venerdì 31 maggio 2019

Walt Whitman


Senti, m'informò l'anima,
Scriviamo per il corpo (siamo infatti una cosa), versi tali,
Che, dopo morte, dovessi invisibil tornare,
O, più tardi, più tardi, in altre sfere, 
A un gruppo di compagni i miei canti riprendere, 
(In accordo con suono, alberi, venti della terra, tumulto delle onde),
Possa con soddisfatto sorriso continuare,
A sempre riconoscere miei questi versi – come, qui ed ora, per la prima volta,
Firmando per anima e corpo, il nome mio v'appongo (...)
(Da "Foglie d'erba" di Walt Whitman)

Festeggio il padre della poesia americana, e del verso libero, nato oggi come duecento anni fa, con l'incipit di "Foglie d'erba". La raccolta l'ho trovata sopra una bancarella dell'usato, per pochi euro è diventata mia. Non è un'edizione rara ma ha una dedica amorosa.  
L'acquisto di un libro usato è un sottovalutato gesto poetico - chissà chi lo ha letto, chi l'ha sottolineato? - ed è passaggio di sentimenti, di aspettative, di pensieri. Dino Campana, quando s'imbarcò verso l'Argentina, in valigia aveva "Foglie d'erba" e poco altro; il suo "fratello" giapponese, l'haijin Santōka, nato e morto negli stessi anni e vittima di disperazioni simili a quelle del poeta di Marradi, si sarebbe riconosciuto nell'accordo con suono, alberi, venti della terra, tumulto delle onde e negli anni venti del secolo. Viaggiando in solitudine per il Giappone e vivendo di elemosine, un giorno avrebbe composto questo haiku:

Erba verde -
Torno
a piedi scalzi

Leggere porta altrove, si sa e fa anche tornare a piedi scalzi quando ci si imbatte in un grande autore. E il libro usato è come se tra le pagine nascondesse vite e sentimenti di cui è ancora possibile avvertire il palpito. 

(con amore)





giovedì 30 maggio 2019

Sono una motorinista


Dopo argomenti di fuoco
mi butto in strada-
divento una moto.

Tota Kaneko (1919)

E basta! Troppa tristezza, troppi grigi, troppi grugni. Mi faccio pena da sola, abbattersi no, meglio andare avanti. Magari in motorino, girando per Roma. È il mio crack, la mia slot, la mia connessione invisibile col resto del mondo.

Mi basta un semaforo rosso.
Macchinine guidate da adolescenti multitasking che con una mano fumano e con l’altra reggono il cellulare, berline dai vetri fumée dei genitori degli stessi ragazzini, intenti anche loro in lunghe telefonate.
Facendo lo slalom tra queste due falangi, scivolano i “motorinisti”.
Vanno di fretta perché sono sempre in ritardo, hanno i capelli schiacciati dal casco, la fronte con il solco orizzontale della stretta. La borsa a tracolla sul giubbotto, il figlio stretto contro il bauletto, bollette da pagare accartocciate in tasca e il lavoro da raggiungere. Tutto insieme.
Il motorino era il sogno adolescenziale di questi ragazzi che vedo invecchiati sulla sella, e che ottenevano con solenni giuramenti di telefonare quando arrivavano. Hanno tra i quaranta e i cinquanta anni, sono di “mezza età”, un tempo sinonimo di obiettivi raggiunti, ma che oggi significa solo continuare a rincorrerli, come criceti sulla ruota. Nati alla fine degli anni Sessanta, quando il boom ha fatto flop, in quel tempo grigio pre-telefonino e pre-web – al massimo colorato dalla disco e dai sogni di Drive In – economicamente dipendono ancora da quegli stessi genitori che un tempo acquistarono loro lo scooter. I “motorinisti” visti oggi, sembrano il simbolo vivente di una generazione poco interessante.
I trentenni hipster, i barbuti surfisti del web che sgusciano smilzi su eco-biciclette con un cervello pieno di idee e di app, fanno tendenza molto più di loro. I sessantenni, colti e ideologici che, mentre affondano i denti sui polpacci degli ottantenni seduti su poltrone da cui non si alzeranno, li guardano con dolciastra condiscendenza.
Sono tutti più interessanti di loro, tutti su rampe di lancio irraggiungibili, tutti avanti di una casella.
I motorinisti sono anche miti, e sorridono. Un po’ idealisti, un po’ cazzari, un po’ fregati dalla vita ma sempre allerta, sono i veri supereroi di una sopravvivenza non solo stradale.

