lunedì 29 gennaio 2018

Pic-nic


Questo cielo lo chiamo firmamento
E cade su di noi soffice soffitto
Senza ganci o tiranti, come telo
Di un circo che smonta
E lascia a terra briciole soltanto,
Stelle esauste. Ma quante,
Piccola volpe apparsa tra gli abeti!
Ci hai stretto nel cerchio dei tuoi passi
Affamati, hai disegnato un raggio
Lungo il quale sei giunta fino a qui
Alle nostre mani e nel buio
Soltanto l'argento della tua coda.
(L'ospite naturale di Roberto Deidier)


Non so perché, e fa pure freddo, ma ho nostalgia del pic-nic.
Personalmente, poi, mai fatti, o molto pochi, insomma, non in un numero tale da divenire abitudine o da creare ricordi struggenti. Eppure.
Prima di tutto mi chiedo, ma si fa ancora il pic-nic? Riempire la cesta di vimini con tupperware che schioccheranno a ritmo di pasta al forno e affettati, si usa ancora?  
Nella mia testa svolazza la bella tovaglia a quadrettoni, da una parte il thermos per il caffè (che meraviglia, ci voleva!) e i piatti e i bicchieri infrangibili. Attento alle formiche, quello è il coltello del salato, spostiamo la sediolina più all'ombra.
Piccola volpe apparsa tra gli abeti!
Amerò sempre il pic-nic.


(posto giusto)

venerdì 26 gennaio 2018

Giorno della Memoria


Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
comprano cibi e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle
che spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada nessuno ti è accanto.
Se hai paura nessuno ti prende la mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono, comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra
e guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena.
Allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre:
è deserta la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.


Il mio modo di pregare è fatto di vari modi di pregare. Fra questi uno è leggere con più attenzione possibile, con metodo, con cura, i nomi incisi sull'ottone delle pietre dell'inciampo sul marciapiede.
Li sillabo, quei cognomi, e le date e i luoghi di nascita, e poi di morte. I giorni conclusi in luoghi sinistri, passati lontano dal portone che vedo qui davanti, chissà se quel negozio c'era, all'epoca, penso, chissà. A un passo da me il portone che sa di casa, di calore e di affetti. Di abbracci, ancora adesso.

Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
Solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle
Che spezzavano il pane e versavano il vino.

E' un modo di pregare, la sosta davanti a queste piccole lapidi dorate. Anche se vado di fretta ci spendo un momento, scanso un mozzicone, una foglia, tento di ricordare almeno un cognome per ripetermelo tra me e me per qualche passo ancora. 


giovedì 25 gennaio 2018

Pensi davvero che basti non avere colpe?


Pensi davvero che basti non avere colpe per non essere puniti,
ma tu hai colpe.
L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri,
basta sfregare leggermente.
Dai mattoni salgono respiri, brandelli di parole.
Ferri di cavalli morti circondano immagini di battaglie
Le trattengono prima che vadano in un futuro senza cornici.
Cosa ci rende tanto crudeli gli uni con gli altri?
Cosa rende alcuni più crudeli di altri?
Le crudeltà subite e poi inghiottite fino a formare una guaina
con aculei sul corpo ferito?
O semplicemente siamo predestinati al male,
e la vita è solo fatta di tregue dove sostiamo
per non odiare e non colpire?
(L'aria è piena di grida di Antonella Anedda)


In nome della trasparenza sono stati riversati nella fogna mediatica tutti i nomi e tutti i cognomi. E gli indirizzi. Padri degeneri, professori sospetti (pedofilia?), produttori e attori ritratti nella medesima posa. Colpe, acclarate o presunte non importa perché nel mondo dove Weinstein è uguale a Spacey che è uguale a quello che venti anni fa mi ha battuto i pezzi, le acque chiare si mescolano a quelle nere.
L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri,
basta sfregare leggermente.
E mentre i vicini di casa dicono al microfono sembrava-tanto-una-brava-persona, tutto viene copiato, incollato e pubblicato con un click. 
E con un click, poi, ci si ammazza.


