mercoledì 28 febbraio 2018

Gelo in campagna (elettorale)



Il giorno schietto
d’inverno inasprisce le carraie,
aguzza il taglio della pietra,
sopra i poggi pelati
brucia i pochi fili d’erba.

Chi affastella legna, chi sciorina
panni s’affretta; sgretola la crosta
con le scarpe chiodate, con gli zoccoli,
spranga l’uscio di casa.

È un tempo che fa bruschi i conciliaboli,
ruvide le parole ed i commiati.
…Antenne
e nervature d’alberi, di rovi
graffiano i venti del tramonto…



Chi affastella legna si è già fatto la sua bella lista e si è avviato lesto lesto a presentarla, dritto alla meta, in nome di una trasparenza che però, su fascismo e migranti, si opacizza. La destra, in tutte le sue forme, e formazioni, più variegate e mostruose  
sgretola la crosta
con le scarpe chiodate, con gli zoccoli,
spranga l’uscio di casa.

Io sento freddo, mi tiro fin sotto il naso il plaid e continuo a guardare fuori la finestra.
…Antenne
e nervature d’alberi, di rovi
graffiano i venti del tramonto…

(Italia ibernata)






lunedì 26 febbraio 2018

Il re della neve


Anche la neve
può non essere buona neve.
Fumo dalle fattorie.
(Santōka 1882-1940)


E' vero quello che dice Santōka, la neve è oggettivamente un po' una rogna, a Roma poi non ne parliamo, ma oggi lo contraddico, mi scuserà. 
La passeggiata a piedi di questa mattina, i cagnetti increduli e i bambini felici lungo la strada ovattata e senza traffico. E i sorrisi agli sconosciuti come quelli che si fanno a chi si incontra sul sentiero in montagna tipo: ciao, come va? vedi anche tu quant'è bello tutto questo, vero? E i tetti col cappello bianco, i tergicristallo dritti, gli indomiti in motorino comunque, il vicino che scatta foto e sorride, l'altro che ramazza ma sembra contento, una palla di neve, il moccio che cola. 
Di questo indimenticabile 26 febbraio di neve romana, su tutto, fisso nella mente il mio albero capitozzato, amatissimo nonostante sia stecchito da mesi. Il suo lampo di eleganza - a dispetto della sorte e della nostra malinconia -, e la grazia dei ghiaccioli che stamattina lo facevano rifulgere magico, maestoso. Tutta la bellezza che è stato, ancora per qualche ora, e di nuovo, per noi due che lo amavamo tanto.


(il re della neve)

Senza l'albero



venerdì 23 febbraio 2018

"non abbiamo più nulla per te".


"non abbiamo più nulla per te".
Ci siamo spogliati di tutto.
Anche la parola tra poco svanirà
nella conca nebbiosa 
che abbiamo qui di fronte.

Solo con la tua poca fantasia
potrai, se lo vorrai, 
immaginarci ancora.
Non darle però troppo credito
e non spingerti a vedere
ciò che non c'è.
(da Ablativo di Enrico Testa)


Se c'è una cosa che mi piace è camminare a piedi per le strade di Roma. Non importa se il percorso lo conosco, anzi. Meglio. Sono l'agrimensora, urbana, sì è così che mi sento, del mio quartiere. Lo misuro, lo perimetro, come una ronda pacifica controllo i caseggiati, gli alberi, se ci riesco i salotti illuminati delle case. Quella lampada del terzo piano sempre lì, accesa con le sue tra palle di opaline, che pende sopra al pavimento che ogni volta non riesco a vedere.
Piccole fitte i negozi spariti, qui c'era questo, qui quello, commerci che precisavano la fisionomia delle mie strade. 
"non abbiamo più nulla per te".
Ogni chiusura definitiva, ogni cartello svendo tutto, il mio lutto da annotare.


(incastri)



     





martedì 20 febbraio 2018

Dedica


Arrivo con il tram dove Milano non esiste ancora
per ogni passeggero la strada si dirama, è un delta
di piazze e di cantieri abbandonati e ha svolte, all’improvviso.
noi le passiamo e tutto corre in noi, ritardo senza peso
le mattine delle città sono già fiumi scontrosi e senza vuoti.
eppure le coincidenze fanno ogni persona
o il suo corpo che va da lievità a posa informe,
un’esistenza – e c’è chi sciama via per un batterio,
per l’invisibile che si nasconde all’aria.
Il rifugiato che abita il riposo
illecito, in corpo ha cielo ed ha prigione;
la libertà di fatto cerca facili indirizzi.
Ben venga allora morire per la prima volta
nel tuo respiro e poi restare avvolto da correnti,
nell’impazienza ascolto la moltitudine di avvisi
e nomi in codici. Crolli minimi che sento
intorno come fioritura,
avverto del palazzo, del pericolo e lontano
un altro posto da occupare. Così fermo la fuga
aprendo un porta all’improvviso, salutando.
(Il giorno, fuori da Sciami di Mario De Santis)



