Antico stagno!
Salta dentro una rana -
Il suono dell'acqua
(Bashō 1644-1694)
Umiltà, povertà e misticismo caratterizzarono la biografia
di Matsuo Bashō, il Dante dei giapponesi, considerato il padre della poesia
breve di tre versi, che Shiki duecento anni dopo denominerà "haiku",
e venerato come un santo.
"Viaggiatore" voglio essere chiamato
ora che cade
il primo scroscio della stagione.
(Bashō 1644-1694)
Bashō fu un uomo in cammino che intendeva il movimento come
fonte di conoscenza e di approfondimento. Matsuo Munefusa, figlio di samurai,
da ragazzo pensa di intraprendere la strada già segnata ovvero quella della
carriera militare. Ma cambia direzione e fonda una scuola di poesia che gli
procurerà fama e agio economico.
Decide ancora di cambiare strada e si stabilisce in un eremo
nel cui minuscolo giardino un suo discepolo pianta un banano che crescerà
rigoglioso. Tutti individueranno la sua
casa come la Bashō-an, la casa del banano, e Munefusa decide così di chiamarsi
Bashō, banano.
Cambia strada di nuovo: indossa tabi e kasa e incomincia a
viaggiare per il Giappone.
Matsuo Bashō, il monaco veloce e sempre in giro e che i suoi discepoli, affascinati dalla sua
agilità, immaginavano essere stato un ninja - che decide di identificarsi con una creatura stabile e radicata al suolo
come un albero.
Un mangiatore di cachi
che amava gli haiku
così bisognerà ricordarsi di me
(Shiki 1867-1902)
Si fa chiamare Shiki, cioè "cuculo", l’uccello che
secondo la tradizione giapponese canta finché muore. A undici anni scrive il
suo primo poema e a quattordici anni fonda un gruppo poetico.
Si diploma, lascia gli studi universitari e rinuncia alla
borsa di studio. Si consacra agli haiku, compone varie raccolte, fonderà la
rivista letteraria “Il cuculo”.
Nel 1894, già malato, è corrispondente per il suo giornale
della guerra cino-giapponese.
Al contrario di
Matsuo Bashō, suo amatissimo maestro e grande camminatore e di Santoka, Shiki potrà camminare poco.
La sua breve esistenza, morì a trentacinqueanni, può misurarsi in pochi tatami, quelli della
stanza dove era costretto a letto.
E in quello spazio angusto, povero e solitario, Shiki il
samurai compone in forma di haiku la sua lotta contro il male e la sua voglia
di vivere, il suo addio alla vita e la sua rabbia.
Il vecchio stagno -
la rana salta
tonfo nell'acqua
(Bashō 1644-1694)
Gli haiku di Jack Kerouac giocano a rispecchiarsi nella
trasparenza liquida dei classici, come in questo, in cui è evidente il rimando
alla rana del vecchio Bashō.
Un vecchio laghetto, sì
Un vecchio laghetto, sì
Nell'acqua si è tuffata a capofitto
Una rana
Jack Kerouac, attratto da
meditazione e buddismo, accede al Giappone attraverso la lettura del saggio di
D.T. Suzuki, volume uscito nel 1927 (che Adelphi ha ripubblicato).
Il fascino del ritmo sincopato e jazzistico di un componimento
così sintetico non poteva non piacere a questo Jackson Pollock
della scrittura. Scriveva al suo amico Lawrence Ferlinghetti: "Vorrei raccogliere
tutti gli haiku dei miei taccuini e farne un libro...". Ne ha scritti
migliaia.
Solo leggendoli, meglio se in controluce con quelli
giapponesi, la sorpresa, il piacere e il godimento diventano profondi.
Troviamo rigore e conoscenza, studio e passione. E anche la
totale e febbrile dipendenza dal comporne visto che girava con un taccuino in
tasca proprio come facevano i maestri zen.
Torniamo a viaggiare da fermi, un po' come fu costretto a fare Shiki nella sua cameretta, con gli haiku composti da Andrea Zanzotto tra la primavera e l'estate del 1984 e, proprio come il monaco zen Shiki, il poeta tra i più importanti del nostro novecento componeva haiku come terapia di sopravvivenza.
Li definiva "pseudo-haiku" proprio per la libertà stilistica che si accordava rispetto al canone giapponese e utilizzava l'inglese che, probabilmente, trovava più lancinante.
Si strappava alla depressione anche così.
Lost-shy petals of panels,
Torniamo a viaggiare da fermi, un po' come fu costretto a fare Shiki nella sua cameretta, con gli haiku composti da Andrea Zanzotto tra la primavera e l'estate del 1984 e, proprio come il monaco zen Shiki, il poeta tra i più importanti del nostro novecento componeva haiku come terapia di sopravvivenza.
Li definiva "pseudo-haiku" proprio per la libertà stilistica che si accordava rispetto al canone giapponese e utilizzava l'inglese che, probabilmente, trovava più lancinante.
Si strappava alla depressione anche così.
Lost-shy petals of panels,
clipped minitalks, past thoughts—
little bitter teeth biking
Timidi-perduti petali sui vetri
mini-discorsi spezzettati, pensieri passati —
mordenti asprigni dentini
E dopo questi sorprendenti "asprigni dentini" direi che è il caso di chiudere qui.
E di pensarci un po' su, magari facendosi un giro.
Anche sotto casa.
Anche sotto casa.
(haiku-finestra) |
Nessun commento:
Posta un commento