Fu mio marito Fruri che in dono mi eresse la tomba,
degna corona della mia pietà.
Lascio in casa un coro glorioso di figli: la prova
della mia vita onesta è tutta qui.
Muoio monogama, in dieci viventi superstite: colsi
nuziale frutto di fecondità.
(Da Antologia Palatina - Anonimo "Fecondità")
Mi colpisce ogni volta la stessa cosa: la sovrapponibilità di sentimenti tra noi e gli antichi. Possibile che il vedovo Fruri soffrisse come soffre il signor Franco della scala A? E che in quella casa lontana, di arazzi affrescati e peristilio, secoli fa sia calata la medesima cappa di dolore, uguale a quella che avvolge l'appartamento del secondo piano? Quella vita onesta, fatta di quotidianità, gesti affettuosi, gusti, pieghe sulla fronte quando si sorride, piatti preferiti. Siamo umani calati nella stessa storia, tensioni e fragilità che si ripetono silenziose nei secoli.
Dell'Antologia Palatina mi turba un po' tutto, non certo il carattere licenzioso di alcuni epigrammi, tutt'altro, anzi, la libertà di quei sentimenti mi corrobora. Mentre scorro la raccolta - brevi descrizioni fisiche e micro paesaggi, lamenti funebri, prese in giro o dichiarazioni d'amore eterno - è come se mi ripetessi: Vedi Susanna, siamo quelli, quelli sono noi. In poche righe una vita intera, un essere umano che rivive, nelle sue zone d'ombra o di luce, ogni volta che leggo. E che, ogni volta, rivivo.
(Noi) |