sabato 3 dicembre 2016

Mito assoluto

Vecchia casa -
quando i fiori di mandarino
profumano
(Santōka 1882-1940)

"Quarantotto euro???"
"Sì, quarantotto."
"Ma rischio di perdere pure l'aereo. Certo, per un bagaglio a mano, mi sembra proprio tanto... E poi il disservizio era vostro, dal sito non era possibile... Ok, ok, ma lasciamo perdere. Ecco il bancomat, prego"
Seguo la scena del mio "collega di sfighe da imbarco". Sono all'aeroporto di Catania, pronta alla partenza già da un paio d'ore visto che sono arrivata molto prima per comprare la cassata. Mentalmente faccio i calcoli: non riuscirò mai a raggiungere per tempo la pasticceria vicina all'imbarco, l'aereo sta quasi partendo e sono ancora in fila, ora un'altra, perché il mio biglietto mi dicono non risultare. E in questa fila, più corta ma sempre di tipo tondo, smussata affinché ci si possa superare e/o partecipare attivamente dei casini degli altri con consigli e faccette, conoscerò "Mito Assoluto" (non sapevo ancora che il ragazzo che garbatamente protestava con la receptionist sui quarantotto euro, l'avrei chiamato così).
Entrambi dicevo, Mito Assoluto ed io, stavamo rischiando di perdere il volo per Roma. 
Finalmente lui risolve e io risolvo e, tra penali e cavoli vari, ci ritroviamo, nuovamente in fila, questa volta chilometrica, per l'imbarco. Che fortuna, penso, un altro quarto d'ora di ritardo!!! La fila, che definirei adesso a tortiglione, mi rassicura ancora di più dello schermo degli avvisi: c'è tutto il tempo anche per comprare la cassata!
Mi tiene il posto? Ormai ci riconosciamo, siamo tra parenti. 
In fila, in Italia, ci si sente, almeno per qualche ora, uniti per sempre: ciao signora rumena che non riuscivi a leggere il biglietto e sapevi d'aglio, sei tu, ti riconosco. Ciao ciao ragazzi catanesi con le magliette aderenti e il cellulare furioso, anche ciao a te, signore un po' antico con il pizzetto (ma forse avrai la mia età) che volevi aiutarmi al web check-in che mi risputava i miei dati, e che mi rispondi con il tuo di ciao ciao, sembri proprio sollevato nel vedermi quaggiù, alla fine del tortiglione che, impavido, guidi dalla tua prima posizione. Ciao signore cinese con bagaglio gigantesco incellofanato sui cui troneggia la bambina con pipì urgente, ciao! 

Arrivati in fondo, io con cassata e Mito trascinando il suo dispendioso trolley, eccoci al bus che ci dovrebbe portare alla scaletta dell'aereo. Ma rimaniamo fuori un'altra volta: siamo troppi, dobbiamo aspettarne un altro.
"Bene!" lo guardo "uniti fino all'ultimo contrattempo".
"E già. E per me continuerà" mi dice spostandosi il ciuffo chiaro che gli andava sulle lenti degli occhiali. Ha gli occhi azzurri, Mito, dolci. E una camicia verde, stirata, su pantaloni beige. Mitezza fatta persona, Mito. 
"In che senso, continuerà?" 
"Arrivo a Roma e vado a Milano, prendo la coincidenza (qui scatta il segno della croce per tutti quelli che erano con noi e lo ascoltavano come me) e stanotte dormo lì. Ma non so per quanto tempo dovrò rimanere a Milano. Faccio il supplente."
"Di quale materia?" lo guardo, mentre stava diventando Mito e alzava un po' le sopracciglia da sotto le lenti.
"Fisica. La titolare è malata, non si sa quando guarisce e per ora ci sarei io" continua pacatamente "poi vedremo..."
Mito e i suoi puntini di sospensione dove c'è tutto quello che mi ha raccontato sotto il sole in attesa di partire: il motel dove dormirà oggi e domani  e che ha prenotato, il fatto di cercarsi un alloggio perché a Milano si figuri, signora, quanto costa. Che ha preso un altro aereo e non uno diretto per risparmiare, e che non è di Catania ma di Caltanissetta (altro treno, altra sveglia, altri ritardi, altri chilometri), che qui fa caldo e lì chissà che freddo, che ha venticinque anni e i suoi allievi ne avranno sì e no quindici (Mito, ma sembri loro coetaneo, penso, ti vorrei abbracciare, a te, al trolley, alla fatica che ti aspetta e che sembri non sentire) ma Mito mi sorprende ancora. Di "fisici edili", come sono io, continua scostandosi di nuovo il ciuffo, c'è richiesta. Ci rimetterò seicento euro, temo, ma magari un punto in graduatoria lo ottengo. Altrimenti? Altrimenti ricomincio. Bisogna muoversi, non stare fermi. Ho fiducia, sono esperienze, no? Anche di vita...
Altri puntini.
Mi sorride.

