mercoledì 27 giugno 2018

Ailanto, verde musa



Ailanti, verdi muse,
voi germi di un’estate
che trabocca dai parchi,
versati nel costato
delle muraglie, ailanti,
lance bronzee
su strade spoglie,
arbusti intrusi
delle boscaglie
sempre in agguato
tra le siepi ordinate
celati, flessuosi
nei bei giardini,
coi rami agili
ailanti clandestini


In un pomeriggio come quello di ieri, lontana da radio e dirette, ho conosciuto l'Aylanto. 
E' successo mentre mi trovavo nei dintorni di Piazza Vittorio, nella gelateria dai soffitti alti e i tanti tavolini di ferro battuto, quella con il lungo bancone, multicolore come gli avventori, dentro quel "palazzo del freddo" che si chiama Fassi e da 130 anni rende più fresca l'estate ai romani.
Ho scritto sul telefonino "chi conosce quest'albero?", ho aggiunto la foto e in tanti mi avete risposto: è un aylanto.
Ora so che questo mio albero amato, fronzuto, e che quindi frònzola davanti alla mia finestra, viene dalla Cina e che il suo nome vuol dire letteralmente albero del Paradiso perché pare lo arrivi a sfiorare tanto cresce in fretta, e in altezza, in pochi anni. E' molto resistente, ha bisogno di poco e sta bene ovunque e, orrore orrore, infesta e minaccia le nostre piante, la nostra flora autoctona, qualcuno scriveva allarmato. Chi postava foto, chi versi, chi micro lezioni di botanica resistente.
Mentre compulsavo il telefonino e rispondevo, la ragazza al bancone serviva il gelato a due bambini cinesi che con i genitori parlavano appunto cinese e con lei un perfetto italiano. Il loro gusto preferito era il mango, con molta panna però, e ricambiavano con un grazie sussiegoso non appena il cono arrivava tra le loro manine, aggiungendo un piccolo cenno della testa in modo grato. Altre due ragazzine, cinesi anche loro, più grandicelle, che somigliavano alle mie nipoti avvolte com'erano da quella tipica stupidera adolescenziale che le faceva ridere per qualsiasi cosa, anche per uno sgocciolìo al pistacchio sulla maglietta, parlavano tra loro un perfetto romanesco, proprio come Martina e Veronica, uguale uguale, e mi facevano riflettere su tutte quelle baggianate sul non volersi integrare dei cinesi arrivati qui, sulla loro esigenza di fare massa compatta e inespugnabile eccetera eccetera. Balle, se solo le osservavi mentre leccavano il loro gelato, balle. Per capire bene l'italiano, e soprattutto gli italiani, un cinese ha forse bisogno di una generazione in più, pensavo, e la chiacchiera di queste due potenziali nipoti cinesine confermava la mia tesi. Per loro cioccolato fondente e frutti di bosco senza panna, che dopo devono andare a una festa.
L'Aylanto, l'albero infestante che preoccupa molti amanti del verde per la sua capacità invasiva, mi dite. L'Aylanto, che arriva da lontano  e ci fa ombra con le foglie morbide come pezzi di seta verde, ormai fa parte del nostro nuovo panorama urbano, rispondo. Mi è familiare e se lo intravedo, o ne ascolto il fruscìo setoso, mi sento a casa. 

(flora e fauna)



mercoledì 20 giugno 2018

Giornata del Rifugiato


Seppellirti è
poi mangiarti
nella terra

portarti a casa
nei capelli come
polline
(Elisa Biagini)


Ieri ho portato a casa due piante acquistate la mattina al mercato. Resisteranno al viaggio in motorino, all'attesa in redazione, a un altro viaggio in motorino, sempre più spettinate, i chicchetti di lavanda nel vento, i fiori dell'ibiscus che raggrinzivano, resisteranno? Scegliendole immaginavo il mio balcone un po' più estivo, più ottimista, e sistemandole nei vasi mi sono sentita come l'omino di Mordillo che annaffia il suo centimetro di verde nella vignetta grigia. 
Ci ho provato a sognare una cosa bella tipo un giardino, ci ho provato anche ieri nel giorno delle grida dei bambini al confine messicano, ci provo anche oggi. 


(censimento amato)

martedì 19 giugno 2018

Ti guardo come fossi un tuo ritratto

"Ti guardo come fossi un tuo ritratto
gli occhi fermi ai tuoi occhi, da quest'ora

di pioggia e vento forte che non smette.
Cerco parole che non ci saranno

a dire quel che voce non può dire,
quel che si tace solo per paura

d'essere come siamo, al nostro meglio,
specchio d'un sogno che può farsi vero"
(Francesco Scarabicchi)


La raccolta "L'esperienza della neve" ha una sezione che si intitola "Missive" da cui estraggo questa lettera poetica. La invio ai rom, ai sinti, ai camminanti. Chi legge, sostituisca a sogno, la parola incubo. Otterrà il mio stato d'animo.


