lunedì 29 agosto 2016

Labranca

Il mio naso che cola - 
solo sulla punta
l'ultima luce della sera
(Akutagawa 1892-1927)


Tagliente come questo haiku di Akutagawa.
Della scomparsa di Tommaso Labranca l'ho appreso da FB, fatto che non lo stupirebbe (ho avvisato in redazione, l'abbiamo ricordato in onda) e un po' lo disgusterebbe.
Cantore di anni dopati e fluo, eccelso mischiatore di tutto e tutti, di alto e di basso, non saprà mai quanto mi dispiace. 
Un giorno lo avvicinai come farebbe una fan scatenata, una coatta fissata di Michael Jackson o di Baglioni - il mio lavoro ha anche questo di bello, sì, posso fare la fan - e lo investii con tutti i complimenti possibili sul suo romanzo 78.08. appena uscito. Laurapalmer di nome, attaccato, e Antonio Maniero, come dimenticarli!?
Con 78.08 - che titolo, ma esiste un titolo meno seduttivo per un lettore di questo? - ti ho amato, Labranca. E sono risalita, da quella memorabile febbre del sabato sera che raccontava nel suo romanzo, a ritroso, agli altri tuoi libri. Memorabile il saggio sul neo-proletariato, storia di una classe sociale trasversale, che da Marx è passata a Max (Pezzali) in un colpo, la stessa che, anni più tardi, Walter Siti avrebbe raccontato nei suoi romanzi.

Ricordo Labranca seduto sulla poltroncina bianca di Fazio, era dopo il grande successo di "Anima mia", un'intervista in occasione di quel 78.08 appena uscito che citavo. Il conduttore sembrava lo temesse, probabile che tutto quel suo "essere Labranca" estraneo da qualsiasi ovvietà, lo patisse, perlomeno così mi sembrò. Anche Labranca mi appariva a disagio. 
Mi fa tanta tristezza che non ci sia più. E aggiungo, quasi per contrasto, che gli devo le uniche risate a sganascio che mi sono fatta nella mia vita leggendo qualcosa. 











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