martedì 24 gennaio 2017

Memoria urbana

Nascono i bei pensieri sopra i ponti
e sempre ci si ferma sopra i ponti
per contenere quell’atomo di grazia
sospeso in equilibrio
tra gravità di sponde e cieca corsa d’acqua.
Ti darò appuntamento sopra un ponte,
in questa mezza terra di nessuno.
("Ponti" di Patrizia Cavalli)

Amo molto le poesie di Patrizia Cavalli e le amo con il senso di colpa di chi le ha capite tardi. Le ho, difatti, "recuperate" e rilette. Metto il mio sguardo in direzione del suo e cerco di farmi perdonare da quelle parole semplici, unite insieme in brevi poesie lucenti, che non avevo capito affatto appena incontrate. Eppure sono così immediate, così innamorate, così pronte, chiare e piene di promesse... Ecco, mi sembravano troppo facili? Quanto non capivo nulla!
...

In motorino attraverso tutti i giorni la Roma dell'architettura fascista, quella che sembra fatta di pezzi di torrone bianco e duro, quello con l'ostia.
Tutti quei grugni, identici l'uno all'altro sotto l'elmo, sbalzati nei rilievi di marmo che ornano il ponte che sto per imboccare, mi sorprendono ogni volta. Davanti a me l'obelisco con la scritta DVX dove qualcuno si fa la foto ricordo (sto male ogni volta, non sono mai storici dell'arte), la Roma littoria che fendo in motorino cercando il mio atomo di graziaQuella tronfia, marmorea. I monumenti, i palazzi dalle alte vetrate o con i mosaici con i mestieri, il colossei quadrati per gladiatori novecenteschi. 
Canevari, Sironi, Fillia con i loro a colori lividi, i piedoni e le manone che significavano lavoro e spighe mature fanno mostra di sé in un'aula magna, dietro un altare o su un palazzo trasteverino.
Le Poste, le Stazioni, i mercati rionali.
Terragni, Moretti, Piacentini, i progettisti di una architettura razionalista ancora funzionale.
Strade larghe che io percorro da sempre, cubi bianchi e angoli smussati a sorpresa, innervano il mio paesaggio quotidiano, la mia topografia dell'animo. Pezzi di memoria da guardare in faccia, da usare, materiale urbano collettivo per non dimenticare. 
Sono avvisi di quello che siamo stati, avvisi confusi tra le cupole barocche, occhieggiano nella Roma umbertina o tra una colonna e l'altra di quella augustea.

(De Chirico a Roma Termini)













lunedì 23 gennaio 2017

Domenica sera alla Casa Bianca

Chiusi la porta. Tirai fuori la bottiglia di Cutty Sark che tenevo nascosta nell'armadietto, me ne versai un mezzo bicchiere e lo mandai giù in quattro sorsate. Poi appallottolai un pezzo di carta e lo lanciai nel cestino. Due punti. Lo recuperai e cominciai a esercitarmi al tiro al gancio. Avanzavo lentamente sul tappeto a passi ritmici, bilanciandomi con la mano destra fingendo di palleggiare scartando un avversario.
(Don DeLillo "Americana")


Chi mai sta giocando con la carta appallottolata? Di chi saranno quei passi attutiti dai tappeti? Le parole di DeLillo proiettano, nel mio cinema mentale, l'ombra del neo presidente Donald Trump.

Lo intravedo nella fuga di stanze, stucchi neoclassici che incorniciano specchi scintillanti e divani di velluto, gonfi di piume, su cui sembra non ci si sia mai seduto nessuno. Solo.
Vedo finestre antiproiettile ermeticamente chiuse e l'aria, che può circolare solo dai bocchettoni, oggi è calda e all'aroma vaniglia. Il rumore molesto dei dimostranti, le piazze e, per qualche ora, anche la Russia con Putin, sono lontani. Donne dai nomi di walchiria stanno riempiendo tutti gli armadi, la segreteria inesausta macina mail, la security controlla febbrilmente ogni angolo.
C'è un silenzio assoluto, pneumatico, la prima domenica sera alla Casa Bianca, se, il tintinnìo dei cubetti di ghiaccio nel bicchiere di cristallo, arriva fino a qui.
La campagna elettorale stenderebbe un bufalo ma non uno come lui. Si allenta la cravatta. Lo stomaco, pieno d'aria, preme dolente contro la cinta dei pantaloni.
Beve e brinda da solo, Donald Trump. 
Il mondo è fuori quelle finestre, oltre quelle tende color pastello. 
Ma non gli importa. 


