lunedì 1 maggio 2017

1 maggio


Quando sei un bambino impari che ci sono tre
dimensioni
altezza, larghezza e profondità
come una scatola da scarpe

Più tardi capisci che c’è una quarta dimensione
il tempo
Hmm
Poi alcuni dicono che forse ce ne sono
cinque, sei, sette…

Stacco dal lavoro
mi faccio una birra al bar
guardo il bicchiere e mi sento contento
(“Un’altra” di Ron Padgett)


"Paterson" di Jim Jarmush riesce nell'impossibile: mostrare al cinema lo sguardo poetico. 
Lo indica, illuminandone tutta la sua trasparenza. Traggo da questo film la poesia che avete appena letto, che il protagonista compone a un certo punto della non-vicenda, l'atmosfera è di sospensione e di vuoto, un po' giapponese, come quella che si respira in alcune poesie di William Carlos Williams, il poeta americano a cui, tutto torna, è ispirato il film "Paterson" di Jarmush.

E leggo il breve poema proprio in questa giornata di stacco dal lavoro, di sua sospensione, tra ozio e riflessione su quello che c'è e quello che manca. 
E rimugino sulle tante caselle da riempire, sugli orari da rispettare, sul tempo perso nel cercarlo, e sul tempo speso. 
Entrate e uscite, i consuntivi dell'esistenza.
Se potessi riformare i programmi scolastici, farei imparare le poesie a memoria e adotterei "Works" di Trevisan.
E mentre penso questo, e mi penso ministro, penso anche alla fortuna che ho con il mio, di lavoro, che mi permette cose come leggere un gran libro come "Works" e invitare il suo autore al prossimo festival di Radio3 a Forlì, per esempio. E se pure ministro non sarò mai, almeno qualche pagina di questo libro la farò leggere alla radio e potremmo parlare di lavoro in modo non retorico o piagnucoloso. 

mi faccio una birra al bar
guardo il bicchiere e mi sento contento

Brindo ai "lavori". Alla salute di Jarmush, di Paterson che nel film guida l'autobus come faceva il padre di Mauro, brindo anche a lui, e a Padgett, a William Carlos Williams. E a Trevisan che conosce la grammatica di un magazzino, di un ufficio e della strada.
E pure un po' alla nostra. Buona festa a tutti!

(Buoni lavori per tutti)









venerdì 28 aprile 2017

Susanna e i vecchioni


E chi potrà più dire
che non ho coraggio, che non vado
fra gli altri e che non mi appassiono?
Ho fatto una fila di quasi
mezz’ora oggi alla posta;
ho percorso tutta la fila passetto
per passetto, ho annusato
gli odori atroci di maschi
di vecchi e anche di donne, ho sentito
mani toccarmi il culo spingermi
il fianco. Ho riconosciuto
la nausea e l’ho lasciata là
dov’era, il mio corpo
si è riempito di sudore, ho sfiorato
una polmonite. Non d’amor di me
si tratta, ma orrore degli altri
dove io mi riconosco.

- Ho capito una cosa, ai giovani preferisco i vecchi, i vecchissimi. Insieme ci sto meglio, più in relax.
- E i ragazzini?
- Non ho la sindrome pedagogica, visto che sono io che cerco di imparare qualcosa. I miei coetanei? Di loro conosco tutto, grazie, frustrazioni comprese.
- E allora i trentenni, baffi a tortiglione e bici ecologica, oppure i quarantenni sulla rampa di lancio. E un po' vegani...
- Lasciamo perdere.

- I sessantenni?
- La generazione che ha soffocato a mazzate di ideologia la mia, quella dei poveri cristi cresciuti con Drive in e poi maturati al sole dell'Italia berlusconiana? Quelli che hanno fatto e disfatto tutto, conosciuto il 68, liberato il 69, protestato nel 77. In viaggio dall'India a Barbiana? Femministi in mio nome? No, grazie. Preferisco i vecchi, anzi i vecchissimi. Calore, gentilezza, esperienza, modestia. Riparo, esempio.
Poi però succede una cosa. Accendo la tv. 

