mercoledì 7 febbraio 2018

Stanco di chi non offre che parole


Stanco di chi non offre che parole, parole senza lingua
sono andato sull'isola coperta di neve.
Non ha parole il deserto.
Le pagine bianche dilagano ovunque!
Scopro orme di capriolo sulla neve.
Lingua senza parole.
(Tomas Tranströmer)


Stanco di chi non offre che parole, parole senza lingua, lo dichiaro: mi sono stancata della parola "percepire" che, con le sue declinazioni, condisce la frase di un tono falsamente scientifico e razionale, esprimendo una sensazione soggettiva... oggettivizzandola come fatto assodato. 
Mi ha stancato chi usa male il termine e lo sostituisce, col tono forbito, al vecchio "sentire", considerato più banale. "Percepire il suono del telefonino", ma perché?
Mi hanno stancato i meteorologi con le loro temperature percepite, sempre più alte di quelle vere, e le loro tabelle dai soli roventi.
E non ne posso più delle strumentalizzazioni, amplificate dalla stampa e dalla tv e dai social; chi percepisce che ci sono troppi immigrati anche se i numeri dicono il contrario, chi percepisce che una volta si stava meglio anche se i numeri dicono il contrario, chi percepisce che l'immigrazione ha aumentato la criminalità anche se i numeri dicono il contrario. 
Un paese di spiritisti, di medium, popolato da gente alla giucas casella che trabocca sensazioni, un paese che si parla addosso e brancola nella nube tossica delle percezioni. Che all'analisi dei fatti preferisce, sempre, il "secondo me" perché fa notizia, fa vicinanza, aiuta la "narrazione". La narrazione... E poi il "secondo me" è un ottimo nutrimento delle fake news, fa rumore, anzi fa un sacco di casino. La percezione, se non altro, nella sua accezione prima, non fa rumore affatto, attiene a qualcosa di profondo, a qualcosa che emerge carsicamente, un qualcosa di abissale, indicibile e che uno, al massimo, confessa a casa, confidandosi con quelle tre persone a cui si è legati da intimità. 
E anche sulla parola intimità, oddio, quante ne avrei...   
Una lingua pubblica senza le parole dettate dalla pancia, una lingua colta, e condivisa, che analizzi razionalmente e non sensorialmente i fatti.
Ora vi saluto. Parto.
Vado sull'isola coperta di neve a farmi due chiacchiere, silenziose, con Tomas Tranströmer. Il poeta svedese nel 2011 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura, e nella motivazione si legge "perché attraverso le sue immagini condensate e traslucide, ci ha dato nuovo accesso alla realtà".
La temperatura dell'isola sarà vicina lo zero, ma non ci importa, a me e a Tomas. 
E' la temperatura reale che ci interessa.  


(percepire le 16)





    

martedì 6 febbraio 2018

Ci dividono mari, le lingue


Ci dividono mari, le lingue,
senza più orme gli anni lupi grigi
vanno sviando e non hai saputo
né 'the awe' né 'vieillot',
né 'Holunder' né 'gemicare';
io ignoro il suono delle parole
come le dicevi pellegrinando,
ma tua figlia Satojo grazie al canto diventa
la mia, piango con te, o Issa,
sento la gioia che fosse e le rane,
i germogli nelle risaie, i colpi
allegri nel lavatoio, la carta
che crocchia e la luna in bilancia
sospesa sopra di noi,
la lepre annidata, il timido mito
di petali appena sbocciati.
Risurrezione accomuna. Una patria
invita noi orfani di Satojo con un richiamo 
di diciassette sillabe; più lungo il mio,
troppo; purtroppo
non come a te ti lievita immenso,
nuvola che incorona il vulcano,
o una sola precisa farfalla.
(Per Issa, per Satojo di Federico Hindermann)


