sorpresa al momento del cambio di tonalità, quello dopo la prima strofa allegra con la filastrocca infantile della campana, del tacchino e degli uccellini. 
Boum, amici. La poesia è nelle cose di tutti i giorni, negli incontri fatti, nelle persone conosciute, nei sorrisi ricevuti, nei messaggi e le foto.
Sono ancora in cammino con il caro Santōka, alter ego, amico immaginario, guida nel traffico della mia città, led spirituale a portata di tutti. 
Basta guardare bene. 

(BOUM!)






  



martedì 4 ottobre 2016

#inviaggioconSantōka

Nessuna nuvola
in vista -
Tolgo il cappello
(Santōka 1882-1940)

Andare in giro con Santōka, vi assicuro, è il migliore dei mondi possibili. Il suo procedere disordinato, a singhiozzo direi, se non temessi il rischio di offenderlo vista la passione per il saké, unito al mio, sghembo e così poco zen, mi offrono pezzi di realtà che avevo lì davanti e che ora guardo in un altro modo. 
Ad esempio, essere "ospite" di una libreria e non "cliente", vezzeggiata e accolta con grande calore dal pubblico arrivato lì, per me. Fare due chiacchiere con una coppia di ascoltatori storici di Radio3, perdendo un po' di tempo insieme. Conoscere un libraio, esperto di meccanismi economici ma che si ostina a volerli fare girare al contrario e si concede una vita più serena e una bella libreria a Pinerolo, il cui nome deriva dai pini che la cingevano, insieme alle mura che lui mi fa immaginare quando ci passeggiamo dentro e me ne parla. Scoprire un giardino, la sua esile proprietaria dai tanti cognomi e dai tanti anni, custode-fuscello di un ginko incredibilmente possente. Cenare, con frugalità, ovvio, in un convento di clausura.
E sempre con Santoka, raggiungere il giorno dopo Torino, con lo strano status di "relatore al festival", salutare vecchi amici scrittori senza doverli intervistare o intercettare per una scaletta, scoprirne lati che non conoscevo se visti da qua. Saggiare complicità e diffidenza allo stesso buffet
Scrivere dediche, ricevere sorrisi, tenere a bada la voce che trema, acchiappare la parola giusta, cercare di sorridere che quando penso sembro un gufo triste e mi viene pure una ruga in mezzo alla fronte, di quelle verticali. La cipria l'ho poi comprata, l'effetto lucido non lo rischio, e Santoka si rivela fichissimo, ogni volta che ne parlo.
E mi viene da sorridere, nessuna nuvola in vista.
(via del Pino)





(#inviaggioconSantoka)

(Giappone piemontese)



   


     (Ripassino. Tra Fabiola Palmeri e Antonietta  Pastore)

(#unpof controluce a Torino Spiritualità)

mercoledì 21 settembre 2016

Pordenonelegge

L'ho dormita tutta la sbronza
mi distendo
nella sorgente calda
(Santōka 1882-1940)


Io, la sbronza, l'ho dormita quasi tutta. Quasi. Non ho quel distacco (e resistenza!) santokesco purtroppo, frutto di anni e anni di privazioni, cammini esistenziali e meditazione, e la sbronza del mio debutto, con i suoi fumi, ancora me la sento addosso.
E siccome è successo tutto insieme, e concentrato in poche ore della stessa giornata, raccolgo quelle sensazioni qui, per non disperderle nell'aria come farebbe l'alcol che Santoka ama tracannare.

