martedì 2 ottobre 2018

Charles Aznavour


Spesso la sventura si rivale
con un'afflizione più grande
(René Char)

Fu con una canzone di Aznavour che scoprii l'afflizione. L'orchestra suonava note tristi, lui interpretava accorato, il filo di barba della mattina, la cravatta allentata sul colletto sbottonato, la giacca appesa all'indice se ne andava su e giù per lo studio televisivo in bianco e nero. Ai buoni e ai cattivi - a dieci anni il mondo lo dividi solo in buoni e cattivi - fu così che aggiunsi la categoria degli afflitti, che magari pure li conoscevo ma non ci avevo mai fatto caso prima di quella canzone lì. Io tra di voi, cantava nel mio salotto Aznavour, con la voce vibrante e l'orgoglio ferito che ad ogni inquadratura gli lampeggiava negli occhi e arrivava fino ai miei di allora, io che iniziavo a capire a malapena qualcosa, a capire che un amore poteva finire. Sostenevo quel suo sguardo e spiavo i miei genitori, che non soffrissero mai così come lui, pregavo. E canticchiavo per darmi un tono.

(Bianco e nero)

giovedì 27 settembre 2018

il Zanza


Solo diceva Torni? quando torni?
Fuori la notte rifranava, a brani
si sfaceva… Oh taci! … È tempo che torni
e mi baci… O murati mondi umani,
a credere che il di sempre raggiorni,
voi, lo schifo dei miei lombi!… Rimani,
amor mio, rimani… ancora diceva
che già la notte si ricomponeva.
(da Medicamenta di Patrizia Valduga) 

Il Zanza, ultimo coriandolo di un'epoca, è morto nell'esercizio delle sue funzioni di Zanza. Il mondo del #metoo non era proprio il suo e, a quanto leggo, non credo sia a lutto. 
Il Zanza. Già nel nome la seduzione della zeta romagnola che vale una promessa, in foto è sempre uguale, capelli lunghi alla Bon Jovi, camicia aperta sul petto e pantaloni aderenti, e tutto sembra essergli scivolato via, le guerre, le torri gemelle, i muri che si alzano o che crollano... Nel fondo dello sguardo da Zanza solo la malinconia da rimorchione estivo, ed è finita anche l'estate.  
Rimani,
amor mio, rimani… ancora diceva la ragazza mentre lui se ne andava per sempre.



(Happy Hour)








  

mercoledì 26 settembre 2018

Passeggiata con Cavalli


Come un popolo felice nella varietà
stavano insieme meravigliosamente
le tante erbe e i fiori ai bordi della strada
per mostrarsi. Vi guardo e vi ammiro,
folte trasparenze, spighe raggiate
da mobili corone in ascensione!
Quei grani, quelle piume,
quell'invenzione di geometrie straniate,
se io non le vedessi, quelle forme
vibranti potrebbero in se stesse
compiacersi della propria così varia
singolarità? Possibile
che solo a noi sia dato lo stupore? 
(in "Datura" di Patrizia Cavalli)

Patrizia Cavalli, quel suo disincanto e lo sprazzo di dolcezza improvviso che balena nel verso, come farne a meno? E' la compagna di passeggiate romane, quando in motorino attraverso un ponte, se vago nella città barocca dai palazzi color pastello, celestini, arancio e burro. Se scopro un capitello nel traffico che sembra geolocalizzi l'eternità. 
Quel suo senso di malinconica immanenza, e di vita da mangiare, che provo a fare mio e quasi mi sembra che le folte trasparenze che infestano il mio quartiere in decadenza, quando passo, pieghino il capino e mi salutino devote.


(Tramonto barocco)






martedì 25 settembre 2018

La zampa dentata dell'acero


E la zampa dentata dell'acero
sguazza negli angoli tondi,
e con le ali delle farfalle
si possono decorare muri.

