sabato 8 dicembre 2018

Sentirsi in colpa



Vette di nuvole.
Appaiono in sogno
senza confini
(Kato Shuson 1905-1993)


Una serata come tante, una tavolata di amici, un locale del centro. Come sempre, il passaggio dei venditori, accendini, pupazzetti, reggi telefonino, cover colorate, rose acciaccate. Una mia amica che vive in Sicilia da tanti anni, ritornata per qualche giorno, sulla tovaglia antipasti a volontà, nell'aria di fritto tutte le nostre chiacchiere.
"Oddio, eccone un altro!" la solita frase per la solita mercanzia, qualche sorriso che significa "ti prego, non sono razzista, io sono con te, faccio il tifo per te ma ti prego, l'ennesima cianfrusaglia no". 
"Fratello, ciao! Compra? Ciao miss mondo, bello questo, dai!"
Sono stanca, il locale è rumoroso, sento e non sento, un piatto pieno di mozzarelle finisce il suo giro mentre la mia amica tiene banco sulla sua vita. Il ragazzo africano si aggiusta il cappello e dice che in Sicilia tutti buoni, che quando arrivato gente gentile, viva Sicilia, dice così, viva Sicilia. E poi offre alla mia amica due braccialetti colorati "No soldi. Omaggio Sicilia" e sparisce tra i tavoli.
"Lasciali stare" faccio in automatico "che ti tocca comprare tutto. Tra poco ritorna e ti chiede i soldi".
La serata finisce, anche le nostre chiacchiere. La mia amica ha indossato i braccialetti di perline verdi, giallo e rosse come la bandiera del Senegal. Il ragazzo non è più tornato. Omaggio Sicilia, viva Sicilia. 
E io sto male. 


(Non calpestare)


giovedì 6 dicembre 2018

Verso la nuvola


Addosso al viso mi cadono le notti
e anche i giorni mi cadono sul viso.
Io li vedo come si accavallano
formando geografie disordinate:
il loro peso non è sempre uguale,
a volte cadono dall’alto e fanno buche,
altre volte si appoggiano soltanto
lasciando un ricordo un po’ in penombra.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
Ma veramente aspetto
in segretezza di distrarmi
nella confusione perdere i calcoli,
uscire di prigione
ricevere la grazia di una nuova faccia.
(Da "Il cielo" di Patrizia Cavalli)

Attraversare Roma, per raggiungere l'Eur da dove abito, è un viaggio. Ma è di sicuro la cosa che preferisco della radio alla fiera letteraria, quella sospensione tra casa e caos lavorativo - ciao, ciao, cosa hai pubblicato di bello, passi e ce ne parli in postazione, in onda - quel lungo tragitto Roma Nord-Roma Sud. Idealmente, per le mie traversate romane, quando passo un ponte o vengo ingoiata dall'eternità sbracata della mia città, mi lascio accompagnare da Patrizia Cavalli e cerco il "suo" tempo, e diventa il mio, sono sempre io quella che attraversa la città, lo sono oggi come lo ero ieri.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
E misuro, e conto, e dentro la metro uso me stessa come metro.
Centro di Roma, piazza del Popolo, il tram cigolava come fosse ancorato ancora al novecento, penso scendendo le scale, mi calo nelle viscere romane. E viaggio, e sopra di me il Colosseo, la Piramide, il Circo Massimo. Stazione Termini, Metro B, si cambia direzione verso Laurentina. Eur. I palazzi, il Palazzetto dello Sport in eterno sollevarsi, gli archi del Palazzo dei Congressi e la fuga metafisica, le leggi dello spazio finalmente catturate nel Palazzo della Civiltà del Lavoro. Luoghi misteriosi e funzionali, i "palazzi", vetrate lucenti di uffici deserti, affacci sopra verde progettato, meravigliosi e tetri. Svolto. La Nuvola di Fuksas, imprigionata dentro la sua scatola di metallo come per un esperimento di crio conservazione, prova a sfidare l'eternità. E io sono arrivata.

(Attraversamento)

mercoledì 5 dicembre 2018

Fratelli di letteratura


...
Era già l'ora che il disìo volge...-
Ma Dante non era tra le voci correlate.

"Era già l'ora oppure non ancora?"
E' questa la domanda che sconvolge.
Marta l'ho conosciuta nella nona -
quella delle rivelazioni, l'ora famosa.
Galeotto fu Fratelli di Samonà -
ancora o già? Già-ancora o ancora-già?
A parlare di Samonà e di Fratelli
entrava in me l'antico giavellotto 
...
(da "Coppie minime" di Giulia Martini)


Fratelli di Samonà, il libro citato nei versi, per motivi innanzitutto letterari, e anche personali, lo considero uno dei "miei" libri, tra i più belli e sconvolgenti del novecento letterario italiano. E quando mi capita di incontrare qualcuno che l'abbia letto, pochi in realtà, il mio istinto sarebbe solo quello di abbracciarlo, buttargli le braccia al collo e iniziare a parlarne, celebrando platealmente questa vicinanza, l'affinità tra noi, come con un ritrovato fratello di letteratura. 
Abbraccio ideale oggi per Giulia Martini, la poetessa autrice della raccolta pubblicata da Interno Poesia, che ama le parole, la corsa della metrica e le mele pink lady. E si ritrova nel disincanto di Patrizia Cavalli, musa ispiratrice, di cui la voce risuona qui e là nei versi, come omaggio e sorpresa dispettosa.