Prima di tutto "Pordenonelegge", una cosa che funziona e bene. 
La cittadina che accoglie la manifestazione è bella, forse non secondo i canoni classici, ma i suoi incastri architettonici tra moderno (un teatro bianco e acciaio, in stile MOMA), il razionalismo di alcune strutture con i palazzi medievali che sfilano lungo il corso principale, gli archi squadrati alternati a quelli tondi, il verde e il fiume, offrono una visuale di intersezioni e di movimento che mi piace.  
Il formicolio creato dalla manifestazione culturale, gli abitanti mai stufi di un turismo anche se mordi e fuggi, sempre gentili, pronti, disponibili. 
Lavoro e rapidità. 
Le bandiere gialle, le magliette dei ragazzi volontari con le ali d'angelo, i cioccolatini, il prosciutto e il frico. Gente che legge e che scrive, gente contenta di essere lì. 
Io? Non stavo nella pelle. Giracchiavo. Perdevo tempo mentre tutti erano indaffarati.
La notte non ho quasi chiuso occhio, ammetto, ho anche acceso la televisione prestissimo e seguito un documentario di Alberto Angela su Dubai e un altro sui granchi australiani.
Finalmente arrivano le dieci e poi le undici e anche l'ora per muoversi. Tra tutti vestiti nuovi acquistati per l'occasione, scelgo il solito, quello più vecchio. Il "preferito" con le farfalle e la collana più bella che esiste. 
Mi incammino verso palazzo Gregoris con Loredana, per la prima presentazione pubblica e importante, del mio libro su Santoka. 
Eccovi la lista delle cose di quella giornata che non devo dimenticare:

- la cipria al volo in profumeria
- la fila fuori il luogo dell'incontro (sì, la fila!)
- gli amici seduti in sala e i loro sguardi contenti
- l'amica in prima fila 
- gente seduta per terra perché la sala era troppo piccola per contenere tutti
- i baci e gli abbracci dopo presentazione
- Loredana emozionata nonostante anni di dirette e ospiti da intervistare ben più blasonati
- l'affetto che trasmetteva, assorbiva e che mi mostrava con le sue parole accurate
- Massimo Cirri e Davide Toffolo e Benedetta Craveri 
- Adriano e la sua compagna!
- Patrizia veloce come i suoi commenti
- Floriana, Maria e tutti coloro che, da Fb, sono arrivati a Pordenone per me.

E poi c'è un'ultima scena che mi si è piantata dentro e che rende la mia sbronza impossibile da smaltire. Ve la racconto ma necessita di una premessa. 
Questo libro non ha dediche in esergo, sarebbero troppe, quindi non le ho fatte. Ci sono dentro la vita e gli haiku di Santoka, sì, alcuni cenni sparsi sugli altri hajin ma, molto di più, ci sono io. Con i miei affetti, la mia vita. E c'è ovviamente anche mio padre, che non c'è più, ma che nel libro c'è. Pochetto, ma c'è. 
Quante volte ho pensato a quanto mi sarebbe piaciuto che avesse saputo, che ridesse di me e del mio "status" di nippologa (improvvisata)... Mi avrebbe preso in giro e sarebbe stato orgoglioso. 
Vedo alzarsi una signora castana, mannaggia non ricordo il nome, ma lei me la ricordo benissimo. E' vestita di blu, ha una frangetta, mi pare emozionata, è l'ultima domanda, abbiamo quasi finito. 
Al microfono dice che ha molto apprezzato il mio modo di proporre quel senso di "sottrazione del sé" tipico dei poeti, e dei maestri in genere, di tutti i tempi e culture, e che fu anche argomento di una lezione del "suo maestro indimenticabile" all'università, mio padre Achille. Ha ricordato le doti di letterato e studioso, e altre cose belle che ora intravedeva in me e che non mi ricordo bene ma che terrò comunque con me. 
Non avevo più parole (sottrazione vera!), mi è letteralmente calato il sipario sugli occhi. Ronzio nelle orecchie, caldo pazzo, le persone davanti si sdoppiavano. 
Ma sono riuscita a leggere un ultimo haiku di Santōka, lì con tutti. 
Insieme.

