mercoledì 31 agosto 2016

lunedì 29 agosto 2016

Labranca

Il mio naso che cola - 
solo sulla punta
l'ultima luce della sera
(Akutagawa 1892-1927)


Tagliente come questo haiku di Akutagawa.
Della scomparsa di Tommaso Labranca l'ho appreso da FB, fatto che non lo stupirebbe (ho avvisato in redazione, l'abbiamo ricordato in onda) e un po' lo disgusterebbe.
Cantore di anni dopati e fluo, eccelso mischiatore di tutto e tutti, di alto e di basso, non saprà mai quanto mi dispiace. 
Un giorno lo avvicinai come farebbe una fan scatenata, una coatta fissata di Michael Jackson o di Baglioni - il mio lavoro ha anche questo di bello, sì, posso fare la fan - e lo investii con tutti i complimenti possibili sul suo romanzo 78.08. appena uscito. Laurapalmer di nome, attaccato, e Antonio Maniero, come dimenticarli!?
Con 78.08 - che titolo, ma esiste un titolo meno seduttivo per un lettore di questo? - ti ho amato, Labranca. E sono risalita, da quella memorabile febbre del sabato sera che raccontava nel suo romanzo, a ritroso, agli altri tuoi libri. Memorabile il saggio sul neo-proletariato, storia di una classe sociale trasversale, che da Marx è passata a Max (Pezzali) in un colpo, la stessa che, anni più tardi, Walter Siti avrebbe raccontato nei suoi romanzi.

Ricordo Labranca seduto sulla poltroncina bianca di Fazio, era dopo il grande successo di "Anima mia", un'intervista in occasione di quel 78.08 appena uscito che citavo. Il conduttore sembrava lo temesse, probabile che tutto quel suo "essere Labranca" estraneo da qualsiasi ovvietà, lo patisse, perlomeno così mi sembrò. Anche Labranca mi appariva a disagio. 
Mi fa tanta tristezza che non ci sia più. E aggiungo, quasi per contrasto, che gli devo le uniche risate a sganascio che mi sono fatta nella mia vita leggendo qualcosa. 











venerdì 26 agosto 2016

Tempo

Il suono delle onde -
ora distante, ora vicino:
quanto tempo mi rimane da vivere?
(Santōka 1882-1940)


Cerco tra gli haiku di Santōka la mia sensazione, cerco nei suoi pensieri il mio.

Il terremoto ribalta il tempo. Gli orologi si sono fermati su quell'ora tragica e diventano l'icona del dramma, i due minuti e mezzo di scosse sembrano lunghi intere giornate, attoniti ci chiediamo quanti giorni mai sono passati?
E, sopra tutte le domande, la più difficile: quanto tempo, quanto tempo ci vorrà per ricostruire la serenità di quel bambino, unico sopravvissuto alla sua famiglia, per puntellare quella madre disperata, per restaurare nella testa giorni felici e per sostenere, consolidare, rafforzare gli animi spezzati come travi crollate? 


(Alba o tramonto)








giovedì 25 agosto 2016

Terremoto

I colori escono in cielo e svaniscono
bolle di sapone
tra le macerie.
(Kaneko Tōta 1919)


Mercoledi ore 3.34.
Vite, arte, ricordi, luoghi, svaniti nel nulla come bolle di sapone ci dice Tōta dal Giappone, terra di terremoti. Fragilità, colori che vanno via.
Attoniti, noi guardiamo le macerie.

(RIP)

martedì 23 agosto 2016

Pini piccoli (dailyhaiku d'estate)

Monti lungo la costa -
tra i pini piccoli
acque di primavera
(Takai Kito 1741-1789)

Come se Takai Kito fosse stato qui. È esattamente quello che si vede da Barcola ed così esotico per il mio sguardo abituato al mare di sabbia, a quello con la macchia mediterranea rasoterra e argentea. Qui le conifere, tante, a migliaia, arrivano fino a lambire il mare di Trieste, solo una strada che corre lungo la costa, riesce a dividere il verde dal blu. Stando in acqua la strada scompare e, se poi sei pure miope, come me, ancora meglio, perchè il verde intenso va diluendosi direttamente nel mare in un grande acquerellone.