C'è Scalfari, novantenne, intervistato sul mondo. Su "tutto" il mondo. E' acciaio parlante, barba bianca da Omero che sa tutto di tutto di tutto di tutto... dal sesso a Trump, dalla letteratura alle primarie del Pd, vola alto, - lo sguardo accondiscendente da semidio - vive, onorato, nella sua torre eburnea,  irraggiungibile da noi poveracci quaggiù che al massimo siamo capaci di discettare dell'ultima riunione di condominio.
Devo rivedere alcune cose in fatto di compagnie.

(punto di vista)


giovedì 27 aprile 2017

Amo il vintage


Più numerose le primavere
più lunghi i dì
recano lacrime e lamenti
(Issa 1762-1827)



Direte che sono strana, che le mie primavere sono numerose, che sembro zia Pina nostalgica, accetto tutto ma... mi mancano i fazzoletti. Non i kleenex, no. Mi mancano proprio quelli di stoffa, bianchi, quadrati.
Quelli dei nostri padri e dei nostri nonni. Freschi, con le pieghe dello stiro ben visibili e che nel cassetto si ricavavano, ordinati e impilati, un spazio preciso tra mutande e canottiere.  
E mi mancano quei gesti quotidiani rassicuranti: tirarlo fuori dalla tasca scuotendolo, porgerlo a chi piange, pulirci la sedia o il sedile in autobus, metterlo fuori il finestrino quando qualcuno in macchina ha bisogno di un ospedale, tamponarci al volo il sangue dal naso...
Mi mancano fronti imperlate e asciugate, nasi gocciolanti e soffiati, starnuti e risate soffocati con il fazzoletto.
Forse era un'Italia meno aggressiva. Più pop e più candida. 

(Italia vintage)



martedì 25 aprile 2017

25 aprile


Qui abitò Giovanni Re
Musico soldato cospiratore
che alle libere armonie del giusto e del bello
ascese dall'orrendo martirio
dei campi di Germania
(Milano 1891 - Legenfeld 1945)



Una lapide come poesia. Come preghiera, camminando.
Pregare "nelle" cose.
Leggere una breve biografia raccontata nello spazio di una lapide sul muro, onorare quei caratteri di metallo che scoloriscono sul marmo, l'italiano vecchio, così fiorito e sobrio, incorniciato da corone di alloro secco ma dorato dai decenni, i nastri di metallo che sventolano, fermi, il mio modo di pregare.
Giovanni Re, chi eri? Il tuo nome era quello di una nota musicale o di un sovrano? Chi amavi?
Le date e i luoghi di nascita e morte. Provare a contare i giorni conclusi in luoghi sinistri, troppo presto per una vita, mesi, anni, trascorsi fuori da quel portone che ho davanti, a un passo da me eppure così lontano, e che sa ancora di casa, di affetti, di abbracci.

(Via Vincenzo Foppa - Milano)

domenica 23 aprile 2017

È tempo di libri

"Nessun vascello c'è che, come un libro, possa portarci in contrade lontane"
(Emily Dickinson)


Ti prendo alle lettera, cara Emily, e penso ai mille viaggi che ho fatto "per" i libri.

Trasferte, fiere, saloni. Presentazioni. E viaggi per amore, i più euforici.
E ho conosciuto organizzatori, curatori e direttori editoriali, di collane e di giornali. Uffici stampa, uffici accrediti, ho fatto pass, ho raggiunto stand, sbagliato desk. Alloggiato in foresterie di lontani istituti culturali, mangiato cose esotiche e comprato souvenir. Ho conosciuto lettori, non lettori, lettori forti e con loro scrittori veri, mezzi scrittori, scrittori al tornio del solitissimo investigatore. Grandi editori, piccoli editori, medi editori. Manager rampanti e vecchi leoni. Critici, criticoni e organizzatori di premi. Giornalisti-scrittori, medici-scrittori e cuochi-scrittori. Autori che sembravano così e invece erano colí, autrici comprese, poeti incompresi e sbancatori di classifiche.
Sono felice, Emily, della mia vita fino a oggi in mezzo ai libri e, sempre con la bussola della lettura tra le mani, continuo il mio viaggio tra le persone che li fanno.