(Palazzo Gregoris. Ore 11.20. In attesa)





(Unpof)










giovedì 15 settembre 2016

Caro Pennac

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)


Gentile Daniel Pennac,

mentre veniva intervistato a Fahrenheit, il programma che curo in onda su Radio3, la ascoltavo e la osservavo. Sembrava così a suo agio, con la sua aria lieve e divertita e acuti occhi da gatto dietro lenti simpatiche. Sembrava uno dei suoi personaggi, sembravamo tutti a Belleville. Il pubblico, i lettori, adorano questa gioia di vivere piccola che lei riesce a trasmettere anche solo ascoltando il suo interlocutore, mostrando interesse per quello che dice.
Le scrivo così in due righe - troppe persone, troppo caos ai festival letterari e la diretta mi pone obblighi di devozione totale ai tempi della scaletta - quel poco che non sono riuscita a chiederle a voce.
Potrebbe aggiornare il suo decalogo, quello per diventare un buon lettore? Almeno i primi tre punti, potrebbe ripensarli?
Nel saggio "Come un romanzo", ormai una ventina di anni fa, quindi in un'altra era geologica, indirizzava il suo lettore ad amare i libri, sintetizzo, assolvendolo da sforzi inutili (clicca QUI).
Ma non mi sembra più il tempo, gentile Pennac.
La lezione l'abbiamo capita in fretta, siamo diventati tutti capaci, troppo capaci, di autoassoluzioni (anche in altri campi, francamente).
Il suo decalogo, prima di tutto, prevedeva un lettore. Ora dove sta quel tipo di lettore? Si rivolgeva a un lettore potenziale ma possibile, e non un lettore realmente impossibile come quelli che vedo in giro. Nella società che lei conosce e abita, come tutti noi, quella dell'autoassoluzione spinta, dove si surfa sulla letteratura, dove nelle scuola italiane fanno leggere i "Malavoglia" e ancora non hanno capito che quasi nessuno da Verga poi è passato a un altro libro (forse questo destino era scritto già nel titolo?), quella dove la letteratura si fa su e con FB, dove sui comodini non vedo libri ma smartphone, la narrazione è saccheggiata dai giornalisti, lo storytelling nessuno sa bene cosa sia e molti insegnanti - va bene, guadagnano poco eccetera - ma, inesorabili, tirano sempre fuori "Il piccolo Principe" come loro libro di formazione, ecco, temo di capire, che in mezzo a tutto questo, il suo antico interlocutore, che alla fine leggeva, non c'è più. Si è estinto.
E continua a perpetrarsi, ovviamente non per sua responsabilità gentile Pennac, il fraintendimento che, se Kafka mi annoia, per esempio, il problema è di Kafka che è troppo grigio, non mio. E, a proposito del pallosissimo processo di Kafka, vincono l'evasione e l'autoassoluzione. Se Sebald è sedativo, avrebbe dovuto lui essere più...seduttivo (e poi tutte quelle sue fotine sbiadite!) e non devo essere certo io a capire il suo universo. Io, io, io. Che le foto le faccio pure meglio!
Se Roth, Munro, Ernaux dicono sempre la stessa cosa, non è certo colpa mia che non li leggo, ma loro che si ripetono. E poi: se un libro è lungo non lo guardo proprio, se parla di morte, perché intristirmi che al telegiornale dicono sempre queste cose e sono pure aggiornati e a me poi non me ne frega molto. Perché farsi le domande dei grandi se io, io, so già tutto?

Insomma, gentile Pennac, trovo che si sia spostata, e di peso, la questione. Un po' troppo. L'assolversi, essere sempre così indulgenti con se stessi, non capire che sono "io" il problema e non Dostoevskij, avrebbe bisogno di un aggiornamento dei suoi.

Con un po' di sano senso di colpa credo che, oggi, saremmo lettori migliori.

Susanna

(Mantova come Belleville)


giovedì 8 settembre 2016

BOUM!

