venerdì 3 maggio 2019

La fine di una vita sognata



Pace forse è davvero la tua
e gli occhi che noi richiudemmo
per sempre ora riaperti
stupiscono
che ancora per noi
tu muoia un poco ogni anno
in questo giorno
("3 dicembre" di Vittorio Sereni)



Vittorio Sereni, molti anni dopo la morte di Antonia Pozzi, scriverà questa breve poesia intitolandola “3 dicembre”, data del suicidio dell'amica, dove dolore e stupore paiono rinnovarsi ogni anno, in un ciclo continuo di sofferenza. 
Con oggi si chiude la piccola serie di appuntamenti radiofonici dedicati alla vita della poetessa alpinista, vita da lei stessa definita "vita sognata". Di tutte le cose che ho letto e riletto, sue e sulla sua figura, a colpirmi, al contrario di quello che si può forse immaginare, è proprio la vitalità di Antonia. In ogni suo testo sembra annodare il buio alla luce e lo fa con una tale forza caparbia da sorprendermi a ogni rilettura, come se quel suo gesto energico lo vedessi, lo potessi sentire. Una vita così amata da risultarle insostenibile.


    







giovedì 2 maggio 2019

Post Concerto del Primo Maggio



Io rimango (seh, seh)
Fino a quando (uh, ah)
Non accendo - no le luci (uh, ah)
E i bicchieri abbandonati
Sanno come ci si sente (seh, ah)
Ad essere come diamanti (oh)
Invisibili alla gente
La tua testa è un giga - ntesco centro sociale (come no, uh, ah)
E se per caso stanotte mi gira, io ci vado a dormire col cane (uh, come no, ah)
(da "Post Concerto" dei Coma_Cose)


Cronaca di un post concerto del primo maggio. 
Mi è rimasta in testa la canzone dei Coma_Cose, ancora adesso la canticchio, bellissima, come bellissimi erano quei due che sul palco sembravano così leggeri mentre rappavano Post Concerto proprio quando il concerto si svolge, come volavano oltre, lievi, su quel palco, coi loro bei movimenti a scatti, mani che reggono il microfono col gesto giusto, i pollici e i mignoli, quell'andamento perfetto da camminata in periferia che sa di grigio, tubi di scarico e metropolitana e sguardo da sotto la felpa, occhi aguzzi come una enne spruzzata sul muro, malinconici come graffiti quando dal treno te li lasci alle spalle. Pensavo e li guardavo, guardavo e li pensavo. Allargando il campo mi pensavo anche io, sono quella laggiù, sul divano, che si mordicchia un'unghia mentre l'immagine dei bicchieri che sanno come ci si sente a essere invisibili mi sembra così poetica che domani la cerco e la scrivo, e il mio piede va a ritmo e allora alzo il volume. Avrei voluto inghiottirci Roma con quei due ragazzi dal nome pazzo, Coma_Cose, che volavano, e spingerla in alto, disancorarla, alleggerirla fino a poterla soffiare. E trasportandola lontano l'avrei mandata post concerto, oltre, le avrei restituito i ventanni. E su quella Roma volante e bella c'è spazio per tutti, ci si può girare sicuri, nessuno viene aggredito dopo aver finito il turno di lavoro, magari tornandosene in bici verso casa con addosso la voglia di baciare la ragazza dicendole:  
আমি তোমাকে ভালোবাসি  (ti amo in bengalese)    


(dedicato al ragazzo massacrato ieri)



mercoledì 1 maggio 2019

Le vite dietro una foto


Chi mi parla non sa
che io ho vissuto un’altra vita –
come chi dica
una fiaba
o una parabola santa.
(da "La vita sognata" di Antonia Pozzi)

All'università Antonia Pozzi aveva intessuto un'intensa amicizia con Dino Formaggio, il giovane e promettente studente di filosofia che un giorno diverrà il maestro di Massimo Cacciari. Sul retro di questa fotografia datata 1937 per l'amico, Antonia Pozzi scrive una dedica:
“È l’immagine più cara che ho di me, dove sembro più un ragazzotto che una donna e ho addosso e intorno tutte le cose che di più amo: i miei scarponi, il cappellaccio a fungo, la bella neve bianca, le pietre, il legno; qui è l’essenza, il midollo, la fibra viva e contrattile della mia vita."