Ma quei pini piccoli con la loro primavera dentro, creano il cortocircuito e mi catapultano dentro realtà crudeli e incredibili. Quella dei micro-kamikaze, inconsapevoli assassini che, indossando la maglietta del calciatore preferito, vengono addestrati per premersi ON addosso e l'altra, in Colorado, il piccolo Weston Imer, dodici anni, che guida la campagna elettorale di Trump (notizia QUI) .


Mi immergo sott'acqua, non vorrei vedere o sentire più nulla. 


(Perduti per sempre)




venerdì 19 agosto 2016

Lanterna (dailyhaiku d'estate)

Con una lanterna
appesa a un pino
lavo i panni
(Issa 1763-1827)

Questo haiku che sa di vacanza racconta di una cosa che mi piace, che "sento", ma che non ho vissuto. 
Issa Kobayashi - poeta e pittore giapponese coltissimo dalla vita triste, riferimento per generazioni di futuri haijin - parla forse di una mia vecchia vacanza? Di una futura? O con il suo sguardo infantile, cifra di una poetica solo apparentemente facile, vuole dirmi qualcos'altro?
Il sole è tramontato. Intorno a me il profilo nero degli alberi di pino e, nella testa, questo haiku di Issa che gira. 
Ecco il mio blog.


(Barcola da meditazione)





giovedì 18 agosto 2016

Qui e lì (dailyhaiku d'estate)

Amo il sole basso
sui campi spogli
nel palmo della mano
(Yamaguchi Seishi 1901-1994)



Due giorni fa a Barcola, la "spiaggia" di Trieste, ho incontrato Harvard di cui sapete tutto dal post di ieri. 
È sempre lì, sdraietta e mezzo vestito, il mare non lo guarda neanche, i suoi occhi sono solo per il libro. Forse Harvard non ha tanti amici, oggi, ma se li farà i futuro. Comunque non sembra soffrirne. 
Ieri, quando in mattinata gli sono nuovamente passata vicino, avrei voluto dirglielo: Harvard, lo so non ti chiami Harvard come l'università, ma sei importante lo stesso. Sei dentro il mio blog, cioè non sei importante perchè ti ho citato ma perché sei così. Fatto così, come sei. Così come? Così. Con la tua aria rapita, il tuo libro e la tua polo ancora indosso. E osservandoti mi, ma ormai ci, sembra un mondo possibile, fatto di pensieri e di idee e non solo di telefonini... Sai Harvard tu sei qui seduto, ma sei anche qui, proprio nel telefonino se lo connetto al link del Dailyhaiku e un sacco di gente parla di te nei commenti... Certi si preoccupano che tu non ti fai il bagno (dopo te lo farai) alcuni gioiscono che esiste uno come te, altri dicono che ti immaginano perfettamente, come se fossero qui.

Non dico nulla, non avrebbe senso parlare. Harvard ha iniziato un altro libro. Non voglio disturbarlo. 

Harvard, mito assoluto della mia estate, è il mio koan. Mi rivela la natura ultima della realtà, è nella mia mente, e nel mio link, e ora qui sulla sua sdraietta davanti a me.
A Barcola si medita mentre il sole va giù.


(Tramonto nel tramonto nel tramonto)






mercoledì 17 agosto 2016

Harvard (dailyhaiku d'estate)

Nemmeno una nuvola
mi tolgo
il cappello di bambù
(Santōka 1882-1940)


Harvard. Ti abbiamo soprannominato così, con il nome di una delle università più importanti al mondo. Hai quindici, sedici anni? È da un paio di giorni che ti osserviamo, seduto lì, sulla tua sdraietta, all'ombra; quello che succede intorno a te sembra non interessarti. Che ti importa di chi gioca a palla o manda sms, di chi si unge per non scottarsi, di chi tira fuori dalla borsa-frigo il pranzetto da mare? È più importante quello che leggi, e ti vediamo, ci sei dentro tutto. 
Che leggi? Cosa mai ti sta avvinghiando, portandoti via da qui, da casa, lontano da tutti noi? Sei andato avanti da ieri, lo capisco dalle pagine rimaste.
Tutto intorno a te è bellissimo, Harvard. Rendi la vacanza di tutti noi bellissima. 
Cosa mai leggerai con quell'aria rapita, che ti fa accoccolare nella tua sdraietta, che ti fa tenere indosso la polo che sto bene così, mamma, e rimanere meravigliosamente seduto cn le gambe accavallate, all'ombra del pino. Harvard al tuo cospetto mi toglierei il cappello di bambù.
Harvard, ti amiamo!
Vorrei scriverlo con il fumo dell'aereo in cielo: We love Harvard.
Ragazzino con l'aria seria che sei altrove, ci rendi la vacanza ancora più felice. Ti ringraziamo in anticipo per quanto farai per l'umanità che domani avrà la fortuna di incrociarti, Harvard, noi ora ci prendiamo un caffè, a due passi da te. Il caffè è buonissimo, il mare luccica, la musica che esce dalle casse ci piace, nemmeno una nuvola, sotto il pino fa fresco e stasera ci faremo una pizza con gli amici. 
Ciao, Harvard, hai reso perfetta Barcola.