Cielo d'autunno
quaggiù
San To Ka è felice con te
(Santōka 1882-1940)


Sì, oggi è il grande giorno! Festeggiate con me? E poiché sono prima di tutto radiofonica, ho scelto anche una musichetta come sigla a questa giornata per me così importante. Però non pensate alle corde vibranti del koto, alle atmosfere orientali, ai gocciolii cosmici. Santoka l'ho portato nel mondo, nel mio. Come faccio nel libro. Ho scelto quindi una vecchia canzone scritta alla fine degli anni trenta (gli anni di Santōka, non i miei!), quindi lontanissima da noi nel tempo e nella moda, ma che dice, ancora una volta oggi, quello che sento.

- mettila in sottofondo (cliccando QUI) -

Boum fa il cuore, boum fa il mondo. Tutto palpita, risuona, vive. Amo quel lieve struggimento nella voce di Trenet, micro sorpresa al momento del cambio di tonalità, quello dopo la prima strofa allegra con la filastrocca infantile della campana, del tacchino e degli uccellini. 

Oggi Boum, amici. La poesia è nelle cose di tutti i giorni! Evviva!











  


martedì 26 luglio 2016

Scatolismo

Cibo mangiato completamente -
erbacce  
in piena fioritura
(Santoka 1882-1940)


"Prego, signora. E buon appetito!"
"Grazie"
Dopo una giornata intera in giro e senza avere messo sotto i denti nulla di sostanzioso, in classica modalità Poldo Sbaffini, - non avevo la bombetta in testa ma con gli occhi socchiusi e naso vibrante appresso al profumino sì, ero proprio Poldo - scuoto il tovagliolo per adagiarmelo, finalmente, sulle ginocchia.
L'oste, un tipo alternativo dalla faccia furba, mi sciorina il menù che, a sua detta, è "tacitamente vegano". Se avesse scritto nero su bianco quella parola, ve-ga-no, "addio clienti!", aggiunge scuotendo la coda grigia, canuto vessillo di qualcosa volato nel vento come la canzone.
Nudismi, crudismi, naturismi... penso mentre con i rebbi della forchetta taglio in due la lasagnetta alle ortiche. Il burger di quinoa era ancora lì da venire appositamente contornato - ormai poldo e il suo fumetto era scomparso del tutto - da un colloso tortino di patate e lenticchie.
Deglutisco e penso agli ismi dell'occidente, risposta agli ismi terroristici. Prego l'unico bio in cui crede gran parte di una popolazione sobria e pacificata (ho detto pacificata e non pacifica), in nome del quale spesso siamo capaci di tutto. Mi sfilano di nuovo davanti agli occhi post con video sanguinolenti, le tabelle in versione GIF che si animano allegre con le percentuali del tasso di mortalità procurato dalla scaloppina, conto le calorie che, con micro canini acuminati, azzannano le mie cosce dopo il test sui carboidrati. 
Eccovi la civiltà del salutismo ipocondriaco, quello delle bacche di goji, delle sette mandorle al giorno, dei due litri d'acqua, dei semini, dell'aloe e dei vaccini che fanno male ai bambini!  
Pensavo. 
Quando, nel piatto, appare lei, secca polpetta al cacao e pere, farinosa al tatto e al gusto, presentatami con un festoso "ecco il dessert" - è sempre l'oste caudato - insieme al conto. 
Io so cos'è un dolce al cioccolato e pere. Lo so, e bene. E' morbido, meraviglioso, caspita, lo so cosa significa, oste caudato!
Ma non ho detto nulla. 
La notte ho fatto un sogno bellissimo. C'erano fragole rossissime e gigantesche e che venivano dalla Cina, mais al neon, fagioli made in Hungaria e braciole low cost, e mi sono svegliata guru dello "scatolismo". Sì. E' stato quel coso chiamato dolce (NON chiamateli dolci se non ci sono uova e latte, per piacere!) a rendermi, in un attimo, leader, fondatrice e unica seguace, di un movimento alternativo agli alternativi.
"Invoco, io dello scatolismo, la possibilità di poter mangiare qualcosa al volo aprendo, per esempio, una scatoletta di tonno, versarmi i fagioli borlotti direttamente nella scodella ed essere felice. Aprirne un'altra per farmi un sugo, magari un ragù, senza essere guardata storto. Impilare su quella dei ceci un paio di mais. Vicino, disporre, in santa pace, il barattolino di acciughe, il tubetto di maionese per il pollo arrosto da comprare all'angolo così non si raffredda. Farmi un Mac con le patatine fritte senza sentirmi nelle orecchie la solfa politico-ambientale-calorico-sociologico-nutrizionista.
Ho anche una tessera punti, quella per i bollini da attaccarci su,  e spero di vincere presto la sedia a sdraio. Quella lì, vicino alla casa numero otto. Se aggiungo tre euro mi porto via anche la borsa frigo. E sono felice."

