giovedì 15 dicembre 2016

Nuvole e pietre

Cuscino di pietra
accompagno 
nuvole
(Santōka 1882-1940)


"Posto e mi vesto" ho detto ancora sgranocchiando la fetta biscottata e riponendo la tazza nel lavello. Briciole in giro, per terra. Poi pulisco.
Posto e mi vesto. 
Ma l'unica cosa che mi viene in mente è il mio haiku preferito che mai, come ora, sembra scritto apposta per la mia testa pesante, per i miei piedi, che tiro via da sotto il tavolo della colazione come scrollando un cane che non vuole muoversi.
Ode a tutto quello che morde come pulci il sistema nervoso - mettere in ordine le bollette, ritirare quelle analisi, prendere quell'appuntamento, faxare il documento (sì, alcuni lo usano e molti non l'hanno), risolvere il mistero del telefono fisso che non squilla dopo la trappola della fibra, incontrare di sicuro quella persona... - canto in tre versi di chi vorrebbe starsene a letto.
E, steso, da lì accompagnare le nuvole e indovinarle (è un cane, un cappello di cuoco, no, ora è una barca enorme!) come quella volta, lontanissima negli anni, quando ancora non poteva conoscere le mille forme che una pietra sul cuore può assumere.


(pesantezze)


mercoledì 14 dicembre 2016

Sogno americano

Ho del riso
dei libri
e persino del tabacco
(Santōka 1882-1940)

La fatica di lavorare in esterna - trasmettere Fahrenheit da dentro una fiera del libro con tutti i disagi, i contrattempi, i nervosismi, il brusio costante di sottofondo che rintrona - è sempre ricompensata, e lo è stato anche recentemente. 
Dalla Fiera Più Libri di Roma, quella delle piccole case editrici per capirci, ho portato via due autori e ho finalmente "rattoppato" un mio buco, una mia carenza letteraria (quante lacune, quante mancanze, che ho! E, spiattellate lì davanti sopra tutti quegli stand, sembrano ricordarmelo in coro: leggimi, devi farlo, che ti sei persa). 
Ho recuperato la coppia dei Dubus!
Due scrittori, padre e figlio, da me ignorati fino ad ora, sono finalmente passati dallo stand espositivo dentro la mia sacca e ora sul bracciolo del divano, quello dove appoggio il libro in lettura mezzo aperto. 
Vado in ordine cronologico, prima il padre, Andre Dubus, nato nel 1936, e che racconta l'America di Truman e Eisenhower, dei protagonisti impeccabili fuori e rotti dentro, l'America dei "vicini di casa", e arriverò a quella del figlio Andre Dubus III (1959), quella contemporanea, obamiana. Mi sto aggirando tra case tutte uguali, vado dietro banconi di bar lungo la strada principale, il mio viso è livido di neon.
Finalmente ci torno, in America, dopo quel viaggio indimenticabile nella sua provincia durato ben due mesi e compiuto un'era fa. Anni novanta, puro Clinton e mondo in mano.
Ora che impazza Trump, francamente, il mio sogno americano è molto sbiadito. 
Preferisco leggere i Dubus.

(Viaggio da ferma)







martedì 13 dicembre 2016

Stato d'animo

In questa strada
non vedo un'anima:
tramonto d'autunno
(Bashō 1644-1694)


Tragitto Roma Nord-Roma Sud, percorso in metropolitana per il tempo di una fiera di libri. 

Centro di Roma, piazza del Popolo, raggiunto con un tram che ha cigolato come fosse ancora ancorato al novecento dove sono nata, scendo le scale verso le viscere romane. Gli scavi della metro A, io, pezzetto archeologico in viaggio, con la mia tracolla zeppa di fogli. Sopra di me sfilano via il Colosseo, Piramide, Circo Massimo... 
Termini, Metro B, si cambia, direzione Laurentina. 
Lascio le anticaglie rassicuranti diretta all'EUR dei grandi architetti che hanno pensato il futuro immaginandolo tutto di solidità e slancio. Uno slancio, oooops, verso l'alto. Cittadini come ginnasti provetti in tuta nera. (la storia del quartiere QUI)
L'urbanistica degli anni trenta-quaranta - un Palazzetto dello Sport in eterno procinto di sollevarsi, gli archi del Palazzo dei Congressi e la loro fuga metafisica, le leggi dello spazio/tempo catturate nel Palazzo della Civiltà del Lavoro - rappresenta ancora oggi l'idea che abbiamo di futuro. 
Sfilano spazi misteriosi e funzionali, vetrate lucenti di uffici deserti, affacci sul verde progettato a tavolino. Meravigliosi e tetri. Un'aria sospesa vagamente cimiteriale, forse perché non c'ero, forse perché non ci sarò più. 

Svolto, la nuvola di Fuksas, finalmente inaugurata, mi appare da dentro la sua scatolona di metallo, freezata.

Nuvola di cavi d'acciaio, plastica rappresentazione di un presente in mezzo a tutto quel futuro passato, preme ai lati, mentre cerco in tutto il suo cloud di condividermi, di intravedere cosa succederà, di fotografarmi.
E di capire qualcosa di me.


(Fototessera di me)






lunedì 12 dicembre 2016

Rumore

Rumore di sega.
Quanta povertà!
Notte fonda invernale
(Yosa Buson 1716-1783)

Vecchi pensatori, ben saldati sui loro scranni, sentenziano dalle loro colonne stampate, dicono "IO". Come antichi fregi in posa eterna, sono saggi, ben pettinati, sempre nel giusto.
I talk politici gracideranno le loro scalette "a sorpresa". Ma chi mai ci sarà come ospite, subito dopo, a commentare?
Il popolo di costituzionalisti che siamo, attende i nomi del governo Gentiloni per poi metterli su FB con le faccine vicino. 
E poi c'è ilpopolodelno, ilpopolodelsì, ilpopolodelproprioperchésonodisinistra, Ilpopolodelledestre, ilpopolodeipartigiani, ilpopolodistateveneacasavostrachecirubateillavoro. 

Siamo belli, visti dal vetrino di un haiku. Pieni di vita. 


(verso  le 17.30)



sabato 10 dicembre 2016

Come un anno fa

Tra l'ombra degli alberi
si sposta la mia ombra
luna d'inverno
(Shiki 1867-1902)


Torno sull'argomento "presepe". Ne inizio a vedere in giro, nelle vetrine dei negozi, nelle piazze, nei salotti casalinghi. Di zucchero glassato dal pasticcere, di terracotta sulle bancarelle, di plastica sugli scaffali natalizi dei Lidl di ogni città. Le faccine dei pastori sotto piccoli cappelli, micro zampognari muti, gesubambini attaccati alle mangiatoie con le braccine aperte, madonne con la testina perennemente reclinata e sangiuseppi eternamente perplessi. Mucchette e asinelli grigi non respirano il calore che abbiamo imparato alle elementari, zollette di muschio imbibito coprono pezzi di cartone, stagnole come laghetti, piccole luci intorno che si accendono e si spengono. 
Si accendono e si spengono.

Hanno perso la vita altri cinque bambini in un naufragio.
Ecco il mio presepe, l'ho capito adesso. Eccolo qui.
Ecco il mio presepe di naufraghi in fuga, di cristi che tentano di spostarsi da uno stato oppressore verso il mare, di madonne che piangono lacrime vere, di bambini da adorare.
Le loro ombre di "presepe morente" mi perseguitano.

(Statuina)