sabato 23 novembre 2019

Milano in versi



In questa calma di piena luce
che si allarga
così compatta che cederle quietamente
è forse necessario,
come indugiare senza significato
a fissare il catrame bollente
o intontirsi di giallo
con l’occhio immobile al sole sulle rotaie.
E’ ancora possibile
smorzarsi senza strappi
fino al margine della coscienza.
Legare il cervello alle vene nei polsi
e sfaldare il pensiero:
sfaldarlo prima del pomeriggio
ma con la pazienza orizzontale
delle strade sdraiate senza respiro
nella piana di sole
che scende su questa curva di piazza
e investe i tetti delle macchine
trovare il secondo.
(Milo De Angelis)

Cammino per Milano, sembro un cane allegro. Nella testa i miei poeti, le opache biciclette di Antonia Pozzi, il dopoguerra di Raboni che ancora si intravede su certe facciate, i condomini severi e grigi, i luoghi cari di mia madre piccola (le strane provviste di quegli anni, formaggio fuso, marmellata
senza zucchero, pane senza lievito,/ immagini della città oscura, della città sbranata/
così dolci, ricordo, al nostro cuore).
E quella giovinezza tutta nella luce di una città al tramonto di Vittorio Sereni. 
Godo della mia passeggiata milanese, l'occhio immobile al sole sulle rotaie.


(Uscendo dalla metro)





  

giovedì 21 novembre 2019

L'amore come piace a me


Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dagro e un fònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi,
che plògidan sul mondo infrangelluto,

ma oggi è un giorno di zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzìllano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;

è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
in cui m'hai detto "t'amo per davvero"
("Il giorno ad urlapicchio" di Fosco Maraini)

Una poesia che canta l'amore che piace a me. Quello allegro, dove l'incanto di un giorno timparlino ti prende e non ti molla più, quando ci si può abbandonare a una melodia allegra, e quel campanellino che ci ha risvegliati fa muovere i piedi a ritmo di cantilegi. 
Dedicatela a chi vi piace, questa fànfola piena di vita dentro, che sbrilluccica ancora e per sempre, la fànfola di un genio come Fosco Maraini, esempio morale e intellettuale. 
Che se la reciti ad alta voce all'amato o all'amata la stanza si riempie di luccichini.     


(è passato Cupido)


venerdì 15 novembre 2019

Stefano e Ilaria Cucchi


Aver vegliato tutta la notte sui simboli
e uscire nell'aria fresca della notte
poco prima dell'alba.
I meli sono lieti
dell'abbondante rugiada.
I miei passi sono lievi
ma mi piace pestare il ghiaino,
accarezzare le foglie
e portare alle narici i fiori.
Tu mi segui rimanendo silenziosa 
come un'ombra.
Non sento neanche il rumore dei tuoi passi
mentre cammino,
non sento il tuo respiro, non sento la tua mano
nella mia mano.
(da "Eroi" di Claudio Damiani)

La condanna. Dodici anni ai due carabinieri colpevoli della morte di Stefano Cucchi. La sorella Ilaria che dice "ora potrà riposare in pace".
Stefano Cucchi non voleva morire a ventanni per un pestaggio di violenza animale, non ci pensava proprio quando lo vediamo sorridere nelle ultime foto liete, quelle in famiglia tra i suoi. Cosa avrebbe fatto di sè, se solo avesse potuto, questo ragazzetto romano complicato come tanti, di quelli che vedo sfrecciare sui motorini lanciati a manetta, non ha mai potuto saperlo, non gli è stato permesso.

I meli sono lieti
dell'abbondante rugiada.
I miei passi sono lievi
ma mi piace pestare il ghiaino,
accarezzare le foglie
e portare alle narici i fiori.

Da quel letto autoptico, divenuto cosa informe, feto devastato, Stefano si è fatto dono: ha reso l'amata sorella la sua paladina. Ilaria Cucchi è diventata quella donna libera e colta che conosciamo, competente dei diritti civili insieme al compagno Fabio Anselmo, l'avvocato conosciuto durante questa sua lunga battaglia. 
Da quel pestaggio, da quel corpo straziato oscenamente, un dono d'amore per lei e per noi tutti.

(oggi un pezzetto di cielo)
- Opera di Aeneas Walder, 2013
Arte Sella -

mercoledì 13 novembre 2019

Venezia è una libellula


Una libellula di città
lo sa che tanto non durerà.

Appena nata, lascia il suo stagno.

"Stanotte muoio", grida ad un ragno.

"Serve una mano? - fa lui con brio

- Devi morire? Ti aiuto io".

"Gratis? Davvero? Un'eutanasia?

Come mai tanta galanteria?"
(Da "Una libellula di città" di Tiziano Scarpa)

Oggi mi sono svegliata pensando a Venezia e all'acqua che sale. Cenavo, ieri sera, e al tg andava l'acqua alta, l'operatore zoomava sugli stivaloni e il cronista parlava di record, 187 centimetri - una me più un bel pezzo d'acqua in testa che fa affondare la città, pensavo - qualche parola spesa per il Mose e un'altra inquadratura mortifera.
Cerco una poesia e trovo questa, e sostituisco l'animaletto iridescente del poeta con "Venezia", la sua città, anche il titolo cambia senso se lo pronuncio con intonazione diversa, tipo (è proprio) una libellula di città! Il nome dell'insetto deriva da libra, bilancia, poiché in volo la libellula riesce a tenere le lunghe ali orizzontali in equilibrio nel vento. Infatti è così, se la guardi da vicino Venezia è lieve, ariosa con quei trafori di marmo in giro e si posa leggera sull'acqua. È il dono inutile che posso fare, come fosse un haiku di resistenza all'incuria e agli interessi economici.


(Acqua alta)




lunedì 11 novembre 2019

Note e notazione



Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande
(Santōka 1882-1940)


Il triangolo, no? Tuca Tuca? 
Non per tirarmela, ma sono in vetrina tra Renato Zero e i Subsonica. Sotto di me, solo Raffaella Carrà. Evviva la libreria dell'Auditorium di Roma! Ieri sera passavo di là di corsa per non perdere l'inizio di un concerto e ci ho frenato davanti come Will Coyote. Le suole ancora mi fumano.

(gasp!)