(Ricciolina)



mercoledì 29 maggio 2019

Brutti, sporchi e cattivi



Desiderando solo camminare,
cammino con la mia sacca piena –
Luna della sera
(Santōka 1882-1940) 


Questa mattina ho avuto la rappresentazione plastica di quello che siamo diventati. Ero in fila dal tabaccaio, aspettavo che arrivasse il mio turno per pagare una bolletta.
Nel negozio, lugubre, buio né più né meno del solito, la padrona dietro la cassa con aria scocciata si dava da fare quel minimo a cui ormai siamo abituati. Sorrisi? No. Da quel grugno fisso dietro il banco direi mai fatti. La padrona, dicevo, serviva la prima della fila, una donna (ragazza, vecchia, bambina?) che, lo ammetto, scannerizzerei partendo dalle unghie coriacee, quei carapaci istoriati che stanno frugando nel portadocumenti D&G, ha l'incarnato sottile, giallastro, poggiato su gote prefabbricate fatte risalire fino al punto omologato, quello da selfie, hashtag aperitivo. Alle 19 la bocca tumida si protruderà gommosa verso il vetro del bicchiere e l'occhio a mezz'asta, fisso ai follower, prometterà ogni concepibile sì. Postmoderna, quindi più virtuale che reale, gira tacchi alti e fianchi stretti e si avvia verso l'uscita. Dopo di lei tocca al tizio della ricarica per le sigarette elettroniche, vanigliato e assorto dentro una nuvola, prefabbricata anch'essa, quelle belle sigarette, quella bella puzza di fumo stantìo quanto mi manca! E così anche il tizio vanigliato viene servito e se ne va, compreso di kit. Una slot cigola, visto che il suono le è stato silenziato, le sue luci intermittenti nell'angolo più buio, macina euro mentre la leva scende per risalire. Un nigeriano muscoloso è il suo manovratore, sbarcato e arruolato, qualcuno gli fa vendere portafogli tarocchi D&G che un giorno una tumidona, uguale a quella appena sparita nella nuvola di vaniglia di quell'altro, gli acquisterà dopo una trattativa identica a sempre. Ma per ora il nigeriano non ha ancora venduto una mazza, quindi meglio giocarci su, una volta e ancora un'altra e magari caderci nella dipendenza della ludopatia, non ne parlano anche i giornali quando decidono fare servizi sul sociale, sulle dipendenze? Sei uguale ai vecchi dall'aria livida che verranno dopo di te, fratello, giocatori pensionati incattiviti e strenui sostenitori di governi razzisti che ti vogliono ricacciare da dove sei venuto e tu che ingrassi il meccanismo con i tuoi pochi euro, cazzo, non li vedi e non lo sai.        
L'ultimo della fila, io ho pagato, sono quella che infila in borsa la ricevuta, è quello con la visiera calata sul ciuffo bianco. Guarda il giocatore, e dai denti gialli gli esce chiaro chiaro, affinché io senta e magari ci rida su, con lui, insieme, complici, come quelli che stanno dalla stessa parte quella giusta: "Hitler. Ce vorrebbe Hitler."
Ho aperto il bauletto del motorino, ho tirato fuori il casco e me lo sono messo in testa, senza sapere bene cosa fare e dove andare. 


(scusate tutti)


lunedì 27 maggio 2019

La sveglia del mattino



Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.

Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.
(da "A Cesena" di Marino Moretti) 


Sarà che è un periodo che leggo Moretti per prepararne il racconto radiofonico, sarà il risultato delle elezioni, ma mi sono svegliata crepuscolare.E faccio mio il pensiero del critico e filologo Pier Vincenzo Mengaldo che definisce questa poetica letteraria come "una piccola e sacra rappresentazione dell'anima". 
E solo così che posso spiegarmi quanto accadutomi dopo i risultati di ieri. Ci si sveglia Marino Moretti, ci si alza, si guarda fuori la finestra e si ha solo voglia di rificcarsi sotto le coperte.

(grigio borgo)






venerdì 24 maggio 2019

Funerale a Monterotondo


Pensi davvero che basti non avere colpe per non essere puniti,
ma tu hai colpe.
L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri,
basta sfregare leggermente.
Dai mattoni salgono respiri, brandelli di parole.
Ferri di cavalli morti circondano immagini di battaglie
Le trattengono prima che vadano in un futuro senza cornici.
Cosa ci rende tanto crudeli gli uni con gli altri?
Cosa rende alcuni più crudeli di altri?
Le crudeltà subite e poi inghiottite fino a formare una guaina
con aculei sul corpo ferito?
O semplicemente siamo predestinati al male,
e la vita è solo fatta di tregue dove sostiamo
per non odiare e non colpire?
(L'aria è piena di grida di Antonella Anedda)


Gli applausi all'uscita del funerale. L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri,
Vite rotte: il padre, la madre e la figlia, il degrado dell'alcol e della droga, le botte e la paura.
A questa storia buia, nella luce del sagrato, mancava solo l'applauso del pubblico che, immancabile, è arrivato (video).
Mi commuove che la figlia - mito greco precipitato quaggiù - abbia un giorno deciso di fare il pugile come suo padre. La leggo come una dichiarazione d'amore.


(vite)