venerdì 4 maggio 2018

Password


Lo squillo del telefono nella casa deserta,
dà un brivido sottile, recide oscure speranze.
Non mi mossi, non scesi neppure fino all'orto.
Fin qui presente e assente in questa luce
da finestra a finestra della casa
ore e ore, lasciai venire e andare
pensieri eterni nella mente inerte.

Il giorno lungo e fradicio leva alti i suoi vessilli.
E' tardi? Il carpentiere sale sui castelli e ponti.
Lo sai, mi tengo pronto al tuo richiamo,
veglio, attendo, fo sì che non risuoni
lo squillo del telefono nella casa deserta.
(Mario Luzi)


Negozio di telefonia. Sono in fila, paziente, con gli auricolari che non funzionano più tra le mani, in attesa del mio turno per poterli cambiare.
Davanti a me un altro cliente. L'operazione che lo riguarda, e che mi precede, è di quelle lunghe, il back up del suo telefonino. Dati e foto riversati da un cavo nel pc collegato, con un altro cavo, al device appena acquistato.
"Password?" chiede il tecnico al cliente per ultimare l'operazione.
"Pisellone" gli risponde, "con la p maiuscola".
lasciai venire e andare
pensieri eterni nella mente inerte
Vabó. Tutti seri, in fila qualcuno guarda alla punta delle sue scarpe, un altro rimira il soffitto.


(senza password)


giovedì 3 maggio 2018

La nostra Storia


Non ti vuole ti espatria
si libera di te
rifiuto dei rifiuti
la maestà della notte.
(Vittorio Sereni "Notturno")


Di una cosa invidio coloro che verranno dopo di me: potranno leggere la Storia collocando gli eventi, con causa ed effetti, nel giusto ordine. Potranno capire le ragioni degli uni e degli altri, sottolineando date e avvenimenti, evidenziando di giallo fosforescente svolte e decisioni che, ora che le vivo, mi sembrano solo affastellarsi confusamente.
Le scelte egoistiche dell'Europa, Trump. Il ruolo di Putin. I populisimi e la "piattaforma Rousseau".
Un ragazzo che si fa esplodere e il suo coetaneo Giulio Regeni, dittature travestite da democrazie, primavere implose in inverni lunghissimi, alti muri alzati su confini su cui premono le stesse vittime... Oggi nel "mare" che fa rima con "bare" ci si fanno i tuffi. Le grandi migrazioni.
Ma un giorno, qualcuno, magari tra mezzo secolo, studierà questa nostra Storia. 

Amo lo studente che imparerà questa nostra Storia. Stenderà questa mappa sgualcita del mondo di ora, lisciandone le pieghe con le dita, e ci capirà finalmente qualcosa di questi anni arrivati dopo le torri gemelle. 
E lo schemetto riepilogativo a fine pagina per l'interrogazione mi darà quel sollievo che non provo adesso, ora che vivo quegli avvenimenti. Ora che ci sono dentro.


(Dentro lo storia)


martedì 1 maggio 2018

1 maggio


Come un braccio troppo allungato
e stanco - il fumo rosso scuro 
dell'acciaieria.
(Kaneko Tōta 1919)


Uno haiku adatto per oggi, Festa dei Lavoratori, dove in tre versi c'è la sintesi di tutto. Il braccio, allungato e stanco nello sforzo, il rosso, l'acciaieria. Un'immagine di forza e di fragilità insieme che evoca il diritto alla tutela dei lavoratori sia sul piano delle riforme che in quello della sicurezza. In più, l'autore ha studiato per anni economia. Un poeta economista. 

Al Paese che crede possibile un reddito di cittadinanza, che si regge sui lavoretti, dove i tatuatori sono più degli idraulici, al Paese dove, comunque e in qualsiasi ambito, il nero sovrasta il rosso, i miei più sentiti auguri.


(Bandierina rossa)

venerdì 27 aprile 2018

La gentilezza del vento primaverile

In profondità io vado
In profondità io vado
Montagne verdi
(Santōka 1882-1940)

La circolarità di un cammino che non ha meta se non il cammino stesso, le montagne eternamente uguali nei secoli, il peso di un senso di colpa che diventa universale. 
Porto poche cose, viaggio leggera come Santōka. Non so se sono proprio una viaggiatrice, di foto ne ho fatte tante e a alcune sono anche nel libro, ma tendo a viaggiare da ferma. Spero che valga.
Santōka scrisse questo cartello e lo piantò ben in vista davanti alla sua capanna (omise che il saké sarebbe stato graditissimo, coda di paglia, ma lo amo per questo!):

"Se porti il tuo cibo preferito dolce o salato
e ami danzare o cantare con la gentilezza
del vento primaverile o con i torrenti autunnali
e non ti dai arie o ti abbatti
tutti ti accoglieranno con gioia"

