domenica 23 aprile 2017

È tempo di libri

"Nessun vascello c'è che, come un libro, possa portarci in contrade lontane"
(Emily Dickinson)


Ti prendo alle lettera, cara Emily, e penso ai mille viaggi che ho fatto "per" i libri.

Trasferte, fiere, saloni. Presentazioni. E viaggi per amore, i più euforici.
E ho conosciuto organizzatori, curatori e direttori editoriali, di collane e di giornali. Uffici stampa, uffici accrediti, ho fatto pass, ho raggiunto stand, sbagliato desk. Alloggiato in foresterie di lontani istituti culturali, mangiato cose esotiche e comprato souvenir. Ho conosciuto lettori, non lettori, lettori forti e con loro scrittori veri, mezzi scrittori, scrittori al tornio del solitissimo investigatore. Grandi editori, piccoli editori, medi editori. Manager rampanti e vecchi leoni. Critici, criticoni e organizzatori di premi. Giornalisti-scrittori, medici-scrittori e cuochi-scrittori. Autori che sembravano così e invece erano colí, autrici comprese, poeti incompresi e sbancatori di classifiche.
Sono felice, Emily, della mia vita fino a oggi in mezzo ai libri e, sempre con la bussola della lettura tra le mani, continuo il mio viaggio tra le persone che li fanno.


(Viaggio)






giovedì 20 aprile 2017

Anvedi sì che robba

Com'è strano
anche vivere così!
L'ombra dei fiori
(Issa Kobayashi 1763-1827)



Pausa pranzo. Sole tiepido.
"Sei grandissima! Me posso fa' 'na foto cotté?" 
Un ragazzo col telefonino, due o tre curiosi che fanno capannello intorno a una tipa agghindata come per l'ultimo dell'anno, leopardatamente seduta a uno dei tavolini apparecchiati fuori la grande pasticceria romana, antico crocevia di paparazzi, figuranti, pubblico mercenario, impresari di basso cabotaggio, calciatori imbolsiti, avvocati che andranno a giocare a tennis dopo il supplì. 
Chi è questa, mi chiedo. E dove l'ho vista? Ma, poi, l'ho vista realmente da qualche parte, la conosco?
Sei un'attrice, una comparsa televisiva, una del pubblicodiforum, una exdelgrandefratello, una tronista attempata, una ballerina di nonélarai trenta anni dopo, una dellavitaindiretta, una diunafiction, chi sei mai?
E tu che le chiedi un selfie, chi sei? Dove vivi? Che lavoro fai? A chi invierai la foto che ti stai facendo? Che faccine metterai come commento all'incontro a cui assisto? E perché ti depili le sopracciglia così?

Sopravvive una Roma cotonata da cui sono, nonostante tutto, perversamente sedotta. 

Osservarla in silenzio, possibilmente dal riflesso di una vetrina, è il mio salvavita, il mio kit di sopravvivenza, il mio metadone da bar. 
Scoprirne gli scampoli felliniani sopravvissuti, le strofe di Remo Remotti per sempre nella sua aria primaverile, i graffi anni ottanta di Schifano che, eterni, sbavano vernice è, per me, una droga irrinunciabile.


(vasto assortimento interno)









         

martedì 18 aprile 2017

Vecchi ragazzi


Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande
(Santōka 1882-1940)



Non si scendeva dall'auto fino a che Bracardi non la smetteva di spernacchiare al microfono, o fino a che Marenco non la piantava di urlare con quella voce in falsetto che sfumava sulla sigla. E i miei che ridevano insieme, mentre io capivo poco ma volevo ridere per forza, con loro, io che ero troppo ragazzina e non coglievo le battute ma ostentavo grande divertimento sganasciandomi, per essere come loro, del gruppo dei "grandi". E così ridevo, "ridevo anghe io" e ascoltavo i dischi che uscivano da dentro quella radio con l'antenna che si tirava su.
Forse sì, i miei maestri radiofonici sono stati proprio quelli di Alto Gradimento... 
Li ho "lisciati" per generazione, mannaggia, non sono riuscita a far parte di quel gruppo direttamente, ma ho conosciuto la sua eco comunque, entrando in radio. Posso dire di averli sfiorati un po'. Ho acciuffato al volo la fine di un'epoca, quelle competenze tecniche e organizzative, tutta quella, vi sembrerà strano, "serietà" professionale. 
(Recentemente Marenco mi è riapparso, sempre a via Asiago, ma dentro l'ascensore, stessi capelli dritti e rossi, mi disse che era capitato nei suoi vecchi studi per un'intervista, io gli ho fatto un inchino per gioco. Abbiamo condiviso qualche piano sorridendoci, gli ho taciuto che un giorno di anni e anni prima mi sollevò di peso portandomi in giro per i corridoi del secondo piano di viale Mazzini. E poi Bracardi, che un'altra volta ho riconosciuto, così serio e magro, all'entrata del palazzo. Ragazzi vecchi.)    

Proprio oggi, qui in Via Asiago, la sede storica della radio, nella mitica sala B, è stata allestita la camera ardente per Gianni Boncompagni. La musica che amava usciva dagli altoparlanti, le luci colorate, fisse, abbagliavano, gli amici intorno, le figlie e i nipoti. Un suo fotomontaggio buffo incorniciato ai piedi della bara.  
La camera ardente più allegra, geniale, e coerente a una vita, che abbia mai visto.