Mi basta un semaforo rosso.
Macchinine guidate da adolescenti multitasking che con una mano fumano e con l’altra reggono il cellulare, berline dai vetri fumée dei genitori degli stessi ragazzini, intenti anche loro in lunghe telefonate.
Facendo lo slalom tra queste due falangi, scivolano i “motorinisti”.
Vanno di fretta perché sono sempre in ritardo, hanno i capelli schiacciati dal casco, la fronte con il solco orizzontale della stretta. La borsa a tracolla sul giubbotto, il figlio stretto contro il bauletto, bollette da pagare accartocciate in tasca e il lavoro da raggiungere. Tutto insieme.
Il motorino era il sogno adolescenziale di questi ragazzi che vedo invecchiati sulla sella, e che ottenevano con solenni giuramenti di telefonare quando arrivavano. Hanno tra i quaranta e i cinquanta anni, sono di “mezza età”, un tempo sinonimo di obiettivi raggiunti, ma che oggi significa solo continuare a rincorrerli, come criceti sulla ruota. Nati alla fine degli anni Sessanta, quando il boom ha fatto flop, in quel tempo grigio pre-telefonino e pre-web – al massimo colorato dalla disco e dai sogni di Drive In – economicamente dipendono ancora da quegli stessi genitori che un tempo acquistarono loro lo scooter. I “motorinisti” visti oggi, sembrano il simbolo vivente di una generazione poco interessante.
I trentenni hipster, i barbuti surfisti del web che sgusciano smilzi su eco-biciclette con un cervello pieno di idee e di app, fanno tendenza molto più di loro. I sessantenni, colti e ideologici che, mentre affondano i denti sui polpacci degli ottantenni seduti su poltrone da cui non si alzeranno, li guardano con dolciastra condiscendenza.
Sono tutti più interessanti di loro, tutti su rampe di lancio irraggiungibili, tutti avanti di una casella.
I motorinisti sono anche miti, e sorridono. Un po’ idealisti, un po’ cazzari, un po’ fregati dalla vita ma sempre allerta, sono i veri supereroi di una sopravvivenza non solo stradale.


(punti di vista)





lunedì 19 febbraio 2018

Danza del lunedì


Danza

a) Appenditi al corpo lattine e bottiglie vuote
Danza senza far rumore

b) Porta sulla schiena un oggetto pesante
Danza il più velocemente possibile 
(da "Acorn" Yoko Ono)


Una poesia di Yoko Ono tratta dal suo "Acorn - Ghianda" dove sono raccolti pensierini lievi, colorati, pieni di gioia di vivere e ferrea autodisciplina, il tutto per una filosofia pret a porter tra sopravvivenza e disincanto, tra Osho e Candy Candy. Lo ammetto, mi aggancia ogni volta. Yoko fa allegria. L'immagine delle lattine e della danza silenziosa sembra una delle sue performance, l'artista in cima alla scala, i video con il cielo dentro, l'albero dei desideri. Al pubblico si consegna un pensiero, lieve come un pezzetto di carta velina. La leggerezza di una fatina spietata o quella di una bambina rock?
     
Sui social tendo a dare un'immagine da diva. Da snob, o così penso di essere vista dagli altri. I miei pochi like mi emarginano dalla risonanza algoritmica, poche le persone che seguo e chi segue me, a sua volta, deve come passare un esame. E poi sono pigra e nella piazza di FB non mi ci metto proprio, dire la mia o sentire la sua mi annoia e considero gli hashtag etichette sempre troppo piccole per racchiudere il cosmo. 
Stamattina, stavo facendo colazione, il momento più godurioso della giornata, vedo che la mia amica Yoko Ono ha appena annunciato il suo compleanno su istagram.
"Sono 85, mai avrei pensato sarebbe potuto accadere", scrive sotto la sua foto in tenuta da mago, cilindro e occhiali scuri. "Ma le cose impossibili, come piccole magie, accadono."
Le ho messo un emoji a forma di torta e candeline, tra gli auguri cuorati di Paris Hilton e un messaggino di Cindy Sherman.
E ho iniziato così la mia settimana da diva.