lunedì 7 agosto 2017

Conosco i miei lonfi


Il lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco, e gnagio s’archipatta.
È frusco il lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e t’arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;
e quasi quasi, in segno di sberdazzi
gli affarfaresti un gniffo. Ma lui zuto
t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.
("Il lonfo" di Fosco Maraini)


Non mi direi un'animalista, nel senso di attivista.    
E, lo ammetto, le diete di qualsiasi genere mi annoiano; le privazioni mi intristiscono e, se conto, cedo alle tentazioni senza neanche arrivare al 3. 
A proposito, fuggo anche i troppo religiosi; su di me i loro precetti scivolano tra uno sbadiglio e uno stiracchio.
Insomma, poco -ista e pochi -ismi, per quanto mi riguarda.  
Ma nessuno tocchi il lonfo, siete avvertiti!!!


Ho divorato in un sol boccone "Conosco i miei polli" di Margherita d'Amico - si potrà mangiare metaforicamente la carta in santa pace o è politicamente scorretto? -  ovvero il manualetto delle frasi fatte dove un animale caratterizza una nostra abitudine. Spesso in modo improprio.
La lingua ci definisce per quello che siamo, quindi: mangio tanto? Avrei "una fame da lupo" (se solo il lupo si ingozzasse, cosa che in realtà non fa mai). Ho una febbre da cavallo? Tutto bene! (gli equini hanno una temperatura come la nostra, uguale uguale). 
E sapevate che le cavallette si stanno estinguendo? Attenzione a usarle come epiteto dispregiativo, dunque. Sul sorcio, niente paura, non è una specie a rischio, e quindi d'Amico può divertirsi e ricostruisce l'origine dell'espressione "far vedere i sorci verdi" (pag 30). 
Godibilissimi, gli istruttivi paragrafetti "scopare come ricci", "avere grilli per la testa" o "sentirsi una cozza". Lo dobbiamo ammettere: noi umani siamo molto, molto approssimativi.  
Nello scaffale, sezione "A", di allegria, sistemerei anche questo piccolo volume illustrato, in bella vista, vicino a "Gnosi delle fànfole" di Maraini e alle filastrocche di Toti Scialoja.   

Frenando il triciclo mi chiede il tricheco:
"Sai dirmi, da amico, dov'è che mi reco?".
(Toti Scialoja)


(polli e farfalle)





   

      

venerdì 4 agosto 2017

ONG


Pescatori d'acqua dolce -
una voce dice:
"tornate a casa"
(Yosa Buson 1715-1783)


Sulla questione "ONG e favoreggiamento dell'immigrazione", sulle ragioni della procura di Trapani e quelle delle varie Jungen Rettet, lo ammetto, potrei cercare con molto più interesse una qualche informazione. Qualcosa che mi illumini un po', qualche pezzo pacato su cui riflettere e che mi offra un bandolo in tutto questo casino, uno spiraglio qualsiasi sulla verità (leggi QUI)
Ma in tempi friabili come questi è come se rifiutassi di interessarmene. Intraleggo solo, ma chiaramente, le ennesime possibili strumentalizzazioni del tipo: siamo troppi, tornate a casa, ci rubano il lavoro, aiutiamoli a casa loro, migranti economici no, migranti politici sì, profughi boh...
Uniche, solide, certezze.


(Torno subito)











  

giovedì 3 agosto 2017

Voglia di vivere


La brezza dalle montagne
nella campanella del vento
mi fa venire voglia di vivere
(Santōka 1882-1940)


Cagliari, in un autobus.
Il controllore ferma un ragazzo pakistano perché sprovvisto di biglietto ma, compatti, tutti i passeggeri insorgono e lo difendono. 
Non ha fatto in tempo a timbrare! È appena salito, razzisti! Razzisti!
La scena viene filmata, un giornale la pubblica e arriva sotto i miei occhi. (notizia e video QUI)
Una brezza fresca. Una cosa minuscola che fa venire voglia di vivere.


(Resistenza urbana)







mercoledì 2 agosto 2017

Poeti


Perché la pioggia, perché il vento e le pianure
notturne, l'erba gialla, il respiro. Quell'acqua
che scroscia nei vicoli, e i prati. Perché
non c'è tregua, o domani. Soltanto
le sbarre, la gabbia di un io.
L'inferno è non essere gli altri,
guardarli passare e sparire nel niente:
un posteggio che piano si svuota, il cantiere del vento.
("Breve omaggio a Plutone" di Fabio Pusterla)


Meno male che ci sono i poeti che raccontano quello che siamo, quello che sono io, in questo preciso momento. Ora.
Così, nel posteggio che piano si svuota mi faccio fare una foto da Fabio Pusterla.
E me la leggo e rileggo. 
L'inferno è non essere gli altri, guardarli passare e sparire nel niente
E rileggo ancora. Soltanto le sbarre, la gabbia di un io. L'inferno è non essere gli altri.


