lunedì 6 agosto 2018

Stessi pensieri


Fu mio marito Fruri che in dono mi eresse la tomba,
degna corona della mia pietà.
Lascio in casa un coro glorioso di figli: la prova
della mia vita onesta è tutta qui.
Muoio monogama, in dieci viventi superstite: colsi
nuziale frutto di fecondità.
(Da Antologia Palatina - Anonimo "Fecondità")


Mi colpisce ogni volta la stessa cosa: la sovrapponibilità di sentimenti tra noi e gli antichi. Possibile che il vedovo Fruri soffrisse come soffre il signor Franco della scala A? E che in quella casa lontana, di arazzi affrescati e peristilio, secoli fa sia calata la medesima cappa di dolore, uguale a quella che avvolge l'appartamento del secondo piano? Quella vita onesta, fatta di quotidianità, gesti affettuosi, gusti, pieghe sulla fronte quando si sorride, piatti preferiti. Siamo umani calati nella stessa storia, tensioni e fragilità che si ripetono silenziose nei secoli. 
Dell'Antologia Palatina mi turba un po' tutto, non certo il carattere licenzioso di alcuni epigrammi, tutt'altro, anzi, la libertà di quei sentimenti mi corrobora. Mentre scorro la raccolta - brevi descrizioni fisiche e micro paesaggi, lamenti funebri, prese in giro o dichiarazioni d'amore eterno - è come se mi ripetessi: Vedi Susanna, siamo quelli, quelli sono noi. In poche righe una vita intera, un essere umano che rivive, nelle sue zone d'ombra o di luce, ogni volta che leggo. E che, ogni volta, rivivo.


(Noi)




giovedì 2 agosto 2018

Acque chiare


C'è un momento in cui il corpo
si raccoglie nel respiro
e il pensiero si sospende ed esita.
Anche le cose
commosse dalla luna
subiscono il sospiro delle maree
o le flessioni dolci dell’eclisse.
E il legno delle barche
si gonfia nell’acqua delicato.
(da "Ora serrata retina" di Valerio Magrelli)

Sono stata a Chicago una sola volta e da quella saranno passati più di vent'anni. Eppure nel cervello, come incastrato in una di quelle misteriose condutture dove scorre la memoria, è rimasto qualcosa - ah, se potessi dire di tangibile! - che mi riporta laggiù. Vedo una strada alberata passare sotto una sopraelevata, un piccolo chiosco prima di una svolta in lontananza e alcune persone dall'aria appagata che chiacchierano sedute o al bancone. Tutto qui. Se ci ripenso, e mi capita spesso, (dovrei dire "se vi ricorro") è come se mi sentissi meglio. E so bene come ripescarlo, quel momento che galleggia nelle mie condutture mnemoniche, acque chiare, direbbe l'idraulico. Scorre insieme alla parete di un agriturismo a Ghè, alla pelle sottile della testa del mio cagnolino sotto le dita, alle arance piene di gelato, una meraviglia, era come se volassero. Il pantano fangoso e scuro continua a scorrere nel fondo, non lo vedo neanche. Dimenticare le cose tristi, una piccola fortuna. 


(dentro di me)





martedì 31 luglio 2018

Harvard

Nemmeno una nuvola
mi tolgo
il cappello di bambù
(Santōka 1882-1940)


Harvard. Ti abbiamo soprannominato così, con il nome di una delle università più importanti al mondo. Hai quindici, sedici anni? È da un paio di giorni che ti osserviamo, seduto lì, sulla tua sdraietta, all'ombra; quello che succede intorno a te sembra non interessarti. Che ti importa di chi gioca a palla o manda sms, di chi si unge per non scottarsi, di chi tira fuori dalla borsa-frigo il pranzetto da mare? È più importante quello che leggi, e ti vediamo, ci sei dentro tutto. 
Che leggi? Cosa mai ti sta avvinghiando, portandoti via da qui, da casa, lontano da tutti noi? Sei andato avanti da ieri, lo capisco dalle pagine rimaste.
Tutto intorno a te è bellissimo, Harvard. Rendi la vacanza di tutti noi bellissima. 
Cosa mai leggerai con quell'aria rapita, che ti fa accoccolare nella tua sdraietta, che ti fa tenere indosso la polo che sto bene così, mamma, e rimanere meravigliosamente seduto cn le gambe accavallate, all'ombra del pino. Harvard al tuo cospetto mi toglierei il cappello di bambù.
Harvard, ti amiamo!
Vorrei scriverlo con il fumo dell'aereo in cielo: We love Harvard.
Ragazzino con l'aria seria che sei altrove, ci rendi la vacanza ancora più felice. Ti ringraziamo in anticipo per quanto farai per l'umanità che domani avrà la fortuna di incrociarti, Harvard, noi ora ci prendiamo un caffè, a due passi da te. Il caffè è buonissimo, il mare luccica, la musica che esce dalle casse ci piace, nemmeno una nuvola, sotto il pino fa fresco e stasera ci faremo una pizza con gli amici. 
Ciao, Harvard, hai reso perfetta Barcola.


