mercoledì 16 gennaio 2019

Brexit


Nessun sole d'estate potrà mai
dissolvere le tenebre totali
diffusa dai Giornali,
che vomitano in prosa trasandata
fatti violenti e sordidi
che non riusciamo, sciocchi, ad impedire:
la terra è un brutto posto,
eppure, per quest'attimo speciale,
così tranquillo ma così festoso,
ti rendo Grazie: Grazie, Grazie, Nebbia.
("Grazie, Nebbia" di W.H. Auden)

A chi, la Gran Bretagna, dovrà dire grazie per tutto questo casino... così poco british? Noi, quelli usi agli impicci e ai sentimenti, la osserviamo da quaggiù mentre continua a brancolare scomposta nella sua stessa nebbia, sperando che non avvolga, un futuro mattino, anche noi. 
Ci si conceda una punta di snobberia, almeno per qualche giorno!

(alla finestra)

martedì 15 gennaio 2019

Pawel Adamowicz



Gas che collidono, tempeste, scontro di comete,
in questo cielo curvo che ci appare in pace
nessuna eco, nessun solco d’aratro,
nessun tragitto di linfa
dalla radice del platano al suo nero,
solo uno stormire di foglie
fino alla stella irraggiungibile
dove il tuo respiro rallentava.
Alla fine dell’inverno, senza neve
– è solo un altro lutto – mi dicevo – inosservato
nel mondo che s’intreccia al gelo.
All’improvviso invece in un angolo del letto
è apparso il sole, scavava silenzioso una sua strada
verso un luogo dove s’irradia luce
e non esistono i pronomi.
(da "Historiae" di Antonella Anedda)

Chi l'aveva mai sentito nominare Pawel Adamowicz, il sindaco di Danzica morto ieri, ucciso con un coltello nel cuore. "Siamo un porto aperto al mondo" diceva nei suoi comizi, un porto aperto al mondo, diceva l'uomo controcorrente, uno che molti definirebbero freak, uno capace di parlare di solidarietà e di accoglienza e di diritti per gli omosessuali. 

Alla fine dell’inverno, senza neve
– è solo un altro lutto – mi dicevo – inosservato
nel mondo che s’intreccia al gelo.

E penso a quante persone per bene non conosciamo perché impallate da altre così inutili e aggressive, così rumorose e presenti, sfinenti, ma anche alla sua città stretta in un solo corpo scosso, unita nel tentativo di accumulare tutto il sangue del mondo per poterglielo restituire in un'unica trasfusione impossibile.

  
(Un porto aperto)



  

lunedì 14 gennaio 2019

Mosche, farfalle & c.


La mosca in autunno
tutti gli acchiappamosche
sono rotti
(Shiki 1867-1902) 


L'arte di collezionare mosche di Fredrik Sjöberg edito da Iperborea, un vecchio libretto amato, che ritiro fuori dalla libreria in occasione della possibile sparizione degli insetti sul nostro pianeta di cui sta raccontando la mia radio in questo momento.


Sul mondo degli insetti in letteratura, da Virgilio a Kafka fino alla Vispa Teresa, si è detto e scritto in abbondanza. David Cronemberg e David Linch hanno contribuito a rendere mosche e coleotteri fascinosi e conturbanti. Quell'altro genio di Jan Fabre le ha sadicamente incollate su meravigliosi rosoni iridescenti. E Rimskij-Korsakov con il suo calabrone in musica, fino all'inarrivabile tolleranza dei nostri poeti zen, miti osservatori di pulci, farfalle, pidocchi, grilli e mosche.
E allora cosa rende questo libro speciale? La curiosità "moschina" del suo autore e quella generata nel lettore. L'originale capacità di osservarsi come farebbe un entomologo, appunto, nell'affannato tentativo di aggiungere un tassello in più a una ricerca che sa di infinito. Sapete quante specie di insetti esistono? Milioni e milioni. Di queste centinaia di migliaia appartengono all'ordine dei ditteri, le mosche appunto e solo in Svezia, punto di osservazione di Sjöberg, ci sono 4424 tipi di mosche. Tra cui i sirfidi, la specie amata dall'autore che, circoscrivendo pagina dopo pagina il campo di osservazione, limitandone via via i confini, arriva a setacciare, in modo proficuo per la sua ricerca, un minuscolo isolotto svedese. 
Lo sguardo, il nostro, diventa a 360 gradi, come l'occhio delle mosche, su entomologia, biologia e letteratura. Sjöberg ci dice che la ricerca è possibile anche se il punto di vista è ristretto e il porsi dei limiti, analizzandosi e circoscrivendo passioni e ossessioni, può essere un metodo. Un metodo per procedere nella conoscenza scientifica e nell'esistenza. 
Volo, è il caso di dirlo, a cercare il racconto di D.H. Lawrence che Fredrik Sjöberg cita a un certo punto.



sabato 12 gennaio 2019

Negozietto


Dispensa mai fu donato
più appropriato nome.
Cuore del cibo posto
nel cuore della casa
come il motore immobile
delle cosmologie.
Tabernacolo luogo 
alimentare e segreto.
("Dispensa" di Valerio Magrelli)


