martedì 23 febbraio 2021

Nel ricordo di Luca Attanasio

Interro alcuni semi
nella mattina piena di sole
prima del viaggio.
(Santōka 1882-1940)

Stringe il cuore leggere la storia del giovane ambasciatore in Congo, Luca Attanasio, vittima con l’autista e la guardia del corpo di un’imboscata in una zona così lontana da noi, così sperduta e complessa.
Veniamo colpiti dal suo sguardo, un giovane uomo dagli occhi che brillano, e dalle foto coi ragazzi allegri della comunità locale, che ridono, un bimbo con il lecca lecca, il gesto del like, un altro che sorride in camera. Che i semi piantati dal suo lavoro laggiù germoglino tutti, che la terra che amava gli sia madre.
Per noi resta qualche tg ancora, lo sgomento, e pensare a un posto di cui non sappiamo nulla. Ecco. Che almeno si approfitti di questa tragedia per aprire gli obbiettivi delle telecamere sul resto del mondo, mettendo a fuoco altri paesi, altre genti. Abbiamo bisogno di questo, di capire, conoscere. Non di analizzare i respiri di Draghi, quello che direbbe, o il cambio rotta di Salvini con la scelta di opposizione della Meloni. Sono cose che conosciamo. Che si inquadri altro.


                                                                    (Sintonia col mondo)





mercoledì 27 gennaio 2021

Il Giorno della Memoria

 

Fratelli umani a cui è lungo un anno,

un secolo un venerando traguardo,

affaticati per il vostro pane,

stanchi, iracondi, illusi, malati, persi;

udite, e vi sia consolazione e scherno:

venti miliardi d’anni prima d’ora,

splendido, librato nello spazio e nel tempo,

era un globo di fiamma, solitario, eterno,

nostro padre comune e nostro carnefice,

ed esplose, ed ogni mutamento prese inizio.

Ancora, di quest’una catastrofe rovescia

l’eco tenue risuona dagli ultimi confini.

Da quell’unico spasimo tutto è nato:

lo stesso abisso che ci avvolge e ci sfida,

lo stesso tempo che ci partorisce e travolge,

ogni cosa che ognuno ha pensato,

gli occhi di ogni donna che abbiamo amato,

e mille e mille soli, e questa

mano che scrive.

(Primo Levi, “Nel principio”, 1970) 



Incastonate nell’asfalto di un marciapiede del mio quartiere due pietre d’inciampo. Mi fa piacere che ci siano, vivo meglio sapendo della loro presenza.

Gli occhi di donna che abbiamo amato.


                                                            (Edoardo e Adele Elvira)




giovedì 21 gennaio 2021

 

When day comes, we ask ourselves where can find light in this never-ending shade.
The loss we carry, a sea we must wade. 
We’ve braved the belly of the beast. 
We’ve learned that quiet isn’t always peace, 
and the norms and notions of what “just” is isn’t always justice. 
And yet, the dawn is ours before we knew it. 
Somehow we do it. 
Somehow we’ve weathered and witnessed a nation that isn’t broken, 
but simply unfinished. 
We, the successors of a country and a time where a skinny Black girl descended from slaves and raised by a single mother can dream of becoming president, only to find herself reciting for one.


Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guadare.
Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre giustizia.
Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta, ma, semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro.
(dalla poesia di Amanda Gorman, recitata durante il giuramento di Joe Biden)



Un giuramento sospirato, nelle vibranti note di un grande musical finalmente allestito, dopo immagini violente da film di cassetta, tutte muscoli e sparatorie dagli effetti speciali.

Saggezza e mitezza brillano tra le bandiere che garriscono al vento, e le canzoni, i doni, gli occhi umidi. È bello poter assaporare di nuovo il sapore della speranza, la sua dolcezza rende immemori, almeno il tempo di una ballata o di una poesia, lontani da quello che è successo poco prima. È un tempo salvifico, vivificante. Un godimento. E Trump, il bambino caratteriale che vuole giocare per forza e che quasi la bucava la palla, adesso, almeno in queste ore, chi se lo ricorda più? 


                                                                                     
                                                               (L’alba è nostra)



giovedì 14 gennaio 2021

Il tempo delle frullecchie


E tu quando vivesti? – Io vissi all’era degli Andali ludiati e perfidiosi:

gli artèdoni liriavano in finiera metàrcopi e sindrèfani rodiosi...

- Io invece vissi ai tempi laccheroni degli ùzzeri bagiosi e guazzacagni; s’andava lornogorno a brencoloni

tra làlleri, gaglioppe e trucidagni; d’inverno si zurcavano le precchie cazzando lorigucci e naderlini, 

maggio si correvan le frullecchie sfoncando con urlacci i mogherini.

(“Dialogo celeste” di Fosco Maraini in Gnosi delle Fanfole)



Ecco cosa risponderei in un ipotetico dialogo celeste. 

Vissi il tempo laccherone della pandemia, quella che attaccava i polmoni e li riduceva a ùzzeri bagiosi, che deprimeva gli animi degli adolescenti e dei vecchi e di quelli della mia età, e pure l’economia, mentre dall’America in giù, fino a casa, Andali ludiati si sovreccitavano e complicavano le vite dei cittadini.

E i debiti da pagare? mi chiedeva quello, e le risorse, sì, i soldi, come li avete spesi? Fruttarono? Furono impiegati al meglio? E a maggio, cosa è successo a maggio?

Abbiamo continuato con le frullecchie.


                                                                           (Mai ‘na gioia)



giovedì 7 gennaio 2021

Trump ovvero un vicino di casa


Pieno di vita, adesso, ben saldo e visibile,
A quarant’anni, nell’anno ottantesimo terzo degli Stati,
A uno che vivrà di qui a un secolo, o di qui a secoli molti,
Per te non ancor nato, cercando di giungere a te.

Quando tu leggerai questi canti, io che visibile fui sarò diventato invisibile,
Ora sei tu, ben saldo e visibile, che i miei poemi vivi e mi cerchi,
Immaginando quanto felice saresti se io potessi trovarmi con te, diventare il tuo camerata;
Ma fa come se fossi con te. (Non essere troppo sicuro che adesso non sono con te.)
(Walt Whitman “Foglie d’erba” trd Enzo Giachino, Einaudi)


Dov’era Whitman ieri, quando a Washington infuriava la sommossa nel nome di una giustizia tutta opinabile? Dov’era il poeta che voleva stare accanto agli uomini provando ad assomigliare a ciascuno di essi? 
Nulla di sorprendente il tragico assalto al Capitol Hill a Washington, lavoro di mesi, di tweet e invettive suprematiste, c’era da aspettarselo. E non bisogna avere lo sguardo profetico del più venerato poeta americano per capire che era già nelle cose, un epilogo prevedibile, vicinissimo, quando si parla alla pancia e non al cervello.