(University of Barcola)




martedì 16 agosto 2016

In volo (dailyhaiku d'estate)

Una fila di zanzare in volo
forma un fluttuante
ponte di sogni
(Takarai Kikaku 1661-1707)


I ragazzi che vedo aggirarsi nella città, oggi così afosa, non hanno mai nulla in mano.
Osservo solo ora - sono i tempi elastici dell'estate a permettermelo - che non portano pesi. Fluttuano leggeri, come zanzare in volo.
Le borse, le buste, le tracolle, i pacchi, i borsoni arriveranno dopo, fra qualche anno, a gioventù finita. Continuo a osservarli mentre si godono, inconsapevoli, le mani libere, i capelli che non si impigliano, le spalle morbide che donano quella tipica andatura un po' frolla. 
Vorrei fermarli, dirglielo a ognuno di loro, mentre incastro la spesa e la sacca dentro il mio bauletto, "Bello, bella, goditela tutta questa leggerezza!"
Ma la frase mi rimane chiusa nel casco che mi sto agganciando sotto la gola. Salgo sul motorino e metto in moto. 
E cerco di sentirmi un po' come loro.


(In volo)





lunedì 15 agosto 2016

Ferragosto a Izu (dailyhaiku estivo)

Il clima è mite a Izu

passo la notte in un campo
suono d'onde.
(Santōka 1882-1940)

Ognuno di noi ha un luogo, un posto dove sta bene anche se non risponde ai canoni instagram di spiagge bianche, coralli alle caviglie, goccioline su scollature, capelli al vento e ukulele. Ognuno di noi ha una Izu dal clima mite nel cuore, nei ricordi, magari non particolarmente fotogenica ma ugualmente bellissima.

Passo il mio Ferragosto a Barcola, il lungomare di Trieste, che non ha insenature nascoste o calette instagram da postare, e i corpi in costume che la abitano non sono proprio da calendario. 
È un posto comodo, popolare e raggiungibile. Una sfilata di muscoli, cosce più o meno toniche e tette di ogni età. L'acqua è pulita - la recessione siderurgica ha i suoi lati positivi - e chi la frequenta la sente sua.
I "topolini", i micro stabilimenti pubblici serviti di bagni, docce, spogliatoi e solarium, sono un gioiello di architettura sociale. Sagomati e aerei, sui loro solidi pilotis che affondano in acqua, offrono un ristoro socialista irrinunciabile. 
Tutto a pochi metri dalla zuccherosa Piazza dell'Unità.
Barcola la si abita popolandola con l'intera famiglia; la si arreda con lettini, sedili e ombrelloni (sono ammessi anche quelli per la pioggia); la si ritrova ogni giorno auto-assegnandosi il posto, sempre quello; la si percorre su e giù per la passeggiata postprandiale lungo i tre chilometri di mare. Le discesine con il corrimano permettono un bagno comodo, dagli scogli ci si può tuffare e sentirsi in Grecia o in Croazia. 
Barcola che si può raggiungere in pausa pranzo tirando fuori, al volo, costume e asciugamano.
Barcola come l'Onu dove si parlano tutte le lingue del mondo.
Io? Sbircio titoli di libri e i rebus delle settimane enigmistiche, ascolto chiacchiere, spio i baci degli adolescenti e i grugni delle vecchie coppie, mi beo della bellezza dei corpi anche stagionati, invidio la naturalezza dei vecchi, annuso i lattanti. Tutto da ferma. Tutto mi sfila davanti.
Sul pranzo menzione speciale. Alle 13 scocca l'ora X: le carte da gioco sui tavolinetti scompaiono in fretta, le tovagliette sventolano, le borse frigo si liberano dai ganci, i coperchi tupperware schioccano. 
Il clima è mite a Izu.
Buon Ferragosto!


