e sempre ci si ferma sopra i ponti
per contenere quell’atomo di grazia
sospeso in equilibrio
tra gravità di sponde e cieca corsa d’acqua.
Ti darò appuntamento sopra un ponte,
in questa mezza terra di nessuno.
("Ponti" di Patrizia Cavalli)
Amo molto le poesie di Patrizia Cavalli e le amo con il senso di colpa di chi le ha capite tardi. Le ho, difatti, "recuperate" e rilette. Metto il mio sguardo in direzione del suo e cerco di farmi perdonare da quelle parole semplici, unite insieme in brevi poesie lucenti, che non avevo capito affatto appena incontrate. Eppure sono così immediate, così innamorate, così pronte, chiare e piene di promesse... Ecco, mi sembravano troppo facili? Quanto non capivo nulla!
...
In motorino attraverso tutti i giorni la Roma dell'architettura fascista, quella che sembra fatta di pezzi di torrone bianco
e duro, quello con l'ostia.
Tutti quei grugni, identici l'uno all'altro sotto l'elmo, sbalzati nei rilievi di marmo che ornano il ponte che sto per imboccare, mi sorprendono ogni volta. Davanti a me l'obelisco con la scritta DVX dove qualcuno si fa la foto ricordo (sto male ogni volta, non sono mai storici dell'arte), la Roma littoria che fendo in motorino cercando il mio atomo di grazia. Quella tronfia, marmorea. I monumenti, i palazzi dalle alte vetrate o con i mosaici con i mestieri, il colossei quadrati per gladiatori novecenteschi.
Canevari, Sironi, Fillia con i loro a colori lividi, i piedoni e le manone che significavano lavoro e spighe mature fanno mostra di sé in un'aula magna, dietro un altare o su un palazzo trasteverino.
Le Poste, le Stazioni, i mercati rionali.
Terragni, Moretti, Piacentini, i progettisti di una architettura razionalista ancora funzionale.
Strade larghe che io percorro da sempre, cubi bianchi e angoli smussati a sorpresa, innervano il mio paesaggio quotidiano, la mia topografia dell'animo. Pezzi di memoria da guardare in faccia, da usare, materiale urbano collettivo per non dimenticare.
Sono avvisi di quello che siamo stati, avvisi confusi tra le cupole barocche, occhieggiano nella Roma umbertina o tra una colonna e l'altra di quella augustea.
(De Chirico a Roma Termini) |
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