venerdì 5 maggio 2017

Ci facciamo una pizzetta?


Del mare e della terra faremo pane,
coltiveremo a grano la terra e i pianeti,
il pane di ogni bocca,
di ogni uomo,
ogni giorno
arriverà perché andammo a seminarlo
e a produrlo non per un uomo
ma per tutti,
il pane, il pane
per tutti i popoli
e con esso ciò che ha
forma e sapore di pane
divideremo:
la terra,
la bellezza,
l’amore,
tutto questo ha sapore di pane.
("Ode al pane" di Pablo Neruda)




Un tempo lontano lontano, quando i nomi dei negozi del corso della mia città non ammiccavano a esotici bistrot, quando le fioriere con il bosso, potato a sfera, non erano alte come un cristiano, quando il bio non era un dio e quando le lavagnette le usavamo in classe e non per scriverci sopra "lo chef consiglia"...



Invece, entro in una storica pizzeria romana appena rinnovata. 

Il putiferio estetico mi annienta. Pochi secondi e mi lancia dal quartiere Prati, dove siamo, a Dubai. O in Texas o a Parigi, o a Mosca, non importa.  
Tra il lusco e il brusco - cordoli elettrici penzolano dal soffitto in cementite, spatolato, effetto nuvola - il sor Franco, vecchio proprietario, si aggira. Incespica? No. Tutto a posto. Sparisce tra fioriere luminose puntate su arazzi fono assorbenti, fortemente, fortemente, damascati, e dribbla i divanetti imbottiti. Con sguardo assente, spiana una piega invisibile sulla tovaglia di uno dei tavoli - trattamento legno shabby chic - per poi sparire di nuovo nel baluginio dei faretti. 
Il sor Franco, vecchio leone della meglio quattro formaggi, sbatacchia pensoso nel perimetro della sua gabbia dorata, inaugurata da pochi giorni con un invito social d'ordinanza. 
Locale di antica fede giallo rossa, quello del sor Franco,  a proposito, dov'è finito il televisore per le partite? 
E il quadro col pagliaccio triste e la veduta romana? E le foto di Proietti e Sabrina Salerno, quella vecchia di Alberto Lupo e di quella, come si chiamava quella che non mi ricordo, tutte firmate sul sorriso di Franco, il sor Franco più giovane, alcune avevano pure i cuori a pennarello sotto l'autografo...  
Quanto pagherebbe, il sor Franco, per una comanda vecchio stile, quella da matita sull'orecchio, parannanza e blocchetto, invece di quel tablet luminoso collegato al corner-cassa...
"Vedo che avete cambiato qualcosa"
"Già... e mo' ce so i miei figli! Hanno preso il locale loro, io è meglio che me riposo. E poi c'ho mi' nuora che fa l'architetto..."
Poi risparisce, inghiottito dalle mangrovie del bosco verticale sulle pareti. 
Ordiniamo, un giovane cameriere danza la sua macumba di birre artigianali intorno al nostro tavolo.
Ora capisco quel bagno di pietra lavica uguale a un tempio tibetano. 
Serve per raccogliersi e pregare.


ciò che ha
forma e sapore di pane
divideremo



(sicurezze)




giovedì 4 maggio 2017

Vaccino sicuro


Desolazione invernale-
nel mondo monocromo
il rumore del vento
(Bashō 1644-1694)



In nome della sicurezza hanno trovato posto i sermoni della Le Pen, le foto ai migranti di Salvini e il cipiglio di Trump.
In nome della sicurezza abbiamo costruito, recintato. Ma anche demolito e spianato.
In nome della sicurezza abbiamo istallato telecamere, circuiti chiusi, fotografato e intercettato. 
In nome della sicurezza vogliamo il cartello con il divieto d'accesso, le grate alle finestre e il video citofono. E il porto d'armi. 
In nome della sicurezza siamo diventati aggressivi.
In nome della sicurezza se qualcuno ci chiede un'informazione stradale, sobbalziamo. E tiriamo dritto, non gliela diamo.
In nome della sicurezza a Santa Maria Maggiore o all'aeroporto è uguale.