(Ferragosto a "Izu")

venerdì 12 agosto 2016

#IostoconAlex

La via
diritta
solitudine
(Santōka 1882-1940)


Che il marciatore Alex Schwazer conosca questo haiku di Santōka lo escluderei, ma che la via per lui sia solo di solitudine, lo sa bene. 

Nella società che esige corpi capaci di qualsiasi performance sportiva, la strada della verità da diritta diventa tortuosa. Lo share si alza solo per bracciate da supereroi, per centesimi di secondo guadagnati da corpi celesti, per ciclisti che, muti e sordi, continuano a pedalare anche da fermi. Quando qualcuno rompe il circolo (vizioso? virtuoso? mediatico?) con lacrime o denunce, viene espulso ed emarginato per essere santificato da pubblico e giornalisti, come è successo a Pantani (su quelle salite veniva raggiunto dagli sputi della folla bue) solo dopo morto. 
Per questo condivido una per una le parole di Susanna Tamaro sulla storia del doping di Schwazer (clicca QUI) e l'hashtag #IostoconAlex.

(Roma. Villaggio Olimpico)

giovedì 11 agosto 2016

Frantumi (dailyhaiku d'estate)

Quante isole!
Va in mille frantumi
il mare d'estate
(Bashō 1644-1699)


Caspita che "foto" ci regala Bashō! Uno scatto che rende con precisione nipponica il dettaglio delle onde lucenti, del riverbero del sole, della terra scura che appare e scompare. 
Raccolgo uno di quei frantumi e mi viene in mente una cosa.

E' urticante per i razionali, faticoso per menti illuministe, semplicemente sciocco per la maggioranza, ma: a volte le cose si aggiustano da sole.
Il tasto della tv si incanta? "Si aggiusta da solo".
La tapparella si incastra?" Si aggiusta da sola".
Il citofono gracchia? "Si aggiusta da solo"  
Solo scrivendo mi accorgo che è un concetto fraintendibile. No, non confondiamo l'auto-cura degli oggetti con quella nociva e insensata praticata da certi umani su altri simili. E non vi sbagliate, non vivo in un tugurio pieno di cose rotte, sportelli che sbattono, tubi che perdono, molle che cigolano; non preoccupatevi, non faccio parte di quelle truppe di protagonisti televisivi, espulsi dalla società, che trovano senso, e asilo, solo sulle real tv; le truppe di obeso-compulsivi, gli accumulatori seriali di oggetti o ancora quei campionari ambulanti di tutte le perversioni subumane che si confessano alla telecamera con sguardo contrito, nooooooooo!
Il "si aggiusta da solo" non è né una religione, né una filosofia, né una nevrosi contemporanea. Alla fine, non merita molta attenzione e neanche una seconda serata. E' un fatto. La semplice, pacata risposta allo sguardo disperato dell'altro.     
Un giorno la serratura della porta ha smesso di girare sulle sue consuete quattro mandate.
Inserendo la chiave nella toppa, una piccola fitta: perché non funzioni più bene? Perché il giro, che hai sempre fatto, non lo compi più completamente? Perché? Che facciamo? Susanna, che facciamo?
"Boh. Secondo me si aggiusta da solo"
"Ogni volta la stessa storia. Si aggiusta da solo, come la lavatrice!"
"Ma la lavatrice era un'altra cosa"
"Co 'sta storia del si aggiusta da solo..."
Abbiamo chiuso a chiave due giri su quattro e siamo usciti e rientrati dando solo due mandate per settimane. Senza forzare troppo "si spezza la chiave!" e senza mai capire perché, da un momento all'altro, così, senza un senso apparente, la serratura serrava a metà. Assestamento delle mura, pensavamo ad ogni fitta, e guardavamo in alto, cercando un segnale tangibile, una prova di quel micro smottamento fantasma, concentrati come ingegneri durante una perizia. Ci siamo assestati anche noi (io partivo avvantaggiata).
Poi è successo. 
Sere fa, ore 20 circa, minuto più minuto meno, uscendo per l'irrinunciabile aperitivo al baretto all'angolo, chiudo casa. Con quattro mandate. Quattro mandate.
"Hai visto??? Si aggiusta da-so-lo! Evvai!" 
Ho rigirato la chiave su stessa per due o tre volte, avanti, indietro, per provare l'accadimento in modo inconfutabile e pure per festeggiarlo. 
"Vabbè va...dai, andiamo".