(Solitudini)

sabato 21 gennaio 2017

Amore

Scegliendo un costume da bagno
da quando ho iniziato a vedere
attraverso i suoi occhi?
(Mayuzumi Madoka 1962)


Oggi vi offro uno haiku d'amore dove la devozione per l'altro rientra nella piccola quotidianità, uno haiku di una poetessa a noi contemporanea che nel suo sguardo raccoglie pezzetti di mondo urbano. Sì, nel suo lavoro le foglie di ciliegio o la luna cedono il posto a occhiali da sole e macchine sportive, ma il nucleo dell'involucro poetico di Madoka rimane quello classico: illuminare una zona minuscola, magari in ombra, spostandola in primo piano. Non è una vera sorpresa quel "da quando"?

Da dedicare all'amore, al suo arcobaleno e a tutti coloro che vedono attraverso gli occhi dell'altro e solo così trovano il costume giusto.

(Amore a sorpresa)

venerdì 20 gennaio 2017

Rigopiano

Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?
(Giacomo Leopardi "Dialogo della natura e di un islandese")



La tragedia della valanga cerca da ore un responsabile a noi comprensibile, da guardare in faccia, un responsabile in carne e ossa, un ente qualsiasi o, ancora meglio!, lo Stato tutto.  

Sento parlare di omissione di soccorso, di ladrerie, di sottovalutazione. Di turbìne che arrivano da troppo lontano, di volontari non preparati... possibile, possibilissimo.
Ma rifletto su una cosa ancora, sul nostro povero bisogno di trovare, disperatamente, un colpevole subito. Subito. Per placarci abbiamo bisogno di una ragione comprensibile a noi, miseri abitanti di un mondo non fatto per causa vostra.
Tutto è stato avvolto da una coltre straordinaria e maligna, mentre la terra ha tremato.
Non so, forse sono ingenua, forse sono stanca delle dietrologie, forse amo troppo Leopardi.
..



Mio padre ha studiato e letto tutta la vita. Lo ricorderò sempre alla sua scrivania, sommerso dalle carte, in un caos degno di un big-bang nel fumo delle sigarette e poi del sigaro, la testa seminascosta dalle pile di libri. Il suo amato Leopardi.

Il mio rammarico è non aver mai parlato con lui di quel magma poetico, non avergli mai chiesto spiegazioni né il perché ci lavorasse tanto e cosa mai, magneticamente, lo attraesse laggiù, così lontano. Ero solo una tipica adolescente disinteressata alle lettere perché già le respirava in casa comprese di fumo (l'uso di una protezione libresca, almeno questo, l'ho ereditato e la mia scrivania sembra, a casino, proprio la sua)
I cinque volumetti rilegati in pelle che racchiudono le opere leopardiane curate da  Francesco Flora sono la mia dote. Li ho presi e portati via con me quando, con estrema "naturalezza", se ne è andato e mi ha lasciato qui.


(Natura morta)

giovedì 19 gennaio 2017

Scossa di terremoto

Aspettando il prossimo tuono
incontro per caso
bellissimi occhi
(Saitō Sanki 1900-1962)


Quando la notizia da commentare riguarda eventi sovrumani come una nuova scossa di terremoto non posso, per trovare qualcosa su cui riflettere, che andare a scartabellare tra gli haiku. E' tale, lì dentro, il dominio di sé e la tensione verso un ascolto del mondo, che mi sembra l'unica cosa da leggere in giornate di paura.
E' un momento, è l'attesa trepidante, è lo sguardo dell'altro.

Ieri la prima scossa mi ha sorpreso a casa, la seconda e la terza e la quarta in redazione.
Sono rimasta inebetita per un po', seduta dove mi trovavo, alla scrivania. Poi mi è scattata una strana logorrea da paura, l'aria si è fatta elettrica, avevo bisogno degli altri. Di essere umani, non volevo stare sola. 
Ogni foglia dalla finestra, ogni attaccapanni diventava un sismografo. 
Poi la testa e quello che contiene si è calmata, i pensieri si sedimentavano uno su l'altro, con lentezza, come succede nelle palle di vetro con dentro la neve di porporina, e sono tornata nella mia stanza. 

A chi lo vive tutti i giorni da mesi e che ora è sotto la neve vera, questo piccolo haiku che conta così poco. 


(sotto lo stesso cielo)