(Viaggio)






giovedì 20 aprile 2017

Anvedi sì che robba

Com'è strano
anche vivere così!
L'ombra dei fiori
(Issa Kobayashi 1763-1827)



Pausa pranzo. Sole tiepido.
"Sei grandissima! Me posso fa' 'na foto cotté?" 
Un ragazzo col telefonino, due o tre curiosi che fanno capannello intorno a una tipa agghindata come per l'ultimo dell'anno, leopardatamente seduta a uno dei tavolini apparecchiati fuori la grande pasticceria romana, antico crocevia di paparazzi, figuranti, pubblico mercenario, impresari di basso cabotaggio, calciatori imbolsiti, avvocati che andranno a giocare a tennis dopo il supplì. 
Chi è questa, mi chiedo. E dove l'ho vista? Ma, poi, l'ho vista realmente da qualche parte, la conosco?
Sei un'attrice, una comparsa televisiva, una del pubblicodiforum, una exdelgrandefratello, una tronista attempata, una ballerina di nonélarai trenta anni dopo, una dellavitaindiretta, una diunafiction, chi sei mai?
E tu che le chiedi un selfie, chi sei? Dove vivi? Che lavoro fai? A chi invierai la foto che ti stai facendo? Che faccine metterai come commento all'incontro a cui assisto? E perché ti depili le sopracciglia così?

Sopravvive una Roma cotonata da cui sono, nonostante tutto, perversamente sedotta. 

Osservarla in silenzio, possibilmente dal riflesso di una vetrina, è il mio salvavita, il mio kit di sopravvivenza, il mio metadone da bar. 
Scoprirne gli scampoli felliniani sopravvissuti, le strofe di Remo Remotti per sempre nella sua aria primaverile, i graffi anni ottanta di Schifano che, eterni, sbavano vernice è, per me, una droga irrinunciabile.


(vasto assortimento interno)









         

martedì 18 aprile 2017

Vecchi ragazzi


Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande
(Santōka 1882-1940)



Non si scendeva dall'auto fino a che Bracardi non la smetteva di spernacchiare al microfono, o fino a che Marenco non la piantava di urlare con quella voce in falsetto che sfumava sulla sigla. E i miei che ridevano insieme, mentre io capivo poco ma volevo ridere per forza, con loro, io che ero troppo ragazzina e non coglievo le battute ma ostentavo grande divertimento sganasciandomi, per essere come loro, del gruppo dei "grandi". E così ridevo, "ridevo anghe io" e ascoltavo i dischi che uscivano da dentro quella radio con l'antenna che si tirava su.
Forse sì, i miei maestri radiofonici sono stati proprio quelli di Alto Gradimento... 
Li ho "lisciati" per generazione, mannaggia, non sono riuscita a far parte di quel gruppo direttamente, ma ho conosciuto la sua eco comunque, entrando in radio. Posso dire di averli sfiorati un po'. Ho acciuffato al volo la fine di un'epoca, quelle competenze tecniche e organizzative, tutta quella, vi sembrerà strano, "serietà" professionale. 
(Recentemente Marenco mi è riapparso, sempre a via Asiago, ma dentro l'ascensore, stessi capelli dritti e rossi, mi disse che era capitato nei suoi vecchi studi per un'intervista, io gli ho fatto un inchino per gioco. Abbiamo condiviso qualche piano sorridendoci, gli ho taciuto che un giorno di anni e anni prima mi sollevò di peso portandomi in giro per i corridoi del secondo piano di viale Mazzini. E poi Bracardi, che un'altra volta ho riconosciuto, così serio e magro, all'entrata del palazzo. Ragazzi vecchi.)    

Proprio oggi, qui in Via Asiago, la sede storica della radio, nella mitica sala B, è stata allestita la camera ardente per Gianni Boncompagni. La musica che amava usciva dagli altoparlanti, le luci colorate, fisse, abbagliavano, gli amici intorno, le figlie e i nipoti. Un suo fotomontaggio buffo incorniciato ai piedi della bara.  
La camera ardente più allegra, geniale, e coerente a una vita, che abbia mai visto.


(Alto gradimento)