martedì 30 aprile 2019

La vita (vera) di un poeta


Non monti, anime di monti sono
queste pallide guglie, irrigidite
in volontà d'ascesa. E noi strisciamo
sull'ignota fermezza: a palmo a palmo,
con l'arcuata tensione delle dita,
con la piatta aderenza delle membra,
guadagnammo la roccia; con la fame
dei predatori, issiamo sulla pietra
il nostro corpo molle; ebbri d'immenso,
inalberiamo sopra l'irta vetta
la nostra fragilità ardente. In basso,
la roccia dura piange. Dalle nere,
profonde crepe, cola un freddo pianto
di gocce chiare: e subito sparisce
sotto i massi franati. Ma, lì intorno,
un azzurro fiorire di miosotidi
tradisce l'umidore ed un remoto
lamento s'ode, ch'è come il singhiozzo
trattenuto, incessante, della terra.
("Dolomiti" di Antonia Pozzi)


Si è portati a pensare che i poeti siano stati, anche in fasce, anzi per loro la giovinezza non è contemplata, vecchie persone ombrose, quando va meglio bizzarre, dai calzini sopra le scarpe e il rossetto sbafato. Antonia Pozzi, con la sua energica e disperata potenza, smentisce queste pigre ricostruzioni tutte di comodo. Preferiamo pensare al "poeta" come a un saggio eccentrico, senza regole - e la metrica? e l'assonanza? e le parole stesse con i loro cancelli schiusi su significati possibili? e, ovvio, con l'alloro tra i capelli.
La vita di Antonia Pozzi assomiglia a una passeggiata sulla Grigna, la montagna da lei più amata. Coltiva la passione per l’alpinismo fin da giovanetta, fin da quelle vacanze trascorse con la sua famiglia a Pasturo, il paesino in provincia di Lecco che si trova ai piedi del massiccio dalla natura aspra e infida. D'estate, mentre in pianura è sereno, si creano correnti caldo-umide che si dirigono a Nord verso le Alpi e causano spesso improvvisi temporali; in inverno i venti soffiano forte su queste cime dalla roccia friabile, sospingendo con forza le nuvole verso la pianura a Sud. Il tempo, e i colori, cambiano da un minuto all’altro. Una vecchia canzone locale racconta del difficile rapporto tra l'alpinista e la Grigna attraverso la metafora dell'amante, lo scalatore, e la crudele amata, la montagna, e canta di tutti i morti caduti nel tentativo di scalarla.
Per infida che sia, questa montagna ha offerto ad Antonia paesaggi ed escursioni che hanno liberato la sua vena poetica.
Inizia a scrivere poesie dal 1929, a diciassette anni. Compone Dolomiti dopo la sua prima ascesa su roccia con la guida alpina Oliviero Gasperi.




lunedì 29 aprile 2019

La vita sognata



Verso sera fissavo l’orizzonte
Socchiudevo un po’ gli occhi, accarezzavo
i contorni e i colori tra le ciglia:
e la striscia dei colli si spianava,
tremula, azzurra: a me pareva il mare e mi piaceva più del mare vero.
(Antonia Pozzi)



Antonia Pozzi nasce il 13 febbraio 1912, è una bambina bionda e minuta. In una foto reperibile su Google immagini la vediamo a cinque anni in una nuvola di merletti. Una larga fascia di seta che le cinge la vita, il braccino appoggiato a un mobile elegante, i riccioli ben raccolti in una graziosa acconciatura. Quella ritratta è una piccola donna amatissima, sembra la gioia dei suoi genitori. E' figlia dell’avvocato Roberto Pozzi e della contessa Lina, una coppia di ricchi, e colti, proprietari terrieri ed è nipote del poeta e intellettuale Tommaso Grossi; la mamma parla perfettamente inglese e francese ed è lei ad infonderle l’amore per letteratura straniera. Quella di Antonia è un’infanzia dorata in una casa bellissima piena di libri, dove il pomeriggio ci si dedica allo studio e al ricamo, e il pianoforte suonato dalla mamma, rallegra le serate casalinghe.

Questi versi li scrive nel 1929, nove anni prima della fine del suo viaggio.

("Desiderio di cose leggere")
 i file audio, cliccando QUI.