Come quando un amico ti presenta una persona che non conoscevi, e che diventa un altro amico ancora, da un libro si può passare a un altro e poi a un altro, allungando di un po' il cammino che pensavamo di fare ma con esso l'orizzonte della conoscenza. Certo è che dell'amico, come del libro, ti devi fidare, cioè deve essere un buon amico. 
E' così che ho incontrato Federico Hindermann, cammina cammina, seguendo le tracce prima di Giorgio Orelli, che mi hanno fatto fare una deviazione verso Vittorio Sereni, e poi quelle di Fabio Pusterla, autore della bella introduzione a questo volume di poesie, quarant'anni di testi del poeta svizzero Federico Hindermann. 
L'immagine del cammino, non solo nella forma del percorso esistenziale, torna anche nella raccolta. Panorami alpini, speroni di roccia, gli incontri casuali... 
Nella struttura poetica, i testi spesso obbediscono a quel ribaltamento formale, di tono e di atmosfera e che negli haiku chiameremmo kireji, offrendo al lettore una sorpresa nel finale. 
Ribaltamento nel ribaltamento è stata poi la scoperta della poesia dedicata a Issa, il grande maestro di haiku, che cristallizza il dolore del maestro zen per la perdita della figlia Satojo. Il lutto di Issa, diventa anche di Hindermann e infine di chi legge, un dolore accessibile attraverso una poesia dove trapelano, come a squarciarla, micro citazioni di haiku giapponesi e parole dal suono meraviglioso ma intraducibile.
Ci dividono mari, le lingue,
senza più orme gli anni lupi grigi
Bella la copertina. Che sia proprio la farfalla di un haiku Issa?


Vola una farfalla
sono anch'io
come polvere

(Issa 1763-1828)



(sempre altrove)






    


   


lunedì 5 febbraio 2018

Ignominioso presente


Per nessuna ragione,
sapendo quello che succede,
mi vorrei risvegliare in questo mondo.
Ma già pensandolo (pensando 
di pensarlo) so anche
che non è vero, che per quanto
ignominioso sia il presente io mai
rinuncerei, potendo scegliere,
a starci, magari di sghembo
e rattrappito d'amarezza, dentro.
Forse, mi dico allora,
non è per me che parlo, è qualcun altro,
nato da poco o nascituro,
ad agitarsi nel mio sonno, a premere
da chissà dove sul mio cuore,
a impastare parole col mio fiato...
(Giovanni Raboni)



Pensavo che l'effetto della sparatoria del fascioterminator di Macerata fosse un boomerang per la destra. Ci speravo, ma mi sbagliavo. E le frasi, le smentite, le dichiarazioni, i saluti romani e di nuovo le dichiarazioni, e la paura e la sicurezza, mi rattrappiscono d'amarezza. Ma quel pensandolo (pensando di pensarlo) e l'invito a impastare parole col mio fiato del testo di Raboni mi ricaricano. 
E provo ad andare avanti.


(una meta)






venerdì 2 febbraio 2018

eppure eppure


È di rugiada
è un mondo di rugiada
eppure eppure

(Issa 1723-1828)


Alla fine è tutto molto più complicato. La questione femminile - con tanto di lotte, conquiste e obiettivi futuri - non ci sta chiusa tutta dentro un hashtag. E la discussione che si è creata sul #metoo prova, a mio avviso, che è impossibile parteggiare per una o per l'altra tesi perché, prima di tutto, non dovrebbero esserci fazioni. Ma non eravamo arrivati al punto di non dover per forza precisare "che si tratta di ricatto se lui è un tuo superiore" parlando tra amici che ti conoscono (e ti riconoscono come donna impegnata, progressista eccetera), perché bisogna ribadirlo ancora? Ma non lo sapevamo, non condividevamo quelle due o tre cose? Sottoscrivere banalità assodate con occhi iniettati di sangue, guardare storto Woody Allen, elencare tutti i tentativi di approccio, mischiarli con le molestie e dover fare schemetti:  allora, lo stupro è quando, la molestia invece, la mano morta... finendo a sganasciarci, è ovvio, solo a ricordare, e a mischiare di nuovo tutto, e poi c'è quello che cita Balthus e l'altra Chi l'ha visto?...

Nel mondo degli eppure, quello che preferisco, si può essere d'accordo con Anna Bravo e anche con Anna Momigliano, e anche con Teresa Bellemo, intellettuali che tra loro la pensano diversamente ma che analizzano le diverse sfumature e rappresentano con i loro interventi, un eppure. Perché sono le sfumature che fanno un individuo pensante e non il genere. 
E dobbiamo ancora ripetercelo.