(Fratella)

martedì 4 dicembre 2018

Ricordate lo "ius soli"?


(...)
Intanto i piroscafi che dividono orizzonti dichiarano
Noi perduti;
Trovati solo
In opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli;
Trovati nel riflesso blu di occhi
Che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici qui
(...)
(da "Preludio" di Derek Walcott)


Metropolitana domenica pomeriggio, sulla banchina. Nell'attesa, guardavo le teste di capelli che avevo vicino. Contavo due zazzere, quattro del tipo imbrillantinato, tre crespissime contro due liscissime e spioventi, una nascosta da un velo con perline rosa e una dal berretto con la visiera girata dall'altra parte. Insomma, una babele di teste, tutte diverse e tutte in movimento. 
A un certo punto avverto la sensazione che qualcuno mi stia fissando. Dove sei, chi sei tu che mi guardi e non favelli? E soprattutto, da dove mi raggiungi con questo piccolo laser di occhi insistente, che continua a pungermi da dietro? 
Non lo sapevo ancora che appartenessero alla più grande esperta di leggi e diritto, specializzata con il massimo dei voti. No, non lo sapevo ancora che erano di Giulia.
Insomma, sento di nuovo quel laser di occhi, mi giro e, ad altezza testa, non vedo nessuno. Abbasso lo sguardo e finalmente li intercetto! Sono nerissimi e appartengono a lei. Sì proprio a quell'espertona di diritto internazionale di cui vi accennavo che, sotto due ciuffetti infiocchettati e poco più su della bocca minuscola a forma di cuore cicciotto, continuava a fissarmi con quelle due biglie nere dal basso del suo passeggino. Serissima. 
La mamma, una giovane signora filippina dall'accento romano, aggiustandole un fiocchetto, risponde al mio sorriso e orgogliosa: "Lei è Giulia!". 
"Ciao Giulia, come sei bella. Complimenti signora!"
Giulia continua a fissarmi, immobile, se possibile ancora più seria di prima.
Cosa pensi mai, Giulia? No! Non dirmelo, stamattina volevi telefonare anche tu a Prima Pagina e rispondere al giornalista! E raccontare a gran voce la tua esperienza in materia di ius soli, esperienza che dura da sempre per te - quanti saranno, sei mesi? - e che tua madre si sente italiana, infatti ha la cittadinanza, e che ha fatto mille pratiche, ma che tu sei italiana e basta. Che lo capisci, l'italiano, e che un  giorno lo parlerai da dio e che, sempre un giorno, saprai telefonare a tutti. Ora osservi solamente, ma un giorno, farai un sacco di cose e cucinerai una pasta per primo piatto, col sugo e il basilico, e quel buonissimo secondo di verdura e carne che ti diceva tua nonna. E che le tradizioni uno ce l'ha in testa, come morbidi fiocchetti, e che non sono cappi e che le radici sono dove siamo, caro signor giornalista, volevi dirglielo ma vabbè, e che sono aeree, come quelle di una pianta bellissima che vive nelle Filippine e che ora non sai ancora bene come si chiama ma un giorno sì che lo saprai e che, sempre un giorno, li visiterai tutti quei posti di nonna per poi ritornare a casa, dove ci sarà chi ti aspetta, perché di sicuro, Giulia, uno che ti aspetta, e perde la testa per te, lo trovi. Sicuro.



(Le mie radici preferite)

lunedì 3 dicembre 2018

Antonia Pozzi


Gioia di cantare come te, torrente;
gioia di ridere
sentendo nella bocca i denti
bianchi come il tuo greto;
gioia d’essere nata
soltanto in un mattino di sole
tra le viole
di un pascolo;
d’aver scordato la notte
ed il morso dei ghiacci.
("Acqua alpina" di Antonia Pozzi)

La poetessa Antonia Pozzi, di cui oggi ricorre il giorno della morte, era una giovane donna di ottima famiglia, bella, ricca, colta che si tolse la vita a ventisei anni ingoiando barbiturici. Faceva foto e amava farsi fotografare; Antonia vicino a una colonna, Antonia nella neve, Antonia con il cane, Antonia a cavallo, Antonia giunta al rifugio che sorride. Adorava la montagna. Maria Corti, che la conobbe all'università, di lei scrisse "il suo spirito faceva pensare a quelle piante che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull'orlo degli abissi". Forse non resse agli anni cupi del fascismo, le leggi razziali che si accanirono sull'amico Vittorio Sereni, è possibile.
Sono i versi della poetessa a custodire il segreto di una scelta definitiva, negli spazi bianchi, tra le pause e nell'uso di alcune parole su altre si intravede una trafittura, anche in quelli d'amore, come una lama di luce fredda che penetra l'ombra di un sottobosco. Nei denti bianchi che si sentono in bocca e nel morso dei ghiacci.

(Diario di poeta)