Quand'ero piccola giocavo a negozietto con mia sorella. La nostra recita si teneva a casa dei nonni, in una specie di enorme armadio a muro adibito a dispensa, la domenica mattina, dopo la colazione. Era una colazione unica quella, mi pare buonissima anche adesso, eccentrica rispetto alla solita, col nonno in pigiama, che strano, e la nonna in vestaglia che ci scaldava un pezzetto di pane sul fornello infilzandolo con una forchetta. Quante volte l'avrà arrostito così, sulle prime direi sempre, ripensandoci sarà stata una sola, magari perchè erano finiti i biscotti. Mamma e papà sarebbero arrivati per pranzo, dopo il sabato sera passato con i loro amici o al night. Parentesi. Il night. Ricordo nitidamente mio padre che dice stasera andiamo a un night a mia madre, non che fosse un ballerino o chissà che amante della musica o dei superalcolici, forse un gergo privato tra loro, il night, che mistero, chissà. Chiusa parentesi.  
Nell'attesa di mamma e papà, noi sorelle entravamo in quella specie di armadio - il gioco del negozietto era già nell'aprire quelle ante per accedere in un'altra dimensione come Alice - rovistare tra le due file di scaffali, spostare il vino, le latte con l'olio, prendere qualcosa e infilarlo nelle buste di naylon conservate in un angolo ben ripiegate, che fortuna anche le buste abbiamo, e pesare la merce sulla bilancia vera e pagare con soldi di carta fatti da noi, buongiorno signora, desidera? un chilo di pasta, prego.
Ripensarci oggi mi riporta laggiù, tra gli abitanti di quel paese delle meraviglie.


(piccola spesa)






   

giovedì 10 gennaio 2019

Aiuti



Niente si offre per l’ultima volta,
perché tutto dopo il sonno ricomincia.

si riforma il seme dei ragazzi. Le
polluzioni sono infinite. Compagni,

ragazzi morituri, orfani matricidi
spegnete la sete che è in me d’amore

deluso in questi versi rattrappiti.
(da "Sesso" di Dario Bellezza)


Quel bacio nel 1991 di Fernando Aiuti, l'immunologo spentosi ieri sera, a una paziente sieropositiva, fu il primo gesto social della storia. Quel bacio sulla bocca tra medico e malata fu l'icona pop di anni traumatizzati dalla scoperta di un virus, gli ottanta epicurei ripiegavano in quel decennio di paure e castighi, di mucche pazze e di ebola e di cormorani incatramati. La sua foto sui giornali fu un gesto artistico, l'ideale completamento della serie dei ritratti di Andy Warhol, quelli con le star a colori acidi, i visi fuxia e i ciuffi blu elettrico. Se ne discusse molto, suscitò polemiche e insinuazioni ma quel bacio vinse e non fu più dimenticato.
Aiuti, AIDS in inglese, fu scienziato e anche un artista, rappresentando dentro quel gesto se stesso e, insieme a lui, la sua ricerca.


(qui ci si ama)



mercoledì 9 gennaio 2019

Prima le donne e bambini


Da me a quell'ombra in bilico tra fiume e mare
solo una striscia di esistenza
in controluce dalla foce.
Quell'uomo.
Rammenda reti, ritinteggia uno scafo.
Cose che io non so fare. Nominarle appena.
Da me a lui nient'altro: una fissità.
Ogni eccedenza andata altrove. O spenta.
("Fissità" di Vittorio Sereni)

Perché "prima donne e bambini", perché? Forse un essere umano vale più di un altro a seconda del genere o dell'anagrafia? Quindi Quell'uomo, che tra l'altro fa pure cose che non so fare, meglio che lo si lasci lì dove sta, che sia uno scoglio, un gommone bucato, una città in fiamme. La società civile ripete il suo motto che fa tanto umano, prima le donne e bambini, prima le donne e bambini prima le donne e bambini prima le donne e bambini, e se lo scrive pure addosso, twittandoselo bene.


(Decreto legge)

martedì 8 gennaio 2019

Finalmente



Vivere è stare svegli
e concedersi agli altri,
dare di sé sempre il meglio,
e non essere scaltri.

Vivere è amare la vita
con i suoi funerali e i suoi balli,
trovare favole e miti
nelle vicende più squallide.

Vivere è attendere il sole
nei giorni di nera tempesta,
schivare le gonfie parole,
vestite con frange di festa.

Vivere è scegliere le umili
melodie senza strepiti e spari,
scendere verso l’autunno
e non stancarsi d’amare.


Una poesia non tra le più belle del mondo, che sia meglio lo slavista del poeta? Versi un po' compilativi, più un elenco, una lista che suggerisce un metodo che sarebbe bello poter seguire: riuscire a cogliere l'attimo. Vivere è amare la vita, dice il vero, certo, Vivere è attendere il sole nei giorni di nera tempesta, tutto giusto, non stancarsi d’amare, pure quello, versi che non sento di annoverare tra le scoperte letterarie più sconvolgenti della mia vita. Allora perchè? Posso finalmente pubblicare questa foto.