In bocca al lupo "Mito Assoluto", faccio il tifo per te! Anzi stasera, che brinderò con una fetta di cassata, gli dico, lo farò in tuo onore.
E Mito: la cassata dell'aeroporto? Vabbè, sarà buona lo stesso...

(Catania- Università degli Studi)



   
    

venerdì 2 dicembre 2016

Pompei

Colonne antiche
scanalature dritte
come gelate
(Sono Uchida 1924)

Che bello. Da oggi 2 dicembre esiste la concreta possibilità di visitare finalmente Pompei anche se costretti sulla sedia a rotelle, attraverso un percorso accessibile a tutti che si snoda tra quelle colonne antiche.  (clicca QUI)

Sono qui, a Roma caput mundi, regina di scavi archeologici e arte diffusa tra le vie, in diretta dal mio motorino che gira indomito su strade trivellate da buche secolari e profonde. 
"Immaginare la buca prima di vederla", questo ci viene richiesto da anni dal comune, posizionatevi né troppo al centro né troppo al bordo strada, perché se la ruota si infila in quella faglia tra la strada ispessita dagli strati di asfalto, il marciapiede e magari un tombino coperto di foglie viscide di fango, una gamba, come minimo, te la rompi. 
E stai attento a quello che supera proprio ora! Attentooo!

Ma perlomeno a Pompei qualcosa, dopo secoli secoli secoli di incuria, funziona, penso da sotto il casco, e passo dallo stadio Olimpico che domenica, penso, radunerà truppe di gladiatori bardati per il derby, tatuati e con il tirapugni, rasati e che, arrochiti dalla rabbia settimanale repressa, si sfogheranno sugli spalti e poi usciranno da lì dentro... Già, usciranno, penso.
Anche oggi è andata e bacio lo zerbino di casa come Wojtyla quando atterrava.

E la notte mi sogno nell'antica Pompei, tra colonne e affreschi e con un peplo da motorino, va bene lì non ci abitano, va bene sono morti tutti e le case sono bucate e le terme sono chiuse da un po' ma, almeno, qualcosa sulla viabilità, lì a Pompei, sta iniziando a funzionare. 
Penso.



(Affresco romano)





giovedì 1 dicembre 2016

Spesa

Si parla 
del prezzo delle mele
prese in mano
(Hino Sojo 1901-1956)


- E lei, signora, quale banco di frutta sceglie? Dove vendono la verdura più buona e non sono ladri? E dove compra i suoi vestiti, e la carne? E, mi dica, mi dica, in che ristorante va? E il prezzo delle mele?

A queste domande risponderei con la mia regola aurea: vado nei posti che mi piacciono.
Banco di frutta e verdura: se quelli che individuo come i padroni, trattano bene i ragazzi extracomunitari che vi lavorano, ed è un banco dove si scherza tra un chilo di carciofi e mezzo di ricotta, dove abbonda la complicità e non lo schiavismo... è il banco che scelgo.
Ristoranti, pizzeria e parrucchiere: poche chiacchiere e ricevuta fiscale? Vado lì.
Articoli per la casa, ferramenta: sorridono a chi entra? Una lampadina, grazie.
Bar: non ci sono slot machine? Cappuccino e cornetto, grazie.
Ho trovato anche la mia profumeria!  
La commessa più giovane mi sta servendo,cercavo la solita crema antirughe un po' magica, quando entra nel negozio un giovane ragazzo africano.  
L'altra, a occhio la padrona del negozio, gli chiede di cosa abbia bisogno. Lui poggia sul banco di cristallo le varie carabattole che aveva in mano e addosso (bonghi vari, collanine, braccialetti e animali intagliati) e, nel tintinnio, sento: 
"Avete un profumo da donna, di moda, veramente buono?". 
La signora cerca tra i flaconi e gli porge qualche essenza.
"Quanto costa questo?"
"Ottanta euro, da scontare..." 
"Grazie, grazie comunque". Riprende la sua merce e, con i bonghi ciondolanti sulle spalle, esce dalla profumeria.
Nessun commento. Commessa e padrona non parlano tra loro, non si scambiano sguardi d'insofferenza. E non cercano la mia complicità con il classico guarda questo eccetera... 
Si trattava  solo di un potenziale cliente qualsiasi e che cercava un profumo "veramente buono" per la sua donna e che, forse, ritornerà in negozio. Tutto qui. 
Tutto qui.