(un programma politico)





  

lunedì 18 giugno 2018

Che tempo fa


Io non so cantare lo zelo
della formica immortale.
Più vicino alla mia sorte
è lo stridore della cicala
che trema fino alla morte.
nel tempo mio diletto
mi confidavo a quell'ira
insistente che mi assopiva
con la cicala nel petto.
Ora nello sfacelo
della mia giornata mi resta
un po' di polvere in pugno,
ma tanto vale la tua spoglia
che ancora risento quel melo
stormire e nell'aria di giugno
la tua allegria funesta
nascere dietro una foglia.
(Leonardo Sinisgalli)


Che bello ritrovarsi a metà tra la primavera che sta passando e il primo caldo estivo, in questo clima che per pochi giorni ancora sa di golfino. Starei tanto bene se non fosse per i bollori razzisti e le caldane populiste, per le raffiche fasciste che mi fanno sudare freddo, quel loro vento mefitico che sento di continuo nelle orecchie, nel naso e negli occhi. Anche se il panorama è bello. 


(nell'aria di giugno 2018)







venerdì 15 giugno 2018

Zeichen ha da ridire su tutto



Zeichen ha da ridire su tutto,
anche sulla mia casa, proprio lui!
che vive in una baracca da abusivo,
e non possiede nientedimeno che
il suo squattrinato snobismo (…)
Intanto va a girare la salsa
nel cesso, dove cucina, sempre
in omaggio alle sue strampalate
teorie dell’eterno ritorno.
Mi sollecita a scrivere su di lui,
ma vista la sua condizione
andrebbe raccomandato a un poeta
del realismo socialista.
Qualcuno bussa alla porta del cesso
cucina, urge un bagno;
Zeichen è tirchio con i sanitari,
crede che siano tutti dei Duchamp;
per la ragazza apre un’altra baracca
dove c’è un vero bagno con vasca,
che nega a se stesso e ad altri.
Zeichen sarebbe anche un bravo poeta
ma è troppo pigro per applicarsi.
(Dario Bellezza)


Lì abita un poeta, pensavo ogni volta passandoci davanti. 
Rompendo il mio personale incanto, ieri, nel tardo pomeriggio ci sono entrata in quella baracca da abusivo. Lo specchio anni quaranta, un pacchetto di MS, 3500 scritto a pennarello sul muro, uno zampirone a metà, lo scudetto della Lazio, un fiasco, i libri ordinati e i pentolini, la scopa, un manifesto, le torce, un walkman, gli occhiali.  
Li abitava Zeichen, ho pensato ieri, tra le sue cose. 


(Metafisica tascabile)





giovedì 14 giugno 2018

Il Ponte della Musica


Quella nuvola bianca nella sua differenza
insegue l'azzurro sempre uguale:
lentamente si straccia nella trasparenza
ma per un po' mi consola del vuoto universale.
E quando cammino per le strade
e vedo in ogni passo una partenza
vorrei accanto a me un bel viso naturale.


Mi piace molto camminare sul Ponte della Musica, proprio camminare intendo, non tanto passeggiare. E' un ponte che uso, ci attraverso il Tevere e raggiungo l'altra sponda per andare in redazione, quindi mi è utile, eppure nel farlo mi si appiccica addosso un'aria di vacanza, oziosa, come di una certa svagatezza che mi scolla dalle mie ubbie. E' come se lasciassi di là le mie preoccupazioni per raggiungere la calma dall'altra parte e viceversa al ritorno. Sarà per il legno che attutisce i passi, l'aria transatlantica o l'odore del fiume, sarà per gli incontri che faccio. Oggi un buddista sgranava il suo rosario, un modello posava per un fotografo, una tizia faceva ginnastica sul tappetino e due si baciavano.
Due che si baciano, su un ponte, si incontrano sempre.


(dentro una poesia)






  

mercoledì 13 giugno 2018

Parlare è facile



Parlare è facile, e tracciare parole sulla pagina
vuol dire, per lo più, rischiare poca cosa:
lavoro da merlettaia, ovattato,
tranquillo (perfino alla candela si potrebbe
domandare una luce più dolce, più ingannevole),
le parole sono tutte scritte con lo stesso inchiostro,
«fetore» e «fiore» per esempio sono quasi uguali,
e quando avrò ricoperto di «sangue» l’intera pagina,
lei non ne sarà macchiata,
o io ferito.

Capita dunque di provare orrore per questo gioco,
di non capire più cosa si voleva fare
giocandoci, invece di arrischiarsi fuori,
e di fare un uso migliore delle proprie mani.

Questo
è quando non ci si può più sottrarre al dolore,
quando il dolore somiglia a qualcuno che viene,
strappando il velo di fumo in cui ci si avvolge,
abbattendo uno per uno gli ostacoli, colmando
la distanza sempre più lieve – d’improvviso così vicino
che non si vede più che il suo muso più largo
del cielo.

Parlare allora sembra menzogna, o peggio: vigliacco
insulto al dolore, e inutile spreco
del poco di tempo e forze che ci resta.


Dedicato a chi dice che anche lui conosce un sacco di gente di colore, infatti mica è razzista, dice solo che i soldi per il telefonino dove li pigliano e che sono sempre eleganti e non fanno un cazzo dalla mattina alla sera.

(Il dolore somiglia a qualcuno che viene)