E, secondo me, è sempre in nome della sicurezza che è scattata questa maledetta crociata contro i vaccini che ci sorprende, nel suo virale contagio, timorosi, sospettosi. Siamo una milizia sempre connessa e sempre più ignorante.
Le conseguenze le elencheremo, tutte, tra qualche anno (Notizia QUI)


(Porta aperta)



mercoledì 3 maggio 2017

Prestito ponte


Luna fredda:
nel rumore del ponte
io vado solo.
(Tan Taigi 1709-1771)


Alitalia. Tre commissari nuovi di pacca per organizzare un paio di cosette ancora e seicento milioni di euro dello Stato, nostri, come prestito ponte che consentiranno all'azienda di volare per altri sei mesi. Acquirenti all'orizzonte, capitano? Mmmh...nessuno.(Notizia QUI e un vecchio post QUI).
Si è calcolato che con tutti i soldi raccolti fino ad oggi, ogni dipendente avrebbe potuto avere una buonuscita di trecentocinquantamila euro. Ad ogni modo, dopo una serie di soluzioni degne di Paperopoli, oggi, saranno i ponti sul calendario appena passati - giorni spensierati, giorni incatenati alle feste comandate che, magia, diventano di festa pure loro e formano una ghirlanda oziosa tutta da organizzarsi -  è tempo di: un "prestito ponte"!

Ancora un'altra luna nel cielo, lassù. Fredda. Quanto sarà lungo, questo, ponte, prima di rivederli, i soldi?

(Compagnia di bandiera)









lunedì 1 maggio 2017

1 maggio


Quando sei un bambino impari che ci sono tre
dimensioni
altezza, larghezza e profondità
come una scatola da scarpe

Più tardi capisci che c’è una quarta dimensione
il tempo
Hmm
Poi alcuni dicono che forse ce ne sono
cinque, sei, sette…

Stacco dal lavoro
mi faccio una birra al bar
guardo il bicchiere e mi sento contento
(“Un’altra” di Ron Padgett)


"Paterson" di Jim Jarmush riesce nell'impossibile: mostrare al cinema lo sguardo poetico. 
Lo indica, illuminandone tutta la sua trasparenza. Traggo da questo film la poesia che avete appena letto, che il protagonista compone a un certo punto della non-vicenda, l'atmosfera è di sospensione e di vuoto, un po' giapponese, come quella che si respira in alcune poesie di William Carlos Williams, il poeta americano a cui, tutto torna, è ispirato il film "Paterson" di Jarmush.

E leggo il breve poema proprio in questa giornata di stacco dal lavoro, di sua sospensione, tra ozio e riflessione su quello che c'è e quello che manca. 
E rimugino sulle tante caselle da riempire, sugli orari da rispettare, sul tempo perso nel cercarlo, e sul tempo speso. 
Entrate e uscite, i consuntivi dell'esistenza.
Se potessi riformare i programmi scolastici, farei imparare le poesie a memoria e adotterei "Works" di Trevisan.
E mentre penso questo, e mi penso ministro, penso anche alla fortuna che ho con il mio, di lavoro, che mi permette cose come leggere un gran libro come "Works" e invitare il suo autore al prossimo festival di Radio3 a Forlì, per esempio. E se pure ministro non sarò mai, almeno qualche pagina di questo libro la farò leggere alla radio e potremmo parlare di lavoro in modo non retorico o piagnucoloso. 

mi faccio una birra al bar
guardo il bicchiere e mi sento contento

Brindo ai "lavori". Alla salute di Jarmush, di Paterson che nel film guida l'autobus come faceva il padre di Mauro, brindo anche a lui, e a Padgett, a William Carlos Williams. E a Trevisan che conosce la grammatica di un magazzino, di un ufficio e della strada.
E pure un po' alla nostra. Buona festa a tutti!

(Buoni lavori per tutti)









venerdì 28 aprile 2017

Susanna e i vecchioni


E chi potrà più dire
che non ho coraggio, che non vado
fra gli altri e che non mi appassiono?
Ho fatto una fila di quasi
mezz’ora oggi alla posta;
ho percorso tutta la fila passetto
per passetto, ho annusato
gli odori atroci di maschi
di vecchi e anche di donne, ho sentito
mani toccarmi il culo spingermi
il fianco. Ho riconosciuto
la nausea e l’ho lasciata là
dov’era, il mio corpo
si è riempito di sudore, ho sfiorato
una polmonite. Non d’amor di me
si tratta, ma orrore degli altri
dove io mi riconosco.

