venerdì 5 febbraio 2016

L'uomo del futuro

Ho del riso
dei libri 
e persino del tabacco.
(Santoka 1882-1940)


Sono poche le cose che ci fanno andare avanti, sembra dire Santoka, e il libro di oggi può essere  una di quelle. 
"L'uomo del futuro" è la storia di un educatore, Affinati stesso, che ricostruisce alcuni momenti della vita di don Lorenzo Milani e lo fa con il solo mezzo che conosce: la letteratura. E non sono gli aspetti biografici del prete di Barbiana ad essere centrali nel racconto, ma l'osservazione di una tensione, di quel moto dell'animo, di quell'energia meravigliosa proprie della costruzione di un essere umano. Che sia Lorenzo Milani prete o giovane privilegiato, Affinati professore o studente, un ragazzo povero degli anni sessanta o il giovane Mohamed adesso arrivato dal Marocco in una delle nostre classi. 
Affinati è capace di mostrarci questo movimento invisibile ponendosi al centro di una forza - così umana - che si svela in tutto il suo impeto. Si interroga, si "usa", come usa il materiale letterario e biografico che ha accumulato nel tempo e che ora, leggendo, abbiamo anche noi davanti agli occhi: autori scoperti e amati, e le scelte di vita, le esperienze, gli incontri.
"L'uomo del futuro" è un libro sulla paternità, un tema caro ad Affinati e da lui sempre indagato per strade alternative. Una scrittura alta, aristocratica, piena di tenerezza.
Diventiamo padri dei nostri padri quando li superiamo per scelte, per cultura, per la nostra posizione nel mondo. Padri di figli mai generati eppure amati, cresciuti. 
Alunni che diventano i padri protettivi del loro insegnante, proprio loro, così scoperti e così esposti, che proteggono il professore Eraldo quando un giorno capita nell'officina dove lavorano che non vogliono che il loro maestro senta le parolacce, sono imbarazzati, vogliono preservarlo dalle brutture del mondo.
Vi sembra eccentrico definire la scrittura di Affinati "paterna"?
Di un un suo libro precedente mi sono portata dentro, ed è con me, l'immagine di un padre poverissimo che da ragazzino dormiva mettendo i pantaloni sotto il materasso per essere in ordine la mattina dopo a lavoro. Un'immagine che mi galleggia in testa da anni, nella sua carica di dignità e insieme di amore filiale. 
"L'uomo del futuro" continua il racconto che fu de "La città dei ragazzi" cercando ora le radici di una missione, le ragioni di una scelta come quella di insegnare agli adolescenti difficili. L'educatore si cerca, si perde e si ritrova e il colloquio con don Milani è fermamente letterario, di ricostruzione devotamente bibliografica. Mai un cedimento, mai una scorciatoia nell'andamento di questo libro.
Quale sarà l'immagine che conserverò di questa lettura non lo so. 
Per ora, ad accompagnarmi, è una sensazione di movimento. Una sensazione fisica e intellettuale, di energia pura, che non mi molla.






giovedì 4 febbraio 2016

Una storia

Al profumo dei pruni
d'improvviso, appare il sole
sul sentiero montano
(Bashō 1644-1694)



La storia di Anina Ciuciu, rom rumena che con la sua famiglia fugge dalla Romania per arrivare nel più grande campo nomadi d'Europa, il Casilino 900, non finisce in quella periferia romana.
Dopo anni passati a mendicare per le strade del centro - quante Anine che vedo in giro, quanti sguardi da regine che sfidano il mio, quanti palmi protesi verso di me, molli, ciondolanti come i lattanti appesi che succhiano - fugge verso la Francia. Lì viene aiutata da qualcuno - chi sarà questa persona generosa, cosa ha intravisto negli occhi di Anina che l'ha spinta a interessarsi a lei e alla sua famiglia? Quale sarà stata la prima frase che le avrà rivolto? Una parola gentile o un piccolo gesto? - impara il francese e va a scuola. Poi una borsa di studio, una laurea e ora un master alla Sorbona. 
Anina abita questa nostra Europa sbilenca e chiusa. La attraversa costruendo se stessa, riscattandosi, strappandosi dal mio sguardo perso e colpevole. Nell'intervista appare fiera, consapevole (leggila QUI), ricorda il profumo delle arance in Romania e la puzza di legni arsi con le lamiere del campo. 
Al profumo dei pruni, d'improvviso, appare il sole.

E, a quel sole, ci scaldiamo un po' anche noi.



("Grazieee e tanta bona fortuna")

mercoledì 3 febbraio 2016

Biblioteca Girolamini

I colori escono in cielo
e svaniscono
bolle di sapone tra le macerie
(Kaneko Tota  1919)


Solo lo straniante Kaneko Tota, impiegato e poeta giapponese a noi contemporaneo che guarda alle nostre cose con capacità chirurgica, può osservare cosa sta succedendo alla Biblioteca dei Girolamini a Napoli (QUI) senza accasciarsi. Ogni crepa sul muro, ogni libro trafugato, ogni prezioso dipinto consegnato all'incuria, ogni ricciolo ligneo staccato, ogni vetro caduto, ogni mattonella scheggiata sono bolle di sapone tra le macerie.
Questo patrimonio culturale che conta 150mila titoli, 5mila cinquecentine e numerosi manoscritti tra cui 6500 composizioni e opere musicali, amato e consultato da Benedetto Croce e da Giambattista Vico e, ai giorni nostri, da Marino Massimo De Caro e Marcello Dell'Utri (leggi QUI), sarebbe, sarebbe, un nostro tesoro. 
Di ognuno di noi. Proteggiamolo. Stringiamoci forte, facciamo barriera contro il decadimento culturale e facciamolo conoscere. 


