venerdì 30 giugno 2017

In viaggio con Santōka

In profondità io vado
In profondità io vado
Montagne verdi
(Santōka 1882-1940)

La circolarità di un cammino che non ha meta se non il cammino stesso, le montagne eternamente uguali nei secoli, il peso di un senso di colpa che diventa universale. 

Domani parto. Vado a Bergamo, non ci sono mai stata!, per presentare il mio libro su Santōka. 
Sono ospite di un festival di viaggi nel cui programma spiccano esploratori, esperti camminatori, persone che hanno girato il mondo. Ma lo sanno che non ho slides da mostrare con il K2 o esperienze estreme a cui fare riferimento? Porto poche cose, viaggio leggera come Santōka. Non so se sono proprio una viaggiatrice, di foto ne ho fatte tante e a alcune sono anche nel libro, ma tendo a viaggiare da ferma. Spero che valga.
Intanto, sul suo diario, Santōka scrive:

28 febbraio 1932 
Tutti i giorni brutto tempo; oggi di nuovo a chiedere l'elemosina nella neve.
Forse è troppo dire che qui le strade sono le peggiori di tutto il Giappone, ma sono di sicuro straordinariamente fangose.
Le porte dei negozi infangate, i passanti infangati.
Le suole di gomma dei miei tabi da lavoro affondano e procedere è veramente molto dura.
Però la zona è piena di rivendite di sakè e quindi il suo prezzo è molto basso.
Esattamente il posto per uno come me!

Santōka è il più diseredato dei poeti zen, il più solo e povero, colui che aveva sbagliato tante volte e che ha perso molti treni in vita sua. E colui a cui penso quando vedo un uomo disperato, senza lavoro, senza casa o qualcuno biascicare qualcosa che nessuno capisce e poi si butta in un angolo.
Santōka ci ricorda che la pratica ascetica e, infine, anche la letteratura, non sono patinati. Non "vendono" molto. Che il buddismo non si pratica dalle 18 alle 20 in una palestra esclusiva, non veste alla moda. È per pochi, spesso mette a disagio e puzza di umanità.
Senza quiete, camminava per chilometri e chilometri su e giù per il Giappone consumando i suoi tabi, i leggeri sandali in paglia dei monaci. Viveva di elemosine e dormiva dove capitava. San-to-ka che significa "alta cima fiammeggiante", a dispetto dl suo nome altisonante dormiva spesso per terra, sotto le stelle e con i grilli. Si ubriacava di sakè per riprendersi dalla fatica esistenziale, dai fallimenti professionali, dalla stanchezza fisica, dalla solitudine. Osservatore delle piccole cose quotidiane come foglie, lucciole, un pugno di riso, una mosca, una pozzanghera, le annotava in forma di haiku sul suo diario.
Nel suo cammino Santōka ci ha lasciato versi trasparenti e universali.
Personalità caratterizzata da una tensione psicologica strettamente novecentesca, di colpevolizzazione e fallimento, Santōka scrive nel suo diario che "la fede è l'origine, lo haiku la sua espressione. Per questo devo camminare, camminare, camminare fino a che non arrivo".
Forse questo mio libretto, la traduzione del diario e dei suoi haiku, il dialogo che ho immaginato tra noi due, averlo come calato tra le mie cose, nella mia quotidianità, dentro l'esperienza di Radio3, ha prolungato di un po' il suo viaggio. Mi piace pensarlo. 
E anche il mio, di viaggio, è sicuramente diventato più bello.



(Unpof)

giovedì 29 giugno 2017

L'arca del mare



Spacca la melagrana
e scarta la scorza che allappa
tinge di nero le dita
e smorza i bottoni delle papille
schiaccia e succhia la frescura rubina

i grani della vita
sono di grana fina
e se ne apprezza il sapore
con forte dentatura

rinegozia l’esistenza
e restituisci al corpo il suo sudore
il suo ardore

non lasciare
che a fare da mantice al fuoco
resti sola e senza fiato
poi che opprime il costato

corri all’arca del mare
a scovare la ricchezza del corpo desviato
e placare il rimorso della siccità
nell’onda che s’azzuffa e si bacia e t’inonda

schiumando di fierezza
("Spacca la melagrana" di Jolanda Insana)



Come un arca del mare
Come una ninna nanna funebre per un bambino senza vita. Come un presepe dove non nasce nessuno, un presepe all'incontrario.
Nell’onda che s’azzuffa e si bacia e t’inonda tra le seicentosettantatre persone sbarcate a Pozzallo, in Sicilia, il corpicino di un neonato. (notizia QUI)

(Agave morente)






mercoledì 28 giugno 2017

L'arrivo di Saturno


Così dunque si muore,
tra bisbigli,
che non si sa afferrare.