(verso la fogna)


mercoledì 24 gennaio 2018

Il tempo in fumo


Io cammino fumando
e dopo ogni boccata
attraverso il mio fumo
e sto dove non stavo
dove prima soffiavo


Quando mi capita di incontrare i figli dei miei amici, gli amici conosciuti quando avevo, e avevamo, l'età dei ragazzi che vedo ora davanti a me, succede che io cerco sempre nei loro sguardi qualcosa che non trovo. E che loro non mi riconoscono. 
E' solo dopo, appena svoltato l'angolo, che capisco che io... sto dove prima soffiavo


(nel fumo)

martedì 23 gennaio 2018

Uccisioni


Qualcuno esitò davanti all'interruttore,
ma poi colpì egualmente per un brusio
di giornate in cucina
ancora e sempre un'elegia di greggi
che il veleno tuttavia distingue.

Era questo, con stile di quiete, l'odio

e i mille atomi dell'arteria che aspettava
l'uccisione né rapida né dubbiosa né altro,
ma la pura uccisione senza orme:
in un candore di primavera si agitava il corpo.

Così continua la storia e tu hai il sospetto

di un'altra volta: millenni
incrostati nella resina, popoli
che riempiono la pelle, la pattumiera, l'incubo
delle mani, quando il sonno
le abbandona vicino al fossato.
(L'uccisione di Milo De Angelis)


Sul suicidio dell'uomo accusato di aver abusato della figlia.

(A pezzi)




lunedì 22 gennaio 2018

Il re della quattro formaggi


Come frecce scoccate
da un ludico arciere
che non ha sempre
per mira un bersaglio, bensì
la bellezza d’una traiettoria,
sorvoliamo lo spazio degli anni.
Nella permanenza in volo
ci viene meno l’orientamento,
siamo oggetto di lanci sbagliati
e privi di verosimile obiettivo.
Dove, dove cadremo? 
Così senza onore.


Il sor Franco, da una cinquantina d'anni vecchio leone della meglio quattro formaggi del quartiere, sbatacchia pensoso nel perimetro della sua gabbia dorata: il risto-pizzeria inaugurato da pochi giorni con classico invito social. Un locale di antica fede giallo rossa, quello del sor Franco, a proposito, dov'è finito il televisore per le partite? E il quadro col pagliaccio triste e la veduta romana? E le foto di Gigi Proietti e Sabrina Salerno che ammicca, quella con Alberto Lupo e Franco giovane, in posa con la star. I cuori sotto l'autografo.
Quanto pagherebbe, il sor Franco, per una comanda vecchio stile da matita sull'orecchio e blocchetto, o quella da vero virtuoso tutta a memoria - una quattro formaggi, due cacio e pepe, una napoli e una marinara senz’aglio, una margherita, cinque medie rosse alla spina e una coca - invece di quel tablet luminoso collegato al corner-cassa!
"Vedo che avete cambiato qualcosa" sibilo.
"Già... e mo' ce so i miei figli” si stringe nelle spalle. “Hanno preso il locale loro, io è meglio che me riposo. E poi c'ho mi' nuora che fa l'architetto..."
E sparisce di nuovo, inghiottito dalle mangrovie del bosco verticale sulle pareti.
Un giovane cameriere hipster attacca la sua danza di birre artigianali intorno al nostro tavolo, Mauro ed io, seduti, sorvoliamo lo spazio degli anni e scorriamo il menù.


(tocco vintage)

venerdì 19 gennaio 2018

Non gioco più


Amo il sole basso
sui campi spogli
nel palmo della mano
(Yamaguchi Seishi 1901-1994)


Fino a dieci anni fa il mio piccolo divertimento era quello di controllare, in spiaggia o in treno, cosa leggesse il mio vicino. Guardavo i titoli con aria finto distratta ma mentalmente li registravo facendo sondaggi e micro scommesse tra me e me. Una lombrosiana somiglianza tra viso e titolo? Quanti Faletti nel vagone? Cavoli, un Philip Roth vuol dire che la giornata sarà fortunata oppure questo qui, mai letto, magari lo recupero... insomma, cose così. 
Oggi che il mondo scorre nel palmo della mano, ho dovuto cambiare gioco. Ora scommetto se sono più quelli su FB o quelli al video gioco, al massimo mi improvviso cronista al derby visione-mail contro gruppo-uozzapp.
Ma il gioco nuovo mi ha stufato. In classe può entrare il telefonino, e se ne fa pure dibattito, gli alunni uozzappano con i prof (che tristezza!) e i loro genitori, che si lamentano dello sguardo pallato del figlio sullo smartphone, stanno sempre collegati. 
Come un orango di Sumatra o un lemure, continuo comunque la mia resistenza: mi porto un libro in borsa da tirare fuori in modo improvviso. E sovversivo. 

(Cartonati)