(Harvard University)

mercoledì 11 luglio 2018

Notizie


Musica dell'indifferenza
cuore tempo aria fuoco sabbia
del silenzio frana d'errori
copri le loro voci ch'io
non mi senta più
tacere.
("Silenzio" di Samuel Beckett)

L'ultima nave che ha tratto in salvo 106 naufraghi migranti si chiama Samuel Beckett.

(Aspettando Godot)









venerdì 6 luglio 2018

Al Ninfeo di Villa Giulia



A dirli di questi mesi sembra agevole
con il margine di rischio necessario
a chiamare la vita col suo nome:
primavera invocata tempestiva
fu tempesta, e in vista della terra
il naufragio balordo; giugno vissi
per rassegnarmi a perderti; è di luglio
la più cupa speranza di riuscire
a fare della morte un’abitudine.

Al Ninfeo di Villa Giulia ci sono stata la prima volta alle medie, una maestra appassionata di archeologia, la mia classetta che si sparpagliava tra le vetrine illuminate. Era una lotta dura, quella di quei dodicenni che premevano il naso davanti ai frammenti ossificati, a quel sarcofago di terracotta così simile a una grande scatola di biscotti, non pensavamo certo alla morte, non ci avrebbe mai riguardati. Vincevamo noi.
Ci sono tornata molti anni dopo. Sarà luglio, pensavo, sarà l'umidità che rende l'aria limacciosa e imperla la fronte di mio padre. Lo accompagnai, un invito per due da esibire all'entrata, non voleva andare, ci spinse mia madre, andate voi, accompagnalo tu. Lo fotografarono come facevano con chiunque, quell'attimo gira ancora on line, nei suoi occhi la consapevolezza di chi avrebbe vissuto solo pochi anni. Passammo una serata mogia, intorno a noi sorridevano tutti, e mangiavano, ricordo facce avvizzite e troppo truccate, il buffet assalito, il count down. Sembravano tutti addentro a qualcosa che né a me né a lui interessava, tutti così a proprio agio. 
Mi indicò un tipo dalla voce chioccia e la faccia un po' di rana che stringeva un piattino colmo di tocchi di parmigiano al petto, che strana idea con questo caldo, è un poeta, mi disse mio padre, si chiama Elio Pagliarani. Non mi disse altro, del tipo devi leggerlo o della ragazza Carla, mi disse solo quella frase: "è un poeta".

(premio)



    

mercoledì 4 luglio 2018

Gesti



Come fermare
l'acqua che scorre?
Sapore d'alghe.
(Takarai Kikaku 1661-1707)

Guardavo in tv il tuffo di Salvini. La piscina livida, il villone sottratto alla mafia da chi è per la legalità, le bracciate sotto i flash, il sorriso di chi è nel giusto. E il filo di adipe che fa tanto vicino di ombrellone, da uno come noi, con i braccialetti colorati ai polsi e che parla dei "bimbi" e si fa i selfie davanti agli spaghetti. 
Come fermare l'acqua che scorre? Non ho risposte. 

Nel tragitto casa - redazione, solo questa mattina, ho speso già ben cinque euro. Un euro al ragazzo che pulisce le strade, al venditore di fazzoletti, alla rom col ragazzino appeso al seno, al rumeno già sfatto di alcol mentre l'aria ancora sa di cappuccino. Gli occhi scuri di una ragazza nigeriana, di quelli che hanno visto di tutto, incrociano i miei. Lo so, lo so che è un gesto inutile, consolatorio e anche ipocrita e addirittura scriverne, che tristezza, dove sono arrivata. 
Un euro per chiedere scusa, per farglielo capire, per incrociare quegli sguardi e reggerli, per tentare un sorriso, una qualche vicinanza. Tutte cose che servono a me, solo a me, sia chiaro.   

(nella melma)

domenica 1 luglio 2018

Moscerini danzanti


L'uomo in bicicletta
diretto alla spiaggia
il sacco di patate e la spesa
(Marino Magliani da "L'esilio dei moscerini danzanti giapponesi")


Marino Magliani percorre il difficile crinale letterario tra poesia e prosa con naturalezza e originalità, procedendo con minime variazioni di tono che qui prendono la forma di paragrafi; tra una e traiettoria e l’altra, gli spazi bianchi sono brevi soste durante il cammino.  La narrazione stessa sembra seguire il movimento dei moscerini del titolo, appare, si accavalla, vira all’improvviso,  si interrompe per poi ricominciare.
Appunti di viaggio che diventano un’autobiografia che diventa poesia. Chi sia questo viaggiatore, da dove viene o dove vada, non è importante, a colpire il lettore è l’umanità che si respira, il carico di sofferenze portato come un basto, la malinconia di un arrivo dopo anni, lo strappo di una nuova partenza. 
La retorica del viaggio, con il suo corredo di nostalgia e folclore, nel soliloquio di Magliani non trova posto, e questa sua sospensione stilistica, geometrica come il volo dei moscerini, e gli interrogativi che suscita in chi legge, rendono “L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi”  un volumetto prezioso di ciò che l’autore stesso definisce, a ragione, “proesia".