(si aggiusta da solo)





   
  

       

mercoledì 10 agosto 2016

Olimpiadi (dailyhaiku d'estate)

Eccomi
dove il blu del mare
è infinito
(Santōka 1882-1940)

Guardare le Olimpiadi pensando ad altro. Mentre la sirena Pellegrini mi raggiunge pinneggiando su twitter, mi frulla in testa l'haiku di Santōka. Sono una spettatrice pigra, poco sportiva, non conosco le regole dei giochi. Ma lo stesso dribblo felicemente tra i canali della mia tv perdendomi nel blu delle piscine, nell'esuberanza della pallacanestro, nella compostezza del judo, nella nevrosi della scherma. E finisco dentro il Pandizucchero, meravigliosa scenografia low cost, che cambia colore con l'orario delle gare.


(Vacanze olimpiche)




lunedì 8 agosto 2016

Turista a Roma (dailyhaiku d'estate)

In silenzio 
mangio il bianco riso
al caldo estivo
(Issa 1763-1827)


Vorrei camminare sulle birkenstock dei turisti che vedo in giro nonostante la calura. Fare mio il loro percorso sui marciapiedi fondenti. Bere alla fontanella, cercare il Pantheon su googlemaps, trovarmelo davanti, e pensare solo: ohhhh!
Vorrei stare a quel tavolo a mangiare pizza e cappuccino (ma lo bevete prima, dopo o durante?), farmi una foto con quei due giapponesi e finire nell'album dei loro smartphone viaggiando anche su instagram. Vedere attraverso gli occhiali di quell'inglese che sembra riconoscere un rudere da un altro e lo archivia nel suo taccuino mentale, dipingere una palma en plein air con quel gruppetto di tedeschi all'orto botanico, girare per i Fori e all'unisono osservare, all'unisono sorridere, all'unisono asciugarsi il sudore vicino alla nostra guida. Infine, rinfrescarmi dentro una chiesa barocca senza capire come sia possibile, perché a casa, in Texas, l'aria fresca viaggia solo elettricamente e non attraverso il marmo che mi circonda. 

Caspita, sto per agganciare il mio lucchetto dell'amore sul lampione di Ponte Milvio, proprio come vedo fare a quei due. No. Fermo le birkenstock e le giro dall'altra parte, in un'altra direzione. Il rito turistico-globale più fesso del mondo proprio no. 


(parco tematico)


   

sabato 6 agosto 2016

Primavere d'agosto

Più numerose le primavere
più lunghi i dì
recano lacrime e lamenti
(Issa 1762-1827)



Direte che sono lamentosa, che le mie primavere numerose mi fanno assomgliare a una ziaPina nostalgica, ma... mi mancano cicche e fazzoletti. 

Non fumo, non fumo più, forse non mi è mai piaciuto visto che il vizio l'ho perso facilmente ma spesso avrei ancora voglia di farmi un tiro in relax. Di quelli affacciati alla finestra, del portacenere a tavola con il caffè, magari al bar, di quelli con il braccio fuori il finestrino abbassato mentre si guida. La sigaretta anni settanta, quella dei genitori a cui guardavo, che affumicava i libri rendendo le coste ingiallite come denti.

E poi mi mancano i fazzoletti. No, non i kleenex. Mi mancano proprio quelli di stoffa, bianchi, quadrati.
Quelli dei nostri padri e dei nostri nonni. Freschi, con le pieghe dello stiro ben visibili e che nel cassetto si ricavavano, ordinati e impilati, un spazio preciso tra mutande e canottiere.  
E mi mancano quei gesti quotidiani rassicuranti: tirarlo fuori dalla tasca scuotendolo, porgerlo a chi piange, pulirci la sedia o il sedile in autobus, metterlo fuori il finestrino quando qualcuno in macchina ha bisogno di un ospedale, tamponarci al volo il sangue dal naso...
Mi mancano fronti imperlate e asciugate, nasi gocciolanti e soffiati, starnuti e risate soffocati con il fazzoletto.