(sfumature)


  

giovedì 1 febbraio 2018

Queste tue mani


Queste tue mani a difesa di te:
mi fanno sera sul viso.
Quando lente le schiudi, là davanti
la città è quell'arco di fuoco.
Sul sonno futuro
saranno persiane rigate di sole
e avrò perso per sempre
quel sapore di terra e di vento
quando le riprenderai.
(Le mani di Vittorio Sereni


Chi ama tanto la vita ha una legge in più: il biotestamento
Attraverso le DAT, possiamo d'ora in poi esprimere, e farlo legalmente, la nostra volontà sull'assistenza sanitaria in previsione di una futura incapacità a decidere o a comunicare. Le dat vanno consegnate ai comuni di appartenenza, che le registreranno, al fiduciario che si è scelti oppure a un notaio. 
DAT, disposizioni anticipate di trattamento, un acronimo in cui risuona il concetto di 'dare'. 
Sul sonno futuro
saranno persiane rigate di sole
Non si tratta di eutanasia o di suicidio assistito, tranquilli (se non si è pronti a legiferare sullo ius soli cosa mai possiamo pretendere, figuriamoci), ma è come fosse un memo, un post-it attaccato su quello che di più amiamo. 
La nostra vita e quella dei nostri cari.


(vite)




  



mercoledì 31 gennaio 2018

Chiamami Gandhi


Il mio canto ha deposto ogni artificio.
Non sfoggia splendide vesti
né ornamenti fastosi:
non farebbero che separarci
l'uno dall'altro, e il loro clamore
coprirebbe quello che sussurri.

La mia vanità di poeta
alla tua vista muore di vergogna.
O sommo poeta,
mi sono seduto ai tuoi piedi.
Voglio rendere semplice e schietta
tutta la mia vita,
come un flauto di canna
che tu possa riempire di musica.


Ieri il mondo intero ha ricordato i settanta anni dalla morte di Gandhi
Il Mahatmaletteralmente "grande anima", il "venerabile", il "maestro", l'uomo che ispirò Martin Luther King e Nelson Mandela. Bapu per milioni di indiani, "papà" in gujarati

Ma torniamo alle cose minuscole, torniamo a noi. Ieri sera Scalfari annuiva benevolo tra la barba bianca a Floris che gli si rivolgeva appellandolo "scrittore, giornalista, filosofo e poeta"  e raggiungendo un sobrio "direttore" come quinto appellativo prima della domanda (alla domanda avevo già cambiato canale). 
Poeta. No, poeta no.

« Impara come se dovessi vivere per sempre. »





  

martedì 30 gennaio 2018

Si fa tardi


Si fa tardi. Vi vedo, veramente
eguali a me nel vizio di passione,
con i cappotti, le carte, le luci
delle salive, i capelli già fragili,
con le parole e gli ammicchi, eccitati

e depressi, sciupati e infanti, rauchi
per la conversazione ininterrotta,
come scendete questa valle grigia,
come la tramortita erba premete
dove la via si perde ormai e la luce.

Le voci odo lontane come i fili
del tramontano tra le pietre e i cavi…
Ogni parola che mi giunge è addio.
E allento il passo e voi seguo nel cuore,
uno qua, uno là, per la discesa.
 (Agli amici di Franco Fortini)


Si chiama Die with me, Muori con me, è una app che si collega a una chat. La sua particolarità è che entra in funzione quando la batteria del cellulare si scarica fino al 5 per cento (quante volte abbiamo detto "Mi è morto il telefono"?). Solo allora gli amici connessi possono scambiarsi qualche sms con altri amici sconosciuti e scarichi, 
rauchi
per la conversazione ininterrotta,
come scendete questa valle grigia

Immagino parole disperate,  addii, faccette di emoji che dicono sono triste, che sorpresa, che paura. Oppure lancinanti verità, indicibili fino a quel 5 per cento di batteria che ora è già al 2, qualcosa di mai detto prima. Immagino messaggi brevi fatti di parole contratte, abbreviazioni veloci, non si ha tempo da perdere. 
Oppure se ne ha moltissimo. 

(il senso di una fine)