mercoledì 10 ottobre 2018

Povertà e brioches


Oh! Senza tetto
e il mio letto di nuovo
umido e freddo
(Ryōkan 1758-1831)

Dicono che sia in atto una rivoluzione eppure quando sento parlare di poveri, di reddito di cittadinanza e di manovra, ormai cambio canale. Mentre guardo i cartoni animati o un grande obeso dimagrito alle prese con la pelle che gli avanza o l'orso che si rotola nella neve, dall'altra parte lo sproloquio so che continua a fluire e so che nulla lo ferma, né la Corte dei Conti, né la matematica, né la memoria storica. L'unica è il telecomando ma è come girare la testa dall'altra parte già da sotto la ghigliottina.

(Siamo qui)

martedì 9 ottobre 2018

Sogno ricorrente


Svegliatomi da un sogno
trasalisco per il buio -
sera d'autunno.
(Mizuhara Shūōshi 1892-1981)


Sarà il periodo. Sarà che l'ultima immagine che l'iride registra prima di chiudere gli occhi è quella televisiva, la solita, un esponente del governo che digrigna i denti mentre parla. E i toni sprezzanti, l'aggressività, la manovra economica impugnata come un grimaldello. I mercati. Le tabelle con i numeri. I "sovranisti". Buonanotte cara, buonanotte caro. E va in onda l'inconscio.

Stanotte ho sognato che non riuscivo a usare lo smartphone. Le dita sulla tastiera bloccata, non riuscivo a digitare, non beccavo l'icona giusta. Ovviamente la telefonata che dovevo fare mi avrebbe salvata da qualcosa di orribile che, ovviamente, non ricordo.
Trasalisco per il buio
Mi torna in mente mio padre più giovane, mio coetaneo di oggi, che mi spiegava il significato dell'espressione "sogni ricorrenti". Come esempio portava un suo sogno dove lui non riusciva a comporre il numero sulla rotella del telefono, con le dita che scivolavano  e si impicciavano tra quei fori. 
Ero ragazzina, non avevo ancora grandi esempi da fare, lo ascoltavo.
Oggi che sogno le stesse cose che sognava lui penso ai supporti cambiati e alle noste medesime angosce.


(Selfie dell'inconscio)



domenica 7 ottobre 2018

Le mia radio dentro un haiku


Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande.
(Santōka 1882-1940)


Lavoro a Radio3. Sono fortunata. Siamo un bel gruppo, facciamo programmi che ci riflettono e ci piacciono. Anche se, forse, la radio più bella è quella che non va in onda, quella fatta di tutti i ricordi, gli incontri, le serate speciali da organizzare, le feste in redazione, gli scherzi. 
La lotta al montaggio per quel minuto irrinunciabile. L’attesa di un ospite che non arriva e la diretta che va, quello che ha capito un giorno per l’altro, il turno di registrazione che salta, le infinite riunioni di redazione. I canti nei pullman delle trasferte, le prese in giro, la soddisfazione di una “sfumata” giusta o di un “taglio” impercettibile. Gli speciali per Natale, nei posti dove Natale non arriva mai o ci arriva “male”, come una mensa per i poveri, un carcere, una piazza difficile, un quartiere malavitoso, un centro di accoglienza. Noi lì, con i nostri cari che ci aspettano a tavola, da raggiungere a trasmissione fatta. Bello. Bellissimo. 
La radio che non va in onda prevede i grandi visti da vicino. Yehoshua che chiarisce con mitezza il suo pensiero frainteso da un ascoltatore, Mark Strand bello come un divo di Hollywood, David Grosmann che chiede curioso del nostro lavoro. E poi, ancora, altre immagini: Luca Cavalli Sforza che fuma dietro le quinte, Roberto Saviano quando poteva girare senza scorta, il saluto affettuoso tra John M. Coetzee e Toni Morrison nella hall di un albergo, l’allampanato e sorridente Ferlinghetti (anche lui con visiera), Seamus Heaney che si rinfranca con una bibita seduto con la moglie a un tavolino di un bar prima di essere intervistato, Richard Ford che si irrita per un ritardo sulla scaletta e la sua stiratissimma polo color salmone. Anna Politkovskaja così minuta, così da abbracciare, che fende la folla di un festival letterario per arrivare alla nostra postazione. 