Ricordo oggi un'Italia meno aggressiva. Più pop e più candida. Meno salutisticamente dopata.

(Particolare anni settanta)

venerdì 5 agosto 2016

Senza dire una parola (dailyhaiku d'estate)

Tutto il giorno
senza dire una parola.
Il suono delle onde.
(Santōka 1882-1940)


"Signora, signoraaaa!" la sua vociona alle mie spalle, mentre traffico con il bauletto del motorino appena parcheggiato sotto casa. Sono le sette di sera, sono da poco uscita dalla redazione, sono stanca, ho pure le buste della spesa e il sole, nonostante tutto questo, sembra ancora altissimo.
"Signoraaa, che c'ha un eurooo?" 
Mi sto girando verso di lui, in testa ho ancora il casco.
"Beh, no..."  
Me lo sfilo, scuoto i capelli appiccicati per il caldo, alzo lo sguardo. E' un mio vicino, quello dall'aria buffa e con la voce tenorile. Un uomo un po' vecchio un po' no, camicia  a maniche corte su pantaloni giro-collo (salgono sempre più in alto quando si invecchia). E' alto. E' lui quello che ci diede il primo benvenuto appena arrivati a vivere lì. A modo suo, a gran voce, con una barzelletta di quelle con la domanda, ehi, voi, sapete il colmo per un panettiere? avere una figlia che si chiama rosetta! 
Una cosa così.
Ovviamente, è stato amore a prima vista e lo abbiamo soprannominato "rosetta". 
Fino  a quel momento lo immaginavo nella sua casa, una magra pensione, arredi modesti, un figlio che magari lo va a trovare ogni tanto e, quando incontra qualcuno, due chiacchiere strampalate a gran voce. 
Sereno, anche nel suo caos mentale; non pensavo chiedesse l'elemosina. Ecco, questo non lo pensavo proprio.
"Signoraaa, avevo voglia di una cocaaaaa" stessi decibel, solo più rassegnati.
Il cappellino, di quelli anni sessanta, di tela rosata con le falde minuscole, si muove un po' sopra quella testa da proteggere. 
Alla parola "cocacola" non resisto. Poggio tutto per terra, casco e borse della spesa, e mi tuffo alla ricerca dell'euro. Qui non ci sono bambini da far mangiare, casa lontana o perdita del lavoro. E neanche un tavernello da svuotarsi in gola. Qui è tutto semplice. E' tutto molto semplice, come una battuta, come quella della rosetta. 
Oppure no. E' tutto molto, ma molto più complicato. 
Trovo la moneta sul fondo della borsa. 
"Ecco"
"Grazie signoraaa! Mi ha risolto un problema, eh!"
Ripongo il casco nel bauletto, raccatto le cose da terra, cerco le chiavi di casa e ancora:
"Signoraaaa! GRAZIEEE!!!" 
Un euro. Me lo ha chiesto, tutto qui. Un "problema" in meno sulla terra. Un "problema" risolto.

La mattina seguente, ancora mezzo addormentata, sento dalla finestra il clangore dell'automezzo addetto al recupero dell'immondizia e i mugugni degli addetti alla pulizia intenti nell'operazione di svuotaggio cassonetto. Su tutte, riconosco la voce, quella di rosetta:
"Signoreee! Scusiiii, non vedeeee??? Le è caduta una cartaaaa!!!!


(C'è qualcunooooo?)

        

giovedì 4 agosto 2016

Erbe (dailyhaiku d'estate)

E là si sdraia
e là resta sdraiata
l'erba in giardino
(Ryōkan 1758-1831)



Così sto. E non ne voglio sapere. Immobile, mi faccio rintronare dalle cicale, solleticare dalle formiche. Mi pizzica qualcosa sulla gamba. Sulla testa mi ronza solo un bombo, elegante nonostante il nome ridicolo, "bombus pratorum", lo osservo compiere piccoli voli, precisissimi. A scatti, si scopre il corpicino di velluto arancione. 
Il suo ronzio su tutto. 
Così sto, erba sdraiata nell'erba, mentre questa estate si srotola sotto e sopra di me.