Non so come sia finita questa storia, se il ragazzo sia mai tornato per acquistare il profumo, non so se sia riuscito, tra un bongo e una collana di legno, a tirare su la differenza mancante. So che lui era fichissimo, che amava qualcuno che lo aspettava da qualche parte e che si sarebbe fatta bella e profumatissima per lui comunque. 
E che le due nel negozio sono due donne che fanno il loro lavoro con serietà. 
E mi basta per ritornarci. 


(Punti fedeltà)




mercoledì 30 novembre 2016

In processione

Così solo, triste
davanti alla porta chiusa-
aghi di pino.
(Ryōkan 1758-1831)


Ferma al semaforo, mi guardo in giro. Da sotto il casco, vedo chi cammina serio e attraversa veloce, occhi bassi. Sono quelli dai lavori precari, dalle poche sicurezze. I fuori mercato, i fuori statistiche. Senza esperienza o troppo vecchi. Oggi vendi contratti telefonici e domani fai il mimo. 
La torma dei venditori porta a porta, plumbea, sale i gradini cartellina sottobraccio, il vestito buono con le scarpe rigide e lucide, la penna per la firma, vomitata dal bocchettone della metropolitana. 
Gelo sulla faccia, tiro giù la visiera.
La processione di poveri cristi avanza nel traffico romano, la seguo con gli occhi per il tempo di un semaforo. 
Un clacson e poi una sirena mi spingono avanti.  

(Roma - Processione precaria)
Nota
Due parole sulla foto. Si tratta di un dettaglio dell'opera dell'artista sudafricano William Kentridge (un gigante dell'arte contemporanea). Per chi non lo sapesse sul Lungo Tevere romano è ben visibile questa "processione" che ha tutta l'aria di essere un affresco. Errore. Nulla è stato apposto o colorato o dipinto. Cosa ha fatto quel genio? Si è pensato una serie di figure rappresentative della storia romana e italiana che ha, letteralmente, "grattato" via dal nero formatosi per l'inquinamento e che nel tempo si è depositato sugli alti muri degli argini. Le figure sono altissime, dettagliate e sembrano muoversi e accompagnare l'andamento del fiume. Ma sono anche "precarie", nel senso che il tempo (speriamo il più tardi possibile) le coprirà, le sbiadirà con la sua inesorabile coltre inquinante. 

martedì 29 novembre 2016

Pochi figli

La neve si scioglie:
nel villaggio frotte
di bambini
(Issa 1763-1828)

Non siamo noi quelli che abitano il villaggio dell'haiku. Qui di bambini se ne vedono pochi (clicca notizia QUI) 

E sempre qui, nel paese dove non si fanno figli, ci si fa qualche grigia domanda.
Paura del futuro? Poco lavoro? Siamo sempre figli fino a cinquanta anni? Abbiamo "lisciato" il giorno giusto ancora una volta? La pensione dei nostri genitori non basta? Troppa carne? Troppo pollo? Troppa tv? Troppo facebook?
Nel paese mezzo vuoto si sfornano dati, ci si guarda mesti, i giocattoli rimangono nelle vetrine. Qualcuno si accora (non io!), qualcuno dedica una giornata apposta, altri indicano la Borsa, altri il portafoglio. 
Ma cos'è questo trambusto, tutto questo casino improvviso? Che succede, cosa succede laggiù? Dal mare, arrivano barconi zeppi di gente che scappa, sono ragazzi giovani, forti, pieni di speranze e coraggio. 
Sono uomini, donne, bambini pieni di vita che vengono a darci una mano.
Ah. E io che mi ero pure preoccupata...

(Carrozzina)