PS
A proposito di stipendi RAI il mio è di 2100 euro al mese. Responsabilità e molti, molti anni di scatolismo alle spalle, dal 1992, e molti che mi aspettano!


(scatolismo per cena)


    

lunedì 18 luglio 2016

Vita reale

La brezza dalle montagne
nella campanella del vento
mi fa venire voglia di vivere
(Santoka 1882-1940)


La settimana passata ne vale almeno quattro. Otto. O forse qualcosa in più. Venti. L'incidente ferroviario, la mattanza di Nizza su cui l'Isis mette il logo e il golpe in Turchia con Erdogan inedito salvatore della patria. 
Intanto parte della comunità (reale? civile?) gioca a Pokemon-go sparando con lo smartphone (aspettando il verde al semaforo o dalla scrivania), o distrugge di pugni qualcuno (un disabile? Meglio!) e poi posta il video su FB. 


Ce ne aspetta un'altra di settimana, oggi è solo lunedì. La tentazione di rimanere a letto, versione Paolino Paperino è forte, ma vince Santoka con il suo haiku. La campanella del vento tintinna, piena di aria, di vita. Cerchiamo di sentirla in tutto questo casino tutto da decifrare.

(Ombre estive)


giovedì 9 giugno 2016

Piuma e farfalla

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)



Note sparse sulla vecchiaia.
Ho letto un libro bellissimo il cui autore è un bellissimo vecchio.
Hans Magnus Enzesberger, scrivo qui il suo nome altisonante per la prima volta e capisco ancora più chiaramente quanto sarebbe andato lontano il piccolo Magnus, nato a Varsavia nel lontano 1929. 

Lo vidi personalmente per la prima volta nel 2006, mi piace ricostruire le date precisamente, con un cappellino di cotone celeste che gli proteggeva la testa dal caldo, in una piazza assolata di un formicolante festival letterario, e poi nel 2012 dietro le quinte di un altro incontro radiofonico, questa volta a Torino. Sempre gentilissimo e affabile. Una piuma sorridente.

In "Tumulto" racconta circa venti anni di vita attraverso l'esperienza del comunismo sovietico e cubano, gli anni sessanta e settanta del novecento che, questo intellettuale poeta e traduttore tedesco, che la vita ha portato a vivere un po' ovunque, ricostruisce su vecchi appunti casualmente ritrovati oggi. Un'insolita intervista autobiografica, giocata tra psicoanalisi e divertimento, tra un lui vecchio e un lui giovane, in dialogo. Quel lontano Enzesberger, quello giovane e tumultuoso, quello di una vecchia foto in un quaderno, e l'altro, quello novantenne.
Pudiche notazioni private, un sobrio divorzio o la passione amorosa per una donna russa trattati con il medesimo distacco e un filo di ironia. Il soggiorno a L'Havana, la guerra fredda, Kruscev osservato a pranzo, i libri amati, i poeti detestati e gli intellettuali assiduamente frequentati. Conto le lingue che conosce, gli amici e le donne amate. Brevi accenni a qualche delusione, meglio lasciarle laggiù. 