(dentro una poesia)
  


martedì 1 agosto 2017

Miraggio


Gli strateghi romani
inventarono l'acqua corrente
ma prima l'accecarono
forzandola nelle condotte, 
convogliandola nel buio.
Per ovviare ai dislivelli
la fecero rifluire
dentro un imponente
animale preistorico
detto acquedotto.
Le ridiedero la vista
alle terme, al Circo,
e nei fontanili.
E questo fu il miracolo
dell'idraulica romana
("Roma e l'acqua" di Valentino Zeichen)



Quaranta gradi (notizia QUI). Roma è in secca
Sto acquattata tra le canne bordo Tevere, rimbambita dal caldo, un miraggio: a pelo d'acqua galleggiano tutti gli autobus che non arrivarono mai, e ora scorrono via, e tutti i sacchi di rifiuti mai smaltiti. Scorrono milizie di tassisti brutali come gladiatori. Li vedo. Via. Ciao ciao. Glu glu.
Portati dalla corrente scivolano lontano tutti i dirigenti rapaci, ancora con i piani regolatori sotto il braccio, e quelli incapaci. E scivolano via i negozianti che ti fregano, gli automobilisti aggressivi che dai finestrini stanno ancora facendo il dito medio, le panchine sradicate dagli ultras con ancora gli ultras attaccati. Via... Galleggiano leggere leggere teste rasate saldate a colli taurini, tra i bicipiti tatuati, via...
Anguille, che sono pezzi di tubature, - l'eternit rimanda i suoi ultimi abbagli al sole bianco - scivolano nella fanghiglia di scontrini mai fatti, nella schiuma appiccicosa di certificati da esibire entro il e dalle alle.
Ciao Roma melmosa, ciao Roma disperante. Ciao. 
Meglio che mi metto il cappello. Il sole picchia.


(Roma capitale)






lunedì 31 luglio 2017

Vacanzassenza


Assenza,
più acuta presenza.
Vago pensier di te
vaghi ricordi
Turbano l’ora calma
e il dolce sole.
Dolente il petto
ti porta,
come una pietra
leggera. 
("Assenza" di Attilio Bertolucci)



La mia estate in città, al massimo, è fatta di arene per il cinema, e non di arenili. 
Il mio paesaggio? I tramonti, urbani come le albe, lunghi e arancioni. Qualche occasione in saldo, dimenticata sugli scaffali mezzi vuoti. Le strade senza traffico con semafori sempre verdi, una goduria per il mio motorino.
Un gelato come piatto tipico e la mia casa che ronza per il ventilatore. 
Le cicale cantano all'unisono e sembrano una sola, gigantesca, e che mi segue. Le foglie degli olmi resistenti al misterioso fungo ammorbante scrocchiano sotto le suole. In alto pappagalli saettano nel cielo violetto dell'aperitivo, una micro flotta aerea in picchiata verso la base.
Io sono qui a gustarmi l'assenza di vacanza e un prosecco, da sotto il platano più gagliardo del quartiere.
I miei migliori amici sono lontanissimi, in Oriente, in India... 
Guardo le loro foto sul cellulare. Mi inviano elefanti veri visti vicino vicino, enormi foglie umide, pezzi di mare dietro capanne di legno. Conchiglie come radici, un laghetto che pare riempito di neon fuso. Carezze che arrivano da laggiù.  
Stasera mi sembra tutto così lontano.


(merlo indiano)




  

venerdì 28 luglio 2017

Passeggiate


Faccio la mia passeggiata,
essa mi porta un poco lontano
e a casa; poi, in silenzio e senza
parole, mi ritrovo in disparte.
("In disparte" di Robert Walser)


La passeggiata con Santōka mi ha portato, e continua a portarmi, lontano. Il libro, e poi gli incontri letterari e i festival a cui ho partecipato, - l'omaggio (mai più azzeccato) di una sacca da viaggio a cui sono legatissima proprio perché mi appare significativa - e il blog, un posto che, ogni giorno, e per rimanere in tema di cammini, si delinea come un sentierino in mezzo al web.

Passeggiare. 
Negli stessi anni in cui il mio monaco zen Santōka camminava fino allo sfinimento e si ubriacava, perdendosi e ritrovandosi, un intellettuale si aggirava nella Svizzera tedesca di fine ottocento dall'altra parte del sole, verso occidente.
Anche Robert Walser è un poeta in cammino e, del passeggiare, con l'opera sua più famosa, "La passeggiata", il cantore; nella forma di un racconto che assomiglia a un mantra da ripetersi passo dopo passo, in un'atmosfera in perenne movimento, umbratile e con sprazzi di totale limpidezza, pare contempli il lettore attraverso la sua scrittura, quasi chiedendogli di assecondarlo nel passo.
L'urgenza del suo "passeggiare" si unisce anche a una certa noncuranza nel nominare le cose osservate lungo la strada (il fiore è spesso anonimo, l'animale che gli attraversa la strada non ha una razza precisa e gli alberi intorno sono sì fronzuti e di un "verde acceso" ma rimangono, sulla pagina, "solo" degli alberi). 
A Walser urge l'essenza delle cose e che poi coinciderà con quel "tutto" che ci contiene: egli contempla la natura e vi annega.
Dal suo "Racconto di viaggio", tratto dalla raccolta "Seeland", il nome della regione svizzera in cui nacque:

"Fra la partenza, o punto d'origine, e la meta del viaggio, o compimento dell'impresa, c'erano innanzitutto monti, poi ancora monti e infine sempre monti"

E pare plausibile la suggestione che Santōka abbia un qualche dialogo con questo suo collega lontano, questo bislacco occidentale inquieto, ammirato da Canetti e da Kafka, intellettuale in disparte come il titolo della sua poesia che riporto, un uomo dalla vita scombinata che fece il cameriere e l'impiegato. 
E sempre in cammino, e senza pace.  

In profondità io vado
in profondità io vado
montagne verdi
(Santōka 1882-1940)


(a km 0)