"E dopo?
Dopo, semplicemente,
la vana solitudine del sogno"
(da "Il prato bianco" di Francesco Scarabicchi)




Secondo me questo è un libro sul tempo. 
Sì, anche sull'amicizia, sul terrorismo, sulla militanza politica, sul giornalismo d'inchiesta e su tutti quei buchi neri che ancora costellano la nostra Storia come sospesi in un oscuro planetario, ma è soprattutto un libro sul tempo. Ne sono convinta. 
Un romanzo sull'attimo giusto, "quello", irrimediabilmente perso, e sul tentare la ricostruzione di un momento; una frase non detta, l'abbraccio non fatto, l'appuntamento chiarificatore mai combinato. 
E dopo? chiede il poeta. 
E dopo si va avanti. Tutto qui. E falso e verità si impantanano, e gli anni, uno dopo l'altro, pesano prima sulle articolazioni, poi sui riflessi e infine sulla memoria. 

Loredana è una ragazzina sopravvissuta agli anni settanta senza portarsi la polvere grigia dell'ideologia ancora addosso, forse è l'unica che conosco, di quella generazione, a essere così ben disposta verso il resto del mondo.
Loredana lo batte, il tempo, si vede da come si veste, da come fuma, da cosa e come legge. E' come una sedicenne che si affaccia alla vita - ha sempre un po' paura, lo ammette lei stessa - e che qui prova a ricomporre il suo vaso rotto in mille cocci; se manca un frammento, basta un filo di oro zecchino da colare in quello spazio vuoto, e il vaso tornerà come prima. 

E dopo?
Dopo, semplicemente,
la vana solitudine del sogno








  
       

martedì 27 giugno 2017


questo è tutto
per ora
in questo momento
è come se
fossimo già invece siamo
appena
e ciò che è
più strano è
che uno non se
lo immagina bene
dove potrebbe
essere arrivata
la lunga attraversata
(da Ipocalisse di Nanni Balestrini)



A Ventotene ho conosciuto Calham, il ragazzo della colazione. 
Calham prepara cappuccini e caffè perfetti, con la schiuma morbida, e serba una piccola battuta gentile quando li porge, tipo "Bello tempo eh", "Caldo ufff" con il cenno di sventolarsi, o "Caldissimo cappuccino per lei!", facendo l'occhiolino come a intendersi. 
Usa una lingua impastata di accenti, un po' di bangladesch, di cui conserva la cantilena morbida ma schioccante ogni tanto in bocca come una nacchera invisibile, un po' campana e con quell'anticchia di romano, giusto quando vuole dire, e dire soprattutto a se stesso, "a me non la si fa!"
Calham che mi sorride, e ne conosce cinque di lingue, anche il giapponese che mi ha detto di aver imparato a scuola, laggiù in Bangladesch, anche se, sospira, è difficile ricordarlo bene perché una lingua se non la parli la scordi, ma conosce un po' di arabo, di hindi, l'inglese, l'urdu. E il francese.
Vive a Ventotene, un'isola piccola, poco abitata d'inverno e piena di turisti d'estate.
Calham è la risposta alla destra che avanza, sorda e asfaltante.
E' la risposta a Trump, a quell'idea reazionaria di radici che ancora ci portiamo appresso.
Calham fa della gentilezza e della cura che mette nel suo lavoro, una pacifica lotta per la sopravvivenza. Anche nostra.


questo è tutto
per ora
in questo momento
    


(la lunga attraversata)



sabato 24 giugno 2017

Haiku x Ventotene

Santōka nacque a Sabare, un minuscolo villaggio dell'isola giapponese di Honshū, isola che attraversò tutta, per un pellegrinaggio esistenziale faticoso d'inverno come d'estate.
Ma che c'entra il mio amico Santōka, il poeta giapponese, monaco eccentrico e solitario, con questo posto? 