(speranze)






lunedì 1 febbraio 2016

86mila

La pioggia notturna
suona una campana che dice:
"Tu non dormirai"
(Soseki 1867-1916)


La notizia è di oggi è veloce: nel 2015 sono arrivati in Europa 86mila minori non accompagnati.

Fino a quando non ho visto una mostra dedicata interamente a lui, fino a quando non l'ho conosciuto attraverso alcune installazioni al museo Gropius di Berlino un paio di anni fa, Ai Weiwei lo consideravo al massimo un guascone dell'arte contemporanea. Uno di quei pupazzi strapagati frutto di un super fraintendimento globale, pronti a darsi per un mucchio di dollari alla prima causa umanitaria. Sono uscita dal museo coda tra le gambe con il mio preconcetto inghiottitto come un boccone amaro. Ho conosciuto un gigante, solo questo, e non starò qui a raccontarvi proprio io tutto quello che ha fatto, la lotta sulla sua pelle contro il regime di Pechino, la reclusione in una cella diventata poi opera d'arte, l'attivismo ostacolato con ogni mezzo, il suo lavoro sul concetto di svendita delle antiche tradizioni cinesi attraverso le biciclette appese, la giada, o i vasi non più di fine porcellana ma cromati come ricche Mercedes... Ai Weiwei che è lo stesso che si posta su Youtube mentre balla il tormentone coreano Gangnam Style. 
Tanto è tutto on line fortunatamente, no. Non voglio fare lezioni di arte contemporanea proprio io che non lo avevo capito, no e non ci casco. 

Voglio solo contemplare questo numero con voi ancora un poco: 86mila.

Sembra già da solo un'istallazione pensata da qualcuno per farci ragionare, per spingerci a scegliere da quale parte stare. Nella zona del mercato, dell'opportunità, del razzismo - zona sempre meglio recintata - o in quella di un mondo diverso finalmente liberato da tutto questo?
86mila.
Ai Weiwei ha scelto. Questo gigante cinese con lo sguardo impenetrabile da fumetto anni quaranta, ha realizzato una delle sue opere più belle. La possiamo vedere tutti, è sotto i nostri occhi. Ha semplicemente scelto di chiudere i battenti anzitempo del museo di Copenhagen, che ospita i suoi lavori, per protestare platealmente contro le politiche danesi in materia di diritto di asilo. E poi è partito. 
E' andato a Lesbo e ha fatto questa foto in memoria del piccolo Aylan Kurdi. Ha poggiato la sua guancia sulla stessa sabbia.

Combattendo per l'idea che non lo fa dormire ci fa stare lì con lui, diventiamo Ai Weiwei che diventa Aylan e l'arte diventa meglio di qualsiasi dibattito, di qualsiasi soluzione a tavolino, di qualsiasi compromesso con le nostre coscienze di esseri umani. 
Di qua o di là?  
Tu non dormirai, dice l'haiku.



venerdì 29 gennaio 2016

Alcazar

Me ne vado -
in una striscia di sogno
la Via Lattea
(Sōseki 1867-1916)



Leggo che negli ultimi dieci anni hanno chiuso mille sale cinematografiche in tutta Italia. Mille luci spente. 
Clic. Clic. Clic.Clic. 
E noi siamo tutti più grigi perché le città con i cinema, con quel tipo di cinema, quelli con una programmazione ricca e internazionale, hanno più finestre sul mondo. 
Mille cinema in meno sono mille possibilità in meno per scoprire un autore, un festival, per ascoltare gli attori nella loro lingua senza essere doppiati, per vedere documentari, assistere ai dibbbbbattiti. Sì. Avete capito bene. Amo i dibbbbbattiti. 
Per quanti bingo in più? Quanti bancomat al posto del botteghino rosso e nero? Quanti tavoli di risto-pizza al posto delle poltrone? Quanti compro-oro al posto di Kurosawa o di Fellini o di un nuovo regista che scoprivamo, insieme, ogni volta? 
La striscia di un sogno.

Leggo che anche l'Alcazar non ce la fa e che dovrà chiudere dopodomani. A molti dirà poco ma per me, l'Alcazar,  quel cinema trasteverino dal nome esotico come un tappeto volante, era il divano di casa mia. E si volava ovunque dall'Alcazar. Altro che multisala. Era un pezzo di casa di noi che amiamo il cinema, di noi che amiamo scegliere cosa vedere e non essere scelti da un algoritmo che ci propina i film a casa, che si attaccano come cookies ai nostri schermi, ai nostri occhi tristi formato netflix.
E poi cari amici e care amiche che mi ammorbate con le serie che vi vedete per ore, per giorni, che mi asfissiate con personaggi fichissimi che, vi giuro, non mi interessano, che mi blaterate di "sceneggiature da fare invidia al cinema" e di storie incredibili che non ho un'idea, vi chiedo: perché lo fate? 
E un tempo mi parlavate di cinema d'autore, andavamo tutti al Metropolitan in via del Corso, ma ve lo ricordate? Vi ricordate che bella la sua insegna? Solo per quella meritava il biglietto. 
E mentre state tappati in casa, fuori, il cinema Aurora è diventato un hotel, il Rivoli e l'Ovelook sono chiusi da sempre, l'Alfieri è stato trasformato in Chiesa Evangelica, il Luxor in un supermercato, l'Holiday, il Golden, L'Induno...
Erano divani di casa mia, di casa nostra. 


(buio in sala)