- Ho capito una cosa, ai giovani preferisco i vecchi, i vecchissimi. Insieme ci sto meglio, più in relax.
- E i ragazzini?
- Non ho la sindrome pedagogica, visto che sono io che cerco di imparare qualcosa. I miei coetanei? Di loro conosco tutto, grazie, frustrazioni comprese.
- E allora i trentenni, baffi a tortiglione e bici ecologica, oppure i quarantenni sulla rampa di lancio. E un po' vegani...
- Lasciamo perdere.

- I sessantenni?
- La generazione che ha soffocato a mazzate di ideologia la mia, quella dei poveri cristi cresciuti con Drive in e poi maturati al sole dell'Italia berlusconiana? Quelli che hanno fatto e disfatto tutto, conosciuto il 68, liberato il 69, protestato nel 77. In viaggio dall'India a Barbiana? Femministi in mio nome? No, grazie. Preferisco i vecchi, anzi i vecchissimi. Calore, gentilezza, esperienza, modestia. Riparo, esempio.
Poi però succede una cosa. Accendo la tv. 

C'è Scalfari, novantenne, intervistato sul mondo. Su "tutto" il mondo. E' acciaio parlante, barba bianca da Omero che sa tutto di tutto di tutto di tutto... dal sesso a Trump, dalla letteratura alle primarie del Pd, vola alto, - lo sguardo accondiscendente da semidio - vive, onorato, nella sua torre eburnea,  irraggiungibile da noi poveracci quaggiù che al massimo siamo capaci di discettare dell'ultima riunione di condominio.
Devo rivedere alcune cose in fatto di compagnie.

(punto di vista)


giovedì 27 aprile 2017

Amo il vintage


Più numerose le primavere
più lunghi i dì
recano lacrime e lamenti
(Issa 1762-1827)



Direte che sono strana, che le mie primavere sono numerose, che sembro zia Pina nostalgica, accetto tutto ma... mi mancano i fazzoletti. Non i kleenex, no. Mi mancano proprio quelli di stoffa, bianchi, quadrati.
Quelli dei nostri padri e dei nostri nonni. Freschi, con le pieghe dello stiro ben visibili e che nel cassetto si ricavavano, ordinati e impilati, un spazio preciso tra mutande e canottiere.  
E mi mancano quei gesti quotidiani rassicuranti: tirarlo fuori dalla tasca scuotendolo, porgerlo a chi piange, pulirci la sedia o il sedile in autobus, metterlo fuori il finestrino quando qualcuno in macchina ha bisogno di un ospedale, tamponarci al volo il sangue dal naso...
Mi mancano fronti imperlate e asciugate, nasi gocciolanti e soffiati, starnuti e risate soffocati con il fazzoletto.
Forse era un'Italia meno aggressiva. Più pop e più candida. 

(Italia vintage)



martedì 25 aprile 2017

25 aprile


Qui abitò Giovanni Re
Musico soldato cospiratore
che alle libere armonie del giusto e del bello
ascese dall'orrendo martirio
dei campi di Germania
(Milano 1891 - Legenfeld 1945)



Una lapide come poesia. Come preghiera, camminando.
Pregare "nelle" cose.
Leggere una breve biografia raccontata nello spazio di una lapide sul muro, onorare quei caratteri di metallo che scoloriscono sul marmo, l'italiano vecchio, così fiorito e sobrio, incorniciato da corone di alloro secco ma dorato dai decenni, i nastri di metallo che sventolano, fermi, il mio modo di pregare.
Giovanni Re, chi eri? Il tuo nome era quello di una nota musicale o di un sovrano? Chi amavi?
Le date e i luoghi di nascita e morte. Provare a contare i giorni conclusi in luoghi sinistri, troppo presto per una vita, mesi, anni, trascorsi fuori da quel portone che ho davanti, a un passo da me eppure così lontano, e che sa ancora di casa, di affetti, di abbracci.

(Via Vincenzo Foppa - Milano)