Santōka è il più diseredato dei poeti zen, il più solo e povero, colui che aveva sbagliato tante volte e che ha perso molti treni in vita sua. E colui a cui penso quando vedo un uomo disperato, senza lavoro, senza casa o qualcuno biascicare qualcosa che nessuno capisce e poi si butta in un angolo.
Santōka ci ricorda che la pratica ascetica e, infine, anche la letteratura, non sono patinati. Non "vendono" molto. Che il buddismo non si pratica dalle 18 alle 20 in una palestra esclusiva, non veste alla moda. È per pochi, spesso mette a disagio e puzza di umanità.
Senza quiete, camminava per chilometri e chilometri su e giù per il Giappone consumando i suoi tabi, i leggeri sandali in paglia dei monaci. Viveva di elemosine e dormiva dove capitava. San-to-ka che significa "alta cima fiammeggiante", a dispetto dl suo nome altisonante dormiva spesso per terra, sotto le stelle e con i grilli. Si ubriacava di sakè per riprendersi dalla fatica esistenziale, dai fallimenti professionali, dalla stanchezza fisica, dalla solitudine. Osservatore delle piccole cose quotidiane come foglie, lucciole, un pugno di riso, una mosca, una pozzanghera, le annotava in forma di haiku sul suo diario.
Nel suo cammino Santōka ci ha lasciato versi trasparenti e universali.
Personalità caratterizzata da una tensione psicologica strettamente novecentesca, di colpevolizzazione e fallimento, Santōka scrive nel suo diario che "la fede è l'origine, lo haiku la sua espressione. Per questo devo camminare, camminare, camminare fino a che non arrivo".
Forse questo mio libretto, la traduzione del diario e dei suoi haiku, il dialogo che ho immaginato tra noi due, averlo come calato tra le mie cose, nella mia quotidianità, dentro l'esperienza di Radio3, ha prolungato di un po' il suo viaggio. Mi piace pensarlo. 
E anche il mio, di viaggio, è sicuramente diventato più bello.

(Unpof)

giovedì 26 aprile 2018

Come un film


Più forte è la luce
più grande l'ombra
(da "Il prigioniero coreano" di Kim Ki-duk)

Ho da poco visto il film di Kim Ki-duk, è da lì che traggo questa battuta. Un film poetico, indimenticabile, di quelli che sedimentano e ancora nei giorni successivi alla sua visione rilasciano qualcosa, e poi qualcosa ancora, e ancora, dentro di te.

E' tutto pronto per l'incontro di domani tra i due presidenti coreani, il mondo li osserverà, spettatore di un altro pezzo di storia.


(alba)


mercoledì 25 aprile 2018

25 aprile


QUI ABITO' GIOVANNI RE
MUSICO SOLDATO COSPIRATORE
CHE ALLE LIBERE ARMONIE DEL GIUSTO E DEL BELLO
ASCESE DALL'ORRENDO MARTIRIO
DEI CAMPI DI GERMANIA
MILANO 1891-LENGENFELD 1945
(Una lapide a Milano)


Che vita avresti continuato a fare, Giovanni Re? Il tuo nome era quello di una nota musicale o di un sovrano? Chi amavi?

Il monumento per le tombe dei 335 caduti alle Fosse Ardeatine di Roma è stato concepito con geniale devozione. Una lastra di cemento grigio, enorme, possente, pesante, pare levitare sulle tombe raccolte sotto la sua protezione, sospesa. Il taglio di luce che scaturisce e che con potenza preme ai bordi, sembra un respiro.

(Libera armonia)




lunedì 23 aprile 2018

La bulla gioventù


"Prendete la luna"
dice il bambino,
piangendo.
(Issa Kobayashi 1763-1827)


Siamo il posto dove in tv si trasmette uno spot di vendite immobiliari che vede un bambino inserire l'annuncio per la casa dei sogni della sua allegra famigliola, siamo il posto dove sempre i bambini sono chiamati a dare risposte su questioni che a quattro anni forse non capiscono ancora, come: "Vuoi stare con la nonna o con la zia?". O nel nome del rispetto per il suo gusto perché "ha già un gusto tutto suo, sai?" gli viene rivolta la tipica domanda: "Vuoi metterti la gonna o il vestito, la tuta celestina o i leggins fuxia?". O, ancora più lesivo per il prossimo, le maledette: "Vuoi il cono o la coppetta? Il cioccolato o la stracciatella? La pizza margherita o la pasta? " In attesa, il cameriere sudato ad aspettare il responso e una fila di un chilometro alle spalle del piccolo amleto.
Fino ai miei dodici, tredici anni anni sceglievano per me. Risultato? Io in relax e i miei meno bisognosi di conferme. Ma soprattutto non venivo esibita in società come un traguardo ottenuto, non mi vestivo come mia madre o mia nonna (!), se non salutavo un adulto non venivo giustificata dicendo "è stanca!" ma presa per un orecchio, se prendevo un quattro l'insegnante non veniva denunciato al 113, tanto meno gli spaccavo il grugno col tirapugni di papà. 
Non mi sembra di avere subito grandi traumi. E il proiettore agognato, quello fico esposto in vetrina, e che ogni santo giorno guardavo con occhi vogliosi, modello costoso rosso e blu con cui avrei potuto proiettare sul muro cartoni animati veri che si muovevano veramente e non le ombre cinesi con le quali mi ingegnavo low cost, a Natale non l'ho mai ricevuto. Costava troppo. Il coniglio con le zampine davanti che erano invece i miei indici, mi divertiva, sì, ma poi non tantissimo, ma andava bene lo stesso. 
E se non c'è riuscito Michele Serra - che si è sdraiato lui stesso, accartocciato in un'analisi alla fine risultata un po' snob - non basta certo lo spazio di un dailyhaiku per capire come mai i genitori se la fanno sotto se devono dire no e il loro pargolo è capace di tutto per un misero sei. 

(come una volta)