Arrivo all'ultima pagina mentre nell'aria ancora galleggiano le foto di Muhammad Alì. Così aitante, così bello, ape e farfalla in quegli stessi anni giovanili vissuti dallo scrittore. Scorro altre foto pubblicate questa settimana, alcune, più rare, del suo viso di pugile vecchio. Gli zigomi scavati, la testa quasi di teschio, lo sguardo appannato dalla malattia. Le mani tremanti, ferme solo nello scatto fotografico, e che vedo finalmente serrate nel pugno come una volta.
Enzesberger e Alì. 
Sovrappongo due esistenze lontanissime. Penso alla trappola del declino fisico, a tutta la forza che ci vuole per allentarne un po' la morsa e penso che per andare avanti forse bisogna proprio essere, come dice una poesia di Enzesberger, "più leggeri dell'aria".
Come una piuma, un'ape o una farfalla.











   

    

giovedì 2 giugno 2016

2 giugno

Donne, uomini
le loro ombre
danzanti
(Santōka 1882-1940)

Lo sapevo! Lo sapevo che per festeggiare la Festa della Repubblica dovevo chiedere a Santoka. Un haiku danzante come proposta alternativa alle parate militari che proprio oggi due giugno mi appaiono un po' fuori tema
E allora? Festeggiamo la Repubblica, semplicemente, e smettiamola di dire che "siamo in una dittatura", ad esempio, che poi uno ci crede. Godiamoci la libertà di parola, il voto, ricordiamoci la storia di lungimiranza e coraggio di chi ha combattuto per questi diritti. Diritti civili. Riprendiamoci i colori della bandiera italiana, appannaggio di forze destrorse di torvi gazebo elettorali.
E via con le danze!


(Bianco Rosso e Verde)














mercoledì 25 maggio 2016

Pantelleria

Ho dei libri
del riso
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)



"Ecco l'isola dai tanti nomi: Yrnm, Cossyra, Qawsra, Bent el-Rhia, Pantelleria" scrive Giosuè Calaciura nel suo libro dedicato a Pantelleria, questa isola minuscola con già dentro il suo nome un elemento panico. 

Pantelleria è l'ultima isola, un distillato di universo, un big bang in formato tascabile.
In questo libro la scrittura coincide precisamente con ciò di cui si racconta. Parole dense, solide, scelte e collocate come piccole pietre su un muretto a secco, una per una. Artificio o natura? Parole per guidarci in un posto nato dalla terra esplosa, mosso da terremoti e che sa più di lava che di mare.
Terra. Pietre. Su cui cresce poco e con grande fatica. L'astuzia dei suoi "jardini", i torrioni di pietra che, come scrigni di ombra e di acqua abilmente convogliata al loro interno, custodiscono una sola pianta di aranci o di limoni. Il nero vetroso della pietra lavica, il suo calore che sa di forno, dice Calaciura.
Da una pietra si può nascere, sulla pietra si può vivere? E se la pietra può essere pane e madre, la morte è come la vita? Pantelleria prende la voce dell'autore e si rivolge ai ricchi turisti che ristrutturano i dammusi e ai migranti che raggiungono la sua costa sui barconi. 
L'elemento ctonio, pauroso eppure così familiare, continua il suo soliloquio eterno, come farebbe una creatura di Ovidio o di Omero, un essere mitico che viene dall'Oriente o dall'Africa. Ci riguarda, ci parla. Ci incanta.

Questa è una guida che non porta da nessuna parte, non suggerisce ristorantini o calette blu da postare su istagram, ci invita a stare fermi, in ascolto. Non parla troppo e, secondo me, assomiglia molto al suo autore.
Calaciura capovolge la bella copertina del suo libro per raccontare, con la lingua adatta, quello che c'è sotto l'isola amata, sotto la superficie del mare. 
E riesce a mostrarci i luoghi oscuri e ribollenti che sorreggono tutta l'umanità prima che affondino di nuovo.