Nel vento
mi rimprovero
e cammino
(Santōka 1882-1940)

Ventotene, bel nome, rimugino. E che mi suona dolce come la sua parlata, ibrida di Lazio e Campania insieme, "Vento-tene", forse l'isola "téne il vento".

(Nel vento)




mercoledì 21 giugno 2017

Solstizio d'estate


E cresce, anche per noi 
l'estate 
vanitosa, coi nostri 
verdissimi peccati;

ecco l'ospite secco 
del vento, 
che fa battibecco 
tra le foglie della magnolia;

e suona la sua 
serena 
melodia, sulla prua 
d'ogni foglia, e va via

e la foglia non stacca, 
e lascia 
l'albero verde, ma spacca 
il cuore dell'aria.
("D'estate" di Carlo Betocchi)


Oggi primo giorno d'estate, l'estate vanitosa. Ed è anche il primo giorno di maturità, esame a cui la sinistra del PD, con il suo arcipelago di minoranze tutto da scoprire come fosse una meta estiva, si sta preparando da mesi.

(il cuore dell'aria)








martedì 20 giugno 2017

Lo ius soli spiegato da Giulia


(...)
Intanto i piroscafi che dividono orizzonti dichiarano
Noi perduti;
Trovati solo
In opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli;
Trovati nel riflesso blu di occhi
Che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici qui
(...)
(da "Preludio" di Derek Walcott)


Metropolitana domenica pomeriggio, sulla banchina. Nell'attesa, guardavo le teste di capelli che avevo vicino. Contavo due zazzere, quattro del tipo imbrillantinato, tre crespissime contro due liscissime e spioventi, una nascosta da un velo con perline rosa e una dal berretto con la visiera girata dall'altra parte. Insomma, una babele di teste, tutte diverse e tutte in movimento. 
A un certo punto avverto la sensazione che qualcuno mi stia fissando. Dove sei, chi sei tu che mi guardi e non favelli? E soprattutto, da dove mi raggiungi con questo piccolo laser di occhi insistente, che continua a pungermi da dietro? 
Non lo sapevo ancora che appartenessero alla più grande esperta di leggi e diritto, specializzata con il massimo dei voti. No, non lo sapevo ancora che erano di Giulia.
Insomma, sento di nuovo quel laser di occhi, mi giro e, ad altezza testa, non vedo nessuno. Abbasso lo sguardo e finalmente li intercetto! Sono nerissimi e appartengono a lei. Sì proprio a quell'espertona di diritto internazionale di cui vi accennavo che, sotto due ciuffetti infiocchettati e poco più su della bocca minuscola a forma di cuore cicciotto, continuava a fissarmi con quelle due biglie nere dal basso del suo passeggino. Serissima. 
La mamma, una giovane signora filippina dall'accento romano, aggiustandole un fiocchetto, risponde al mio sorriso e orgogliosa: "Lei è Giulia!". 
"Ciao Giulia, come sei bella. Complimenti signora!"
Giulia continua a fissarmi, immobile, se possibile ancora più seria di prima.
Cosa pensi mai, Giulia? No! Non dirmelo, stamattina volevi telefonare anche tu a Prima Pagina e rispondere al giornalista! E raccontare a gran voce la tua esperienza in materia di ius soli, esperienza che dura da sempre per te - quanti saranno, sei mesi? - e che tua madre si sente italiana, infatti ha la cittadinanza, e che ha fatto mille pratiche, ma che tu sei italiana e basta. Che lo capisci, l'italiano, e che un  giorno lo parlerai da dio e che, sempre un giorno, saprai telefonare a tutti. Ora osservi solamente, ma un giorno, farai un sacco di cose e cucinerai una pasta per primo piatto, col sugo e il basilico, e quel buonissimo secondo di verdura e carne che ti diceva tua nonna. E che le tradizioni uno ce l'ha in testa, come morbidi fiocchetti, e che non sono cappi e che le radici sono dove siamo, caro signor giornalista, volevi dirglielo ma vabbè, e che sono aeree, come quelle di una pianta bellissima che vive nelle Filippine e che ora non sai ancora bene come si chiama ma un giorno sì che lo saprai e che, sempre un giorno, li visiterai tutti quei posti di nonna per poi ritornare a casa, dove ci sarà chi ti aspetta, perché di sicuro, Giulia, uno che ti aspetta, e perde la testa per te, lo trovi. Sicuro.

(Le mie radici preferite)