(Anna Politkovskaja +7 ottobre 2006)


Nota
Il mio libro è un "non libro", non è un libro di haiku, non è un libro di poesia, non è un romanzo, non è una biografia, non è un'autobiografia. Se è un poco di tutto questo lo capisco adesso, dopo un paio d'anni... 
Oggi è il 7 ottobre, il giorno dell'uccisione di Anna Politkovskaja. Il mio modo per ricordarla è attraverso una pagina di Haiku e saké. Il riferimento alla visiera riguarda un fatto precedente, non importa.





sabato 6 ottobre 2018

My favourite things


Ho del riso
dei libri
persino del tabacco
(Santōka1883-1940)

Il saggio e sobrio Santōka ci indica queste tre cosette necessarie per vivere, le sue tre cose preferite.
Mi asterrò dai consigli di cucina, per il vostro bene, e il tabacco, per quanto mi riguarda, lo sostituirei con il cioccolato. Ma sui libri, almeno quelli che popolano la mia libreria, ho idee molto più chiare.
Non amo i libri che non mi parlano. E detesto i libri che mi tranquillizzano. Essere trasportata in mondi fantastici dove spazio e tempo sono opzionali, in mondi esotici con vecchi saggi dalla barba bianca che ti risolvono i problemi, non lo reggo. Diffido degli autori piacioni, dei fenomeni letterari, delle copie vendute, degli esordi imperdibili. Dei libri belli solo perché scritti-da-una-donna. Le amiche geniali, i mondi spiegati ai miei figli, le saghe e i commissari mi allappano. I giornalisti-scrittori, i politici-scrittori, mi appallano.
Scovare letteratura nel mucchio, trovare quello che cerco tra gli scaffali in libreria non è facile, è come riuscire a fotografare il rinoceronte bianco. È la mia sfida.

(Caccia grossa)

giovedì 4 ottobre 2018

Il ramo spezzato


Il mio cuore vuoto
onde violente
vanno e vengono
(Santōka 1882-1940)

Forse mi piacciono gli haiku perché è come se scrivessero del vuoto e lo usassero esaltandone lo spazio che crea tra una cosa e l'altra, gli haiku come un buco di tre righe che diventa la mia tana dentro al rumore. Proprio io, che vivo tra le parole, di parole, e che le amo, e ci sguazzo, io che chiacchiero sempre e sempre interrompo, amo la micro apnea che creano, quel lancinante senso di vuoto dove mi spingono.
Mauro mi ha detto Susetta, non puoi non leggerlo, ti piacerà da impazzire, e me l'ha detto con aria triste, sapeva bene quanto fosse vero quello che pensava, quanto mi avrebbe fatto male il libro che mi porgeva. L'ho portato con me "Il ramo spezzato" di Karen Green, l'artista moglie di David Foster Wallace, colei che l'ha amato e trovato una mattina di dieci anni fa morto suicida, me lo sono tenuto in borsa e trascinato ovunque, anche a Matera se ne è andato, l'ho fatto per tenermelo accanto, per non lasciarli soli, loro due, e l'ho covato, protetto. Ha molto di quello che dicevo sugli haiku, gli spazi bianchi tra le pagine, i piccoli francobolli che interrompono il flusso di pensieri dell'autrice, le immagini pittoriche, le stagioni che vanno e ritornano lasciandoci più spogli e addolorati. Quando si spezza un ramo succede quello che ci dice la Green, esattamente quello che lei mette insieme poeticamente sul foglio. Il lutto è raccontato nei lacerti della vita stessa, nella quotidianità di pillole per dormire che scompongono e fanno fluttuare i ricordi in testa, ha il ritmo di una ballata triste e l'immagine di un minuscolo francobollo dentro una pagina bianca e il gusto della lingua quando esplora il buco di un dente caduto. E ha dentro tutto l'oro della tecnica giapponese capace di riempire con piccole colature preziose il coccio sbreccato.