(isole in redazione)
   

sabato 14 maggio 2016

Lista

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)

Ho sempre con me l'haiku di Santoka e me ne vado in giro per il Salone del Libro di Torino raccogliendo cose che rimarrebbero qui.
Il riso l'ho sostituito con il cioccolato, i libri non mancano e, visto che non ne uso,
al posto del tabacco una lista di appunti, piccoli dettagli, leggeri come fumo, che altrimenti perderei:

- la postazione piena di schermi ed io che li impallavo sempre
- il profumo di lavanda che Michelangelo Pistoletto mi ha spruzzato sul polso
- il caminetto "imperiale" del Circolo della Stampa
- Augias che basta che parla ed è Augias
- l'affetto degli ascoltatori
- Repetti & Cesari dove la "e" commerciale sta per molto di più
- i poeti...
- Antonietta Pastore che mi parla di Akutagawa
- la ridarella a fine serata con Marino 
- Ascoltare Galimberti\Lipperini con Cirri
- una mousse troppo minuscola 
- i "ciao come sto" che cerco di evitare
- i "briciopolli" che cercano un posto in scaletta


(Radio2 in ascolto di Radio3)






giovedì 12 maggio 2016

Lingotto

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)


Quelli come Santoka, a cui bastano poche cose nella vita, sono quasi tutti qui al Salone del Libro. Posso dire di conoscerli uno per uno e che mi piacciono tutti? So che si aggireranno in cerca dello stand di questa o quella casa editrice, affolleranno gli incontri con l'autore, sbricioleranno un pezzo di panino sulla maglietta, lo zainetto da cui esce la bottiglietta d'acqua e che non si chiude, giacca a vento annodata ai fianchi. Sono persone interessate, civili, quelle che non ti fregano in fila. Una popolazione possibile di un'Italia possibile che sembra essere racchiusa tutta qui, che si è data appuntamento in questi giorni al Lingotto di Torino. 
Sì, posso proprio dire che conosco ognuno di loro. 

È ancora presto e il Salone deve ancora ufficialmente iniziare, ma non per me. 

Sono già dentro il Lingotto, l'ex fabbrica sede di questo grande incontro tra tutti noi, dove ancora le antiche fatiche se ci pensi un attimo riesci a immaginarle, ecco la linea, senti il clangore, la pista per le automobili da provare, basta alzare lo sguardo e vedi le sue eleganti volute di architettura industrial vanvitelliana, gli uffici, le entrate, le uscite, i dialetti mischiati e urlati come per lo sciopero, stasera si va a ballare che mi piaci, qualcuno mi sostituisce che mi fa male, mi manca la sicilia, la calabria, mi manca casa, oggi è il suo compleanno e sono qui.
Ascolta.

Fra poco si apre, si comincia, attaccherà il solito brulichio sonoro. Ho dei libri, caro Santoka, e amo i luoghi che mi parlano come quello dove sono adesso. Porto con me questo piccolo saggio di Handke per un incontro dove sono invitata. Ho in borsa anche "L'architettura della città" di Aldo Rossi , "Al giardino ancora non l'ho detto" di Pia Pera, "Il posto" di Ernaux.  Sono luoghi da "sentire" e non da visitare. 
Un po' come questo dove sono, dove siamo noi.


(Il mio luogo tranquillo)








venerdì 22 aprile 2016

Giornata Mondiale del Libro

Ho del riso
dei libri 
e persino del tabacco.
(Santoka 1882-1940)



- Che vuol dire lavorare a Radio3? 
- Farsi venire un'idea. 
- Tipo?
- Un'idea che si capisca subito, che diverta gli ascoltatori e anche i conduttori. E che non sia già stata fatta, né troppo costosa...
- Tipo?
- Oggi un attore-Don Chisciotte leggerà alcune frasi tratte dal capolavoro di Cervantes che sembrano su misura, perfettamente riferite, ma proprio in sintonia... con il programma che il cavaliere errante interrompe in diretta.
- In diretta?
- Sì. Dall'alba di Primo Movimento - il "Don Chisciotte" inizia proprio all'alba - alla notte di Battiti, Don Chisciotte, in carne e ossa, entrerà negli studi di Via Asiago.
- E "i mulini a vento"? 
- Ci saranno anche loro e a Prima Pagina!
- E Sancio? 
- Lo scambierà per il conduttore di Pagina3.
- E Dulcinea? E i ragli di Ronzinante? E i balsami miracolosi?
- A Radio3 Scienza
- E le ostesse e i nemici tutti???
- Ci saranno, ci saranno. E' la radio. La radio che piace fare a me, quella dove la letteratura è in dialogo con la quotidianità!
- Anche dopo quattrocento anni?
- Già.