(Bombi e non bombe)

mercoledì 3 agosto 2016

Diario estivo

Notte d'estate
a contare le mie pulci -
sveglio fino all'alba
(Ryōkan 1758-1831)


I raid sulla Libia e Sigonella come base militare, le banche impazzite, le minacce di Erdogan... 
Speravo in un'estate migliore, penso, mentre conto le mie pulci.


(Luogo estivo)



martedì 2 agosto 2016

click

L'immagine sacra
che rimpiange la primavera
è l'eternità
(Mizuhara Shūōshi 1891-1981)



"Ci servirebbero alcune foto in alta definizione da inviare ai festival" mi avvertono dalla mia casa editrice. Ok. Mi devo organizzare. Preparo il mio fondale casalingo, una parete bianca, provo a truccarmi, poco (l'effetto maschera da teatro Nō è racchiuso tutto qui dentro, nel tubetto di fondotinta che ho in mano), scelgo una posa e acchiappo l'ipad. 
Sfoglio gli scatti appena fatti: bassa la risoluzione, basso il risultato. Bassa pure io, sembro una ziapina tarchiata e disperata che rimpiange la primavera. Selfie maledetti!      
"Aiuto, potresti farmi tu un paio di foto?" Simona (un'amica di quelle poche e vere in circolazione sia come fotografa che come amica) arriva sul suo scooter nel giro di un paio d'ore. 
Mi piace osservare chi conosce il proprio lavoro, chi vede cose che gli altri non vedono tipo la luce come sarà, la parete come sarebbe, quel gesto che potrebbe essere quello giusto.
Attraverso l'obiettivo, tirato fuori da uno zaino che la fa sembrare un ninja, Simona, elegantissima e lunare comunque, vede le cose che non si vedono subito.  
Tipo le grate di quel cancello del museo Maxxi - ben serrato già alle 19 di una serata romana, dove ci siamo recate cercando un fantomatico "muro bianco che ha una bella luce a quest'ora" - e davanti al quale ho posato con aria finto disinvolta. 
"Cavolo, Simona, ma che devo fare? Dove devo guardare?"
"Non preoccuparti, tu pensa e sorridi..." Simona parla poco, anche quando fotografa. Sono i suoi scatti a parlare di lei. 
Mi ha fatto proprio un regalo, pensavo mentre cercavo una posa "naturale" che mi facesse fichissima, senza una ruga e molto, molto intelligente e con un collo da cigno. E che non si veda il cerotto, mi raccomando Simona!  
Poi ci siamo prese un aperitivo e il nostro shooting è diventato una cena. 
E ci siamo ancora guardate, dopo anni passati, estati indimenticabili, fatiche, dolori. 
Così diverse, così affini. Tra le due io sono sempre quella che chiacchiera anche quando dovrebbe stare ferma e zitta.

click.

(dietro le quinte)


   

lunedì 1 agosto 2016

Candele

Candela alla mano
l'uomo attraversa il suo giardino
rimpiangendo la primavera.
(Yosa Buson 1716-1784)


Bellissimo. Musulmani e cattolici dalla stessa parte, che pregano, insieme, in chiesa. Immagino voci che si confondono, preghiere e accenti diversi, litanie sconosciute che si intrecciano per levarsi veso l'alto. Bellissimo. Uomini che attraversano quel giardino che sentono il "loro" e, candela alla mano, - 23 mila solo in Italia (leggi la notizia QUI) - si vengono incontro.

Fa caldo, non c'è aria. Valico la soglia di una chiesa qualsiasi, rimpiangendo la primavera.
Delle chiese amo l'odore. Misto di incenso e paramenti, di cera e umanità, fresco e stantio insieme. 
Là fuori negozi con gli ultimi saldi, il travertino abbaglia, le statue barocche hanno perso la loro baldanza e vorrebbero solo accasciarsi per l'afa. Entrare in una chiesa, nella Roma di questi giorni d'agosto, è sempre un gran riparo.
Le pupille si stanno abituando alla penombra, si allargano come le narici. 


(occhio di dio?)