(Alto gradimento)













  





lunedì 17 aprile 2017

Pasquetta


Sotto l'albero tutto si copre
di petali di ciliegio,
pure la zuppa e il pesce sottaceto
(Bashō 1644-1694)

Non so se Bashō amasse mangiare fuori porta uova sode e fave fresche, certo è che questo suo haiku sa tanto di pic nic e di una giornata di sole primaverile.
Buona Pasquetta!


(Avanzi pasquali)

domenica 16 aprile 2017

Buona Pasqua


Quiete
in veranda, forbici
e peonie

(Sōseki 1867-1916)


Un haiku come un piccolo uovo. Liscio, perfetto, semplice. I miei auguri li trovate nel suo interno, nello spazio bianco tra i versi; il tempo sospeso della festa, un cielo sereno, un po' di verde e di primavera... E la sorpresa di un germoglio nuovo. 
A me le sorprese sono sempre piaciute. Auguri!


(Quasi pronto)













venerdì 14 aprile 2017

Venerdì santo


In questo tempo
mi abituo al lampo
e al viaggio
(Momoko Kuroda 1938)



Venerdì 14 aprile. Sfoglio il giornale, come ogni mattina. Che notizia scelgo per oggi? La "super bomba" di Trump o la vendita del Milan? E quale poeta, quale foto scaricare dal mio cellulare che possa richiamare magari un ciuffo biondo o un parrucchino maròn? 


Era solo ieri sera, una cena a casa di amici. 
Una coppia che non conoscevo poi così bene raccontava la sua esperienza di lavoro solidale in posti lontani e ancora sanguinolenti, di mani che scivolano da altre mani nel tentativo di un salvataggio, di morti che galleggiano sotto sguardi impotenti. 
Se ci fosse stato un regista, di quelli bravi, ci avrebbe inquadrati così, raccolti intorno a una tavola bella, i nostri visi uno dopo l'altro, le candele sul mobile accanto.  
Stacco.
Nello stesso momento il sacrificio pasquale si rinnovava al largo della Libia, in quel mare che stavamo raccontando, e si ripeteva ancora una volta una pasqua per ogni cristo che ha tentato la salvezza, il suo povero rito monco, senza resurrezione. 

Allora scelgo la perenne attualità di queste morti. Sono ancora altre cento (notizia QUI).
Persone fatte di sogni, aspirazioni, caratteri, e di mani, braccia, occhi, capelli, visi. Cuori, cervelli. Ognuno di loro ero caro a qualcun altro, ognuno aveva un nome, un compleanno.
La farò sempre, la faccio per me, la mia preghiera laica, provando a pensare a ognuno di loro.  
Abituarsi al lampo e al viaggio no, non dovrà mai succedermi.


(passione di cristi)



giovedì 13 aprile 2017

Fonzie e le fake news


Io ho parlato ed un altro ha sentito
ed ha bisbigliato ad un altro, un terzo ha capito
mentre un quarto, prendendo un bastone di quercia,
è uscito nella notte – verso un’azione eroica. Il mondo su questo
ha composto una canzone e con questa stessa canzone
sulle labbra – o vita! – vado incontro alla morte.


Se da piccola facevo una cosa che non dovevo fare, tipo dire una bugia, sapevo che avrei dovuto chiedere scusa. In quegli stessi anni qualcuno, mettendo in connessione un elenco di nomi tra loro, iniziava a lavorare su internet ma, tranquilli, eravamo ancora agli inizi.

Alla fine degli anni settanta Fonzie ci provava, eccome, a chiedere "scusa", ma gli usciva dalla bocca contratta solo uno "sc", come un singulto (per i nervi dava una botta al jukebox  e il disco partiva e la puntata continuava). La sera, Sandra e Raimondo ci divertivano con "Tante scuse" e in un garage lontano lontano, un giovane capelluto di nome Steve Jobs cincischiava tra cavi, schermi e matematica. Ma, tranquilli, eravamo ancora lontanissimi dal conoscere i cavoli altrui e con essi l'espressione "in tempo reale", le notizie arrivavano sì, ma sempre molto tardi e i giornali uscivano con un'edizione serale. Se qualcuno dava una notizia sbagliata partiva la lettera del direttore con le scuse, pubbliche, il giorno dopo. I dossieraggi e le calunnie esistevano, ovvio, ma erano fenomeni occulti, poco appariscenti. Selenici. E comunque per "rete", anche i più fichi, ancora intendevano quella dell'uomo ragno.  

Negli anni novanta, insieme a tangentopoli, sono apparsi i primi telefonini e i motori di ricerca e tutto ci è sembrato, di colpo, qui, a portata di mano. Finalmente un poco di luce, abbiamo pensato. E la pubblica piazza, che di lì a poco sarebbe stata virtuale, iniziava a illuminarsi, riuscivamo a guardare, tutti insieme, le monetine e i processi in tv.

Da quel 2001 - le torri gemelle tagliate in due da un'esplosione, i corpi lanciati nel vuoto - è come se qualcuno avesse spinto un pulsante e ben accelerato la nostra ansia di connessione.  Un nerd di nome Zuckerberg l'ha capito al volo e ci ha procurato un luogo protetto e da condividere. Le notizie oggi le spizzichiamo qui e lì, la fonte è una sola "l'ho letto in rete", un partito è nato dalla pancia di tutto questo e, per esistere, ci si siamo tutti armati di un profilo social.



Nota

Io ho parlato ed un altro ha sentito
ed ha bisbigliato ad un altro, un terzo ha capito
mentre un quarto 

Postverità. La nostra, l'epoca della trasparenza e dell'esposizione, sta producendo la sua nemesi: le notizie false. 
Spariamo fake news. E, ovvio, nessuno chiede scusa. 


(Social-ismo)