(La mia scrivania)








   

mercoledì 23 marzo 2016

Silenzio

Non può esistere un haiku adatto alla guerra. 
Dopo più di due anni in cui ogni giorno posto un haiku, trovato nelle mie antologie per voi, oggi non succederà. Non ce la faccio, non mi va.
Non lo cerco neanche.
I miei libri rimarranno chiusi, Santoka, Bashō e Shiki non hanno nulla da dire.
Non cercherò l'haiku di oggi, cercherò solo un po' di silenzio.




(Senza le parole)

martedì 22 marzo 2016

Nuvola

Nemmeno una nuvola
mi tolgo 
il capello di bambù
(Santoka 1882-1940)



E' forse l'agglomerato di particelle d'acqua a colpire la mia immaginazione? Sono quei fiocchi bianchi, sfrangiati, densi, più o meno gassosi, che condizionano l'umore e il fine settimana, a interessarmi? Un po', ma non esattamente.
E' la funzione cloud, la nuvola 2.0, a cui guardo oggi.

La musica contenuta nel mio iphone fu eliminata quando mi venne scrupolosamente ripulito per alleggerirlo da tonnellate di peso inutile che sopportava. 
Peso accumulato mio malgrado, adipe di files appiccicosi che appesantivano la RAM, anima misteriosa e scrigno di tutta la memoria IOS, universo semi-infinito dove galleggiano le mie foto, i messaggi, le mail, e molto altro (so che potrei capire bene cos'è la RAM, cosa galleggia in quel mare, so che lo capirei, ma non mi importa così tanto e non mi ci dedico).

Consegnai fiduciosa il telefonino in mani sapienti che sanno bene cosa digitare, pagai il servizio, e lo ritirai di nuovo lindo e leggero. Senza musica ma molto più scattante.

Come ogni mattina, prendo bici e auricolari per le telefonate, per andare a lavoro. Dopo mesi dalla pulizia e mesi di silenzio musicale a cui ormai mi ero abituata, parte a sorpresa una canzone. 
Sarà per la funzione cloud? Ma allora perché solo due brani sulle centinaia che ne possedevo? (non ho approfondito, so che potrei capire ma mi rompe molto dedicarmici, ma so che potrei, ma non ne ho voglia). 
Al contrario, mi godo quanto la mia "smart memoria" ha registrato in mia vece. Di tutta la musica, di tutti i files che avevo salvato e che costituivano la mia ricca compilation, la mia storia musicale, la mia memoria canterina, si sono salvate solo due canzoni italiane: una di Sergio Endrigo, la tristissima "Aria di Neve", e "Gli anni" di Max Pezzali.

Le ascolto a manetta, non avendo più alternative, una dopo l'altra, e sento che mi rappresentano perfettamente.
La malinconia di Endrigo con la spensieratezza un po' cazzona del karaoke anni ottanta di Pezzali e senza cappello di bambù, con l'ultima nuvola che sta sparendo, eccomi qui haiku-canzonetta di me stessa, mentre canticchio in bicicletta in una giornata di sole: 

"Sopra le nuvole c'è il sereno/ Ma il nostro amore/ Non appartiene al cielooooo ... gli anni di Happy days e di Ralph Malph / gli anni delle immense compagnie / gli anni in motorino sempre in due". 
(ascolta QUI ascolta QUI)

(pista ciclabile)