Esistono vive moschee,
e solo adesso ho capito:
siamo forse una Hagia Sophia
con occhi innumerevoli.
(da "Quasi leggera morte" di Osip Mandel'štam)

Mi devo proteggere, ho pensato svegliandomi dall'incubo, io sulla soglia della cantina di una casa, nel sogno casa mia, e che guardavo la catasta umana, corpi su corpi di naufraghi migranti, ancora impanati di sale e sabbia, avevo davanti una gamba, una mano, un vecchio mobile, tutti scarti. E la voce che non usciva.
Mi devo proteggere, ho pensato sentendo la radio le notizie, un decreto approvato all'unanimità, ancora negli occhi la mia tragedia-istallazione e il latte che si raffreddava, mi devo proteggere.
Lo faccio con i versi di un poeta che custodiva le sue poesie nel cuscino, nascondiglio domestico che salvò le sue parole lucenti come smalto dalla censura e dall'oblío.

e solo adesso ho capito:
siamo forse una Hagia Sophia
con occhi innumerevoli.






giovedì 20 settembre 2018

Il quotidiano lancinante


In questa cucina invasa dal vapore
non ho un viso e tantomeno un nome.
Svuoto le buste della spesa senza mettere ordine davvero.
Salgo su uno sgabello, prendo dallo scaffale più alto
un barattolo di sugo. Il gatto sale con me
si ferma su un gradino.
Guardiamo in basso insieme
per contemplare il nostro purgatorio:
resti da cucinare, immondizia, piatti da lavare
ma la luce che filtra dalle scale
basta per acquietare le nostre anime tremanti di animali.
("Te lucis ante" di Antonella Anedda)

Quando esce l'ultimo libro di poesie di un poeta amato sono euforica, posso aggiungere un altro tassello alla mia storia. Leggendo Antonella Anedda, il suo quotidiano lancinante diventa il mio, quelle buste della spesa, lo sgabello, i piatti da lavare, tutto mio. Metto in ordine me stessa immersa nella luce aneddiana, fosca e dorata, polverosa, che lentamente avvolge. 
Te lucis ante cantavano a sera i monaci benedettini affinché gli incubi non assediassero i loro corpi dormienti, Te lucis ante ripete Anedda sussurrandomi all'orecchio, come una mistica che sa della mia giornata.






mercoledì 12 settembre 2018

Primo giorno di scuola


Negli azzurri mattini 
le file svelte e nere 
dei collegiali. Chini 
su libri poi. Bandiere 
di nostalgia campestre 
gli alberi alle finestre.
("Scuola" di Sandro Penna)

Rimettendo a posto la libreria sono spuntati i miei manuali scolastici. Sono quelli lassù, messi in orizzontale sul ripiano meno accessibile, roba vecchia conservata per miei oscuri sentimentalismi, sostegno precario di libri venuti dopo. Hanno nomi gozzaniani, Guglielmino, il Villari e il Petronio, Castiglionimariotti detto tutto insieme, e sono squinternati, mezzi rotti, anche lo scotch si sbriciola e i loro autori sono tutti morti. In questa settimana di settembre, li ho tirati giù con l'intenzione di rileggerli anzi, alcune pagine, quelle intonse, quelle non scarabocchiate, finalmente, le leggerò per la prima volta, scolara vecchia al suo ennesimo primo giorno di scuola.


(Le addizioni)

giovedì 6 settembre 2018

Ku


Un mangiatore di cachi
che amava gli haiku
così bisognerà ricordarsi di me
(Shiki 18631-1902)

Se dovessi sintetizzare tutti questi anni di lavoro al Festival di Mantova per Fahrenheit in solo tre ricordi, tre come i tre ku di uno haiku, penserei subito alla chiacchiera seduti sugli scalini con Roberto Saviano prima del suo incubo, al saluto affettuoso, rubato con gli occhi, tra due giganti come John M. Coetzee e Toni Morrison nella hall di un albergo, e al grande poeta irlandese Seamus Heaney che, come un qualsiasi attempato turista, si rinfrancava dal caldo mantovano seduto insieme alla moglie a un tavolino di un bar prima del suo indimenticabile reading di poesie. 


(Ku-ore a Mantova)