venerdì 27 aprile 2018

La gentilezza del vento primaverile

In profondità io vado
In profondità io vado
Montagne verdi
(Santōka 1882-1940)

La circolarità di un cammino che non ha meta se non il cammino stesso, le montagne eternamente uguali nei secoli, il peso di un senso di colpa che diventa universale. 
Porto poche cose, viaggio leggera come Santōka. Non so se sono proprio una viaggiatrice, di foto ne ho fatte tante e a alcune sono anche nel libro, ma tendo a viaggiare da ferma. Spero che valga.
Santōka scrisse questo cartello e lo piantò ben in vista davanti alla sua capanna (omise che il saké sarebbe stato graditissimo, coda di paglia, ma lo amo per questo!):

"Se porti il tuo cibo preferito dolce o salato
e ami danzare o cantare con la gentilezza
del vento primaverile o con i torrenti autunnali
e non ti dai arie o ti abbatti
tutti ti accoglieranno con gioia"

Santōka è il più diseredato dei poeti zen, il più solo e povero, colui che aveva sbagliato tante volte e che ha perso molti treni in vita sua. E colui a cui penso quando vedo un uomo disperato, senza lavoro, senza casa o qualcuno biascicare qualcosa che nessuno capisce e poi si butta in un angolo.
Santōka ci ricorda che la pratica ascetica e, infine, anche la letteratura, non sono patinati. Non "vendono" molto. Che il buddismo non si pratica dalle 18 alle 20 in una palestra esclusiva, non veste alla moda. È per pochi, spesso mette a disagio e puzza di umanità.
Senza quiete, camminava per chilometri e chilometri su e giù per il Giappone consumando i suoi tabi, i leggeri sandali in paglia dei monaci. Viveva di elemosine e dormiva dove capitava. San-to-ka che significa "alta cima fiammeggiante", a dispetto dl suo nome altisonante dormiva spesso per terra, sotto le stelle e con i grilli. Si ubriacava di sakè per riprendersi dalla fatica esistenziale, dai fallimenti professionali, dalla stanchezza fisica, dalla solitudine. Osservatore delle piccole cose quotidiane come foglie, lucciole, un pugno di riso, una mosca, una pozzanghera, le annotava in forma di haiku sul suo diario.
Nel suo cammino Santōka ci ha lasciato versi trasparenti e universali.
Personalità caratterizzata da una tensione psicologica strettamente novecentesca, di colpevolizzazione e fallimento, Santōka scrive nel suo diario che "la fede è l'origine, lo haiku la sua espressione. Per questo devo camminare, camminare, camminare fino a che non arrivo".
Forse questo mio libretto, la traduzione del diario e dei suoi haiku, il dialogo che ho immaginato tra noi due, averlo come calato tra le mie cose, nella mia quotidianità, dentro l'esperienza di Radio3, ha prolungato di un po' il suo viaggio. Mi piace pensarlo. 
E anche il mio, di viaggio, è sicuramente diventato più bello.

(Unpof)

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