mercoledì 26 luglio 2017

Password


Lo squillo del telefono nella casa deserta,
dà un brivido sottile, recide oscure speranze.
Non mi mossi, non scesi neppure fino all'orto.
Fin qui presente e assente in questa luce
da finestra a finestra della casa
ore e ore, lasciai venire e andare
pensieri eterni nella mente inerte.

Il giorno lungo e fradicio leva alti i suoi vessilli.
E' tardi? Il carpentiere sale sui castelli e ponti.
Lo sai, mi tengo pronto al tuo richiamo,
veglio, attendo, fo sì che non risuoni
lo squillo del telefono nella casa deserta.
(Mario Luzi)


Negozio di telefonia. Sono in fila, paziente, con gli auricolari fallati tra le mani, in attesa del mio turno per poterli cambiare.
Davanti a me un altro cliente. L'operazione che lo riguarda, e che mi precede, è di quelle lunghe, il back up del suo telefonino. Dati e foto riversati da un cavo nel pc collegato, con un altro cavo, al device appena acquistato.
"Password?" chiede il tecnico al cliente per ultimare l'operazione.
"Pisellone" gli risponde, "con la p maiuscola".
lasciai venire e andare
pensieri eterni nella mente inerte
Vabó. Tutti seri.

(cloud)




martedì 25 luglio 2017

Dammi l'acqua


Dammi l'acqua
dammi la mano
dammi la tua parola
che siamo,
nello stesso mondo.
(in "Fatti vivo" di Chandra Livia Candiani)


Emergenza siccità a Roma. Le fontane chiudono i bocchettoni, le aiuole appassiscono, l'ansa del Tevere sembra la pelata di un vecchio (clicca notizia QUI)
Tutti parlano, tutti dicono qualcosa. In Comune, dicono, cercano soluzioni. Dicono che arriverà anche Grillo...  

Invece io mi auguro che l'acqua venga razionata, e presto, e che venga erogata dalle ore alle ore e che tutti, tutti, ci si trovi finalmente in fila con in mano tinozze, bottiglie, catini, bacili, pentole, cuccume e barattoli. 
Dammi l'acqua.
E, finalmente compatti, e in silenzio, e rispettando la fila,  capiremmo il significato di cosa pubblica e bene comune, in silenzio, anche senza elezioni, solo riempiendo una tanica. 


(idroterapia) 







lunedì 24 luglio 2017

Fa caldo


Dolcissimo è rimanere
e guardare nella immobilità
sovrana la bellezza di una parete
dove il filo della luce e la lampada
esistono da sempre
a garantire la loro permanenza.



Fa caldo. Non si dorme. E le pareti, di notte, si sa, rilasciano tutto il calore accumulato nelle ore diurne. 


Dolcissimo è rimanere
e guardare nella immobilità

Accendo la tv. 
Di qua, divani arroventati ricoperti da teli d'occasione che, come cilici, si attaccano a gambe sudate e tirano da una parte, di là gerarchi che salutano romanamente, truppe ordinate in assetto di guerra, un papa livido che parla a folle trepidanti...
I ventilatori, ostinati, ronzano, e le cicale si sgolano. 
Aria melmosa. 
Di là la grande storia, quella con la "s" maiuscola, regina di un palinsesto accaldato, qui, in frigo, una vaschetta di gelato avanzato, fragola credo, il forno non si usa fino a settembre, vietato, la polvere sembra di più, come se l'estate ne producesse in quantità superiore altrimenti perché è ruvido tutto e anche la doccia, vedi?, pare polverosa. Le piantine sul balcone paiono rinvigorite ma sarà solo per qualche ora, l'odore caldo dei golf impilati nell'armadio socchiuso si fonde alla citronella, sintetica, del vape. 
L'olmo sotto casa smuove appena le foglie, suonano come di patatine fritte, mentre i ragazzini dagli occhi profondi mangiano zuppa da una gamella, febbrili, con il cucchiaio che gli sparisce in bocca.
Paolo Mieli mantiene la sua aria refrigerata nonostante il colletto alto e la cravatta e quel completo sartoriale stirato. Commenta il documentario ma non lo ascolto.
In strada un ubriaco urla qualcosa a qualcuno. Disperatamente. 
Le cinque.


(Tristi tropici)









giovedì 20 luglio 2017

In viaggio


Antico stagno!
Salta dentro una rana -
Il suono dell'acqua
(Bashō 1644-1694)

Umiltà, povertà e misticismo caratterizzarono la biografia di Matsuo Bashō, il Dante dei giapponesi, considerato il padre della poesia breve di tre versi, che Shiki duecento anni dopo denominerà "haiku", e venerato come un santo.

"Viaggiatore" voglio essere chiamato
ora che cade
il primo scroscio della stagione.
(Bashō 1644-1694)

Bashō fu un uomo in cammino che intendeva il movimento come fonte di conoscenza e di approfondimento. Matsuo Munefusa, figlio di samurai, da ragazzo pensa di intraprendere la strada già segnata ovvero quella della carriera militare. Ma cambia direzione e fonda una scuola di poesia che gli procurerà fama e agio economico.
Decide ancora di cambiare strada e si stabilisce in un eremo nel cui minuscolo giardino un suo discepolo pianta un banano che crescerà rigoglioso.  Tutti individueranno la sua casa come la Bashō-an, la casa del banano, e Munefusa decide così di chiamarsi Bashō, banano.
Cambia strada di nuovo: indossa tabi e kasa e incomincia a viaggiare per il Giappone. 
Matsuo Bashō, il monaco veloce e sempre in giro e che  i suoi discepoli, affascinati dalla sua agilità, immaginavano essere stato un ninja - che decide di identificarsi con una creatura stabile e radicata al suolo come un albero.

Un mangiatore di cachi
che amava gli haiku
così bisognerà ricordarsi di me
(Shiki 1867-1902)


Si fa chiamare Shiki, cioè "cuculo", l’uccello che secondo la tradizione giapponese canta finché muore. A undici anni scrive il suo primo poema e a quattordici anni fonda un gruppo poetico.
Si diploma, lascia gli studi universitari e rinuncia alla borsa di studio. Si consacra agli haiku, compone varie raccolte, fonderà la rivista letteraria “Il cuculo”.
Nel 1894, già malato, è corrispondente per il suo giornale della guerra cino-giapponese.
Al contrario di  Matsuo Bashō, suo amatissimo maestro e grande camminatore e  di Santoka, Shiki  potrà camminare poco.    
La sua breve esistenza, morì a trentacinqueanni,  può misurarsi in pochi tatami, quelli della stanza dove era costretto a letto.
E in quello spazio angusto, povero e solitario, Shiki il samurai compone in forma di haiku la sua lotta contro il male e la sua voglia di vivere, il suo addio alla vita e la sua rabbia.

Il vecchio stagno -
la rana salta
tonfo nell'acqua
(Bashō 1644-1694)


Gli haiku di Jack Kerouac giocano a rispecchiarsi nella trasparenza liquida dei classici, come in questo, in cui è evidente il rimando alla rana del vecchio Bashō.

Un vecchio laghetto, sì
Nell'acqua si è tuffata a capofitto
Una rana

Jack Kerouac, attratto da meditazione e buddismo, accede al Giappone attraverso la lettura del saggio di D.T. Suzuki, volume uscito nel 1927 (che Adelphi ha ripubblicato). 
Il fascino del ritmo sincopato e jazzistico di un componimento così sintetico non poteva non piacere a questo Jackson Pollock della scrittura. Scriveva al suo amico Lawrence Ferlinghetti: "Vorrei raccogliere tutti gli haiku dei miei taccuini e farne un libro...". Ne ha scritti migliaia.
Solo leggendoli, meglio se in controluce con quelli giapponesi, la sorpresa, il piacere e il godimento diventano profondi.
Troviamo rigore e conoscenza, studio e passione. E anche la totale e febbrile dipendenza dal comporne visto che girava con un taccuino in tasca proprio come facevano i maestri zen.
Torniamo a viaggiare da fermi, un po' come fu costretto a fare Shiki nella sua cameretta, con gli haiku composti da Andrea Zanzotto tra la primavera e l'estate del 1984 e, proprio come il monaco zen Shiki, il poeta tra i più importanti del nostro novecento componeva haiku come terapia di sopravvivenza. 
Li definiva "pseudo-haiku" proprio per la libertà stilistica che si accordava rispetto al canone giapponese e utilizzava l'inglese che, probabilmente, trovava più lancinante. 
Si strappava alla depressione anche così.

Lost-shy petals of panels,
clipped minitalks, past thoughts—
little bitter teeth biking   

Timidi-perduti petali sui vetri
mini-discorsi spezzettati, pensieri passati —
mordenti asprigni dentini

E dopo questi sorprendenti "asprigni dentini" direi che è il caso di chiudere qui. 
E di pensarci un po' su, magari facendosi un giro. 
Anche sotto casa. 

(haiku-finestra)








mercoledì 19 luglio 2017

Eppure


Tsuio no yo wa
tsuio no yo nagara
sarinagara


***

È di rugiada
è un mondo di rugiada
eppure eppure

(Issa 1723-1828)



Issa in giapponese significa "tazza di tè" ed è il nome assunto da Kobayashi Yotaro quando diventa monaco buddista nel 1792. I suoi haiku raccontano di cose apparentemente modeste come il salice e il fumo oppure di pulci, neve, foglie, lumache, rane. 
Orfano di padre e di madre da piccolissimo, sposo e padre sfortunato (perse quattro figli per malattia) Issa fu segnato negli affetti e nella salute eppure, eppure... come scrive meravigliosamente Philippe Forest nel suo "Sarinagara" (titolo tratto dall'ultimo ku di uno haiku di Issa che significa "eppure") il poeta guarda la vita frontalmente e con ironia. Mentre lo scrittore francese, che perse una figlia piccola per una di quelle malattie atroci, ha fatto di quel dolore il suo timone poetico e, leggere i suoi romanzi, è come calarsi nell'abisso della mancanza, Issa sembra voler "rimediare" alla sua dolorosa biografia con il dominio della mitezza. 
Issa, tazza di tè, simbolo di armonia e comunione con la natura. Una vera e propria "cerimonia" del quotidiano.

Sarà questa visione del mondo, tragica e diremmo leopardiana, questo "irrimediabile" in cui ci specchiamo, questo sopravvivere a dispetto della vita stessa su cui ragiona Issa, che ha interessato Philippe Forest?

Amore alle labbra era un tocco
Dolce quanto reggevo;
E parve una volta troppo;
Io dell’aria vivevo

Che a fiotti da dolci cose
M’investiva… profumo di muschio
Da giovani vigne nascoste
In fondo a un poggio al crepuscolo?

Dolente io ero e stordito
Da fiori di caprifogli
Che scuotono quando li cogli
Una rugiada alle dita.
(...)
("Stringendosi alla terra" di Robert Frost)

Anche la vita di Robert Frost fu costellata da tragedie e, un po' come Issa, anche il poeta americano sembra volerci restituire immagini piene di speranza dove l'elemento naturale appare come il solo appiglio possibile.
Il dolore e la letteratura. 
Il mondo di rugiada di Issa-tazza di té e la brina di Frost, (frost è brina in inglese) dialogano a distanza scintillando sulle cose piccole. Philippe Forest sceglie di restare nella cupezza della sua foresta